giovedì 26 febbraio 2009
Parla Bogdan Borusewicz, presidente del Senato polacco e già leader a Danzica: «Con noi il sistema sovietico iniziò a crollare». «Nell’81 Jaruzelski mise fuori legge il sindacato, nell’89 fu costretto a trattare: nel frattempo l’opposizione si era fatta di massa, ci si sentiva appoggiati da Wojtyla» «È normale che oggi i giovani non ricordino quelle lotte. La libertà è come l’aria che respiriamo: solo quando manca ci accorgiamo della sua importanza»
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«Ma tutto ha avuto ini­zio qui da noi». A vent’anni dalla ca­duta del Muro di Berlino uno dei leader storici di Solidarnosc, Bog­dan Borusewicz, ci tiene a ricordare che il comunismo cominciò a mori­re in Polonia, sulle rive del Baltico. Era il 4 giugno del 1989 ed i polac­chi, dopo oltre sessant’anni, torna­vano ad eleggere liberamente l’as­semblea del Senato. Dal 2005 ne è presidente Bogdan Borusewicz, vo­tato sia dal partito di governo, Piat­taforma civica, sia da quello dell’op­posizione, Diritto e giustizia. Un piccolo miracolo politico che rende onore ad un combattente di razza. Borusewicz, sessant’anni, fin da giovanissimo si schierò con l’oppo­sizione anti-comunista, diede inizio allo sciopero del 1980 a Danzica in­sieme con Lech Walesa e dopo lo stato di guerra proclamato da Jaru­zelski nel 1981 scelse la lotta clande­stina. Ne ha parlato ieri pomeriggio incontrando gli studenti dell’Aseri, l’Alta acuola di Economia e relazio­ni internazionali dell’università Cat­tolica di Milano. Ed in quest’intervi­sta al nostro giornale entra nel me­rito delle recenti polemiche sul 1989. Tra pochi mesi sono previsti grandi festeggiamenti per ricordare il ven­tennale della caduta del Muro di Berlino. Ma sembra che ci sia di­menticati di quel che è successo prima, in Polonia... «Il crollo del Muro fu un evento molto scenografico. È naturale che oggi, quando si parla della fine del comunismo, tutto si concentri su quell’immagine spettacolare. In realtà il Muro cominciò a cadere in Polonia con le elezioni semi-libere che si erano svolte il 4 giugno dell’89 e poi con il primo governo democratico presieduto da Ma­zowiecki. Per questo recentemente il senato polacco ha proclamato il 1989 «anno della democrazia». È stata una conquista giunta alla fine di una lunga marcia, iniziata con lo sciopero nei cantieri Lenin di Dan­zica nel 1980 che segnò la nascita di Solidarnosc, il primo sindacato libe­ro in un Paese del blocco sovietico». Secondo alcuni storici revisionisti il sindacato Solidarnosc del 1989, tornato alla legalità dopo l’accordo siglato alla tavola rotonda con il ge­nerale Jaruzelski, è molto diverso dal movimento originario del 1980. Alla lotta si sarebbe sostituito il compromesso con il vecchio regi­me comunista che avrebbe conti­nuato a vivere sotto le apparenze della democrazia. Qual è il suo giu­dizio? «Prima di tutto devo precisare che la visione storica a cui lei ha accen­nato è del tutto minoritaria in Polo­nia. Gli stessi esponenti del partito dove è sorta quest’interpretazione, i gemelli Kaczynski (il presidente del­la Repubblica Lech e l’attuale capo dell’opposizione, Jaroslaw), aveva­no preso parte alla tavola rotonda e ultimamente l’hanno giudicata po­sitivamente. E per chi come me in quegli anni lottava nella clandesti­nità non c’era dubbio che prima o poi si doveva arrivare ad un nego­ziato con il regime. Il fatto che Jaru­zelski, l’uomo che nel 1981 aveva messo fuori legge Solidarnosc, si fosse deciso ad aprire un dialogo con Walesa e gli uomini del libero sindacato non fu certo un atto spontaneo, una grazia calata dall’al­to. Negli anni Ottanta in Polonia era cresciuta l’opposizione di massa, ci si sentiva appoggiati da papa Wojty­la ed un nuovo intervento militare era ritenuto impossibile da quando al Cremlino s’era insediato Gorba­ciov ». Borusewicz, fino al 1988 lei è stato uno dei più importanti dirigenti di Solidarnosc clandestina. Non si sentiva isolato dal resto del mon­do? «Al contrario. Quando negli anni Ottanta dirigevo l’opposizione, le cellule clandestine contavano mi­gliaia di persone. Ero in contatto con i dissidenti sovietici della Bielo­russia e della Lituania. Pensi che riuscivamo a far arrivare macchina­ri per le tipografie clandestine fino in Mongolia!» Un’epopea che oggi sembra quasi dimenticata in Polonia. Come spie­ga l’indifferenza di gran parte della gioventù polacca alla vicenda stori­ca di Solidarnosc? «Vede, la libertà è come l’aria che respiriamo: solo quando manca ci accorgiamo della sua importanza. Io avevo trent’anni quando occupa­vo i cantieri navali di Danzica, non sapevo come sarebbe finita ma pensavo: questa è la cosa più im­portante della mia vita. Oggi i giova­ni hanno tante opportunità, non però un’esperienza così forte. È no­stro compito ricordare per costruire insieme. Sono solito dire che quel che abbiamo cominciato nel 1980 è terminato solo nel 2004 con l’in­gresso della Polonia nell’Unione eu­ropea». A questo proposito: il Parlamento polacco ha ratificato il Trattato di Lisbona ma il presidente Kaczynski non l’ha ancora firmato. Quando lo farà? «Ha promesso che lo sottoscriverà il giorno dopo il referendum che si deve ripetere in Irlanda. Io avrei preferito che l’avesse già fatto da tempo». La crisi economica globale si fa sentire anche in Polonia. Nel dibat­tito che si è acceso sull’ingresso della Polonia nella zona euro, lei, presidente Borusewicz, da che par­te sta? «Sono dell’idea che avremmo dovu­to adottare la moneta unica già due anni fa. Adesso la situazione è mol­to complicata ma raggiungere que­st’obiettivo è più urgente che mai».
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