venerdì 28 agosto 2020
La poetessa russa, vincitrice del premio LericiPea, traduce Dante come voce della speranza. Fino ai 40 anni i suoi versi erano vietati, circolavano in samizdat
La poetessa russa Ol'ga Sedakova

La poetessa russa Ol'ga Sedakova - .

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Maria conduce al silenzio «dove sono pensate le cose», David canta a Saul, sant’Alessio è a Roma: sono questi alcuni dei personaggi che s’incontrano nelle poesie di Ol’ga Sedakova, tra le massime interpreti della letteratura russa contemporanea, amica di Brodskij, traduttrice di san Francesco, Dante, Bertrand de Born e molti altri. Docente all’Università di Mosca, la Sedakova ha da sempre iniettato nei suoi versi una forza spirituale che si fa misericordia e letizia (si pensi a Solo nel fuoco si semina il fuoco, a cura di Adalberto Mainardi, Qiqajon 2008). La sua scrittura magnetica si affaccia sulla scena letteraria russa «all’appassire del timido disgelo chrušceviano, alla fine degli anni ’60» quando «essere contemporanei significò essere irrimediabilmente inattuali: esclusi dai circuiti ufficiali, esiliati nel loro proprio paese, reietti di questa 'generazione letteraria perduta'» (Mainardi). Ol'ga Sedakova riceverà il 27 settembre il prestigioso Premio LericiPea alla carriera nell’ambito delle manifestazioni del 'Golfo dei Poeti'.

Professoressa, qual è il suo rapporto con Dante?

Non sono specialista di filologia dantesca, né italianista. Di formazione sono filologa slava, mi sono occupata della cultura slava antica. Ho iniziato a studiare l’italiano proprio per leggere il vero Dante. Leggendolo in russo, ho avvertito attraverso la traduzione che nell’originale avrei incontrato qualcosa d’altro e che questo altro era ciò di cui avevo bisogno. Anche i nostri grandi poeti -Puškin, Achmatova, Mandel’štam - sentirono al loro tempo di aver bisogno di Dante, e per questo impararono l’italiano. Avevano il presentimento che in Dante - nella Commedia soprattutto - si poteva trovare quel potere della parola e della novità, quella portata universale della poesia, quel coraggio e quell’ispirazione, quel-l’integrità e diversità che non si trovano da nessun’altra parte. Recentemente sono usciti, in un volume a parte, tre canti del Purga- torio e tre del Paradiso nella mia traduzione. Sì, vorrei che la leggenda di Dante 'poeta dell’inferno' (com’è conosciuto in tutto il mondo) fosse completata da Dante poeta dell’ascesa, il poeta della salvezza, il poeta della 'teodia'. È imminente l’uscita di un’ampia raccolta dei miei studi su Dante, intitolata Sapienza della speranza. La nostra contemporaneità, anche nei suoi pensatori più significativi, vede spesso la speranza come un’illusione e un autoinganno, la considera un segnale di stupidità ed esige invece che un pensiero maturo rinunci fin dall’inizio a qualsiasi speranza, citando Dante: 'Lasciate ogni speranza...'. E tuttavia queste parole in Dante sono rivolte a coloro che entrano nell’inferno per sempre! Ma Dante è uscito dall’inferno. Nel Paradiso, nell’esame davanti all’apostolo Giacomo, Beatrice raccomanda Dante all’esaminatore quale il più devoto fedele della speranza tra tutti coloro che vivono in terra. Proprio per questo ancora in vita gli era stato concesso di ascendere ai cieli.

La sua poetica è fortemente connotata da un afflato religioso. Come vive la fede?

Non penso di essere un autore di genere specificamente 'religioso'. Nei miei versi si possono trovare molti rimandi (solitamente non molto espliciti) a immagini bibliche, liturgiche, teologiche. Ma la fede, anche nel fare poesia, per me non è un tema, piuttosto un punto di vista: non ciò che si vede, ma ciò con cui si vede. Nella poesia parla quella forma dell’anima che è costituita dalla fede, e questa può parlare di qualsiasi cosa: di un gatto, per esempio, oppure di un albero. Questo principio della fede è visibile soprattutto nella forma stessa del discorso poetico. Non ci sarà posto per ciò che è triviale, rozzo, schematico. Non si tratta di una scelta di gusto, di un’opzione 'estetica'. Semplicemente il cuore non lo consente.

Le sue prime poesie circolavano in maniera clandestina nel cosiddetto samizdat.

Vorrei fare una precisazione: non le prime poesie, ma già anche le poesie della maturità. Avevo quarant’anni quando in Russia è uscito il mio primo libro, ma scrivo versi dalla mia infanzia. Fino alla fine della perestrojka i miei versi non potevano essere pubblicati in Unione Sovietica, e non soltanto i versi: nemmeno i saggi o le traduzioni poetiche. Circolavano in copie dattiloscritte (quel che si definiva samizdat), e a volte con queste copie venivano a trovarmi persone da posti molto lontani: dalla Siberia, dal Volga... La mia prima raccolta di versi uscì a Parigi, presso YMCA-press, l’editore dell’emigrazione russa. Naturalmente, senza la partecipazione dell’autore. Il libro fu composto con le copie samizdat arrivate fino in Francia. Sull’atmosfera in cui è maturata la mia opera, ho scritto un libro, Elogio della poesia.

Insomma, la poesia fu un importante strumento di resistenza.

Non so se si possa definire la poesia strumento di qualcosa. Ogni sua nuova apparizione nel mondo è una testimonianza di libertà, là dove la libertà sembra impossibile. Di una libertà e di una forza pacifica che hanno già vinto in queste parole: «Melodia di misericordia e forza». Chi legge questi versi partecipa a questa libertà e forza. Ormai non crede più alla naturalità della servitù per l’essere umano, alla 'banalità del male' come indiscussa norma della nostra vita. Nella grande poesia, secondo me, c’è qualcosa che fuoriesce dagli schemi sociali, come nel canto dell’usignolo o nel fragore di una cascata. È l’universo stesso che parla.

Stiamo assistendo alle proteste e agli scioperi contro Lukašenko. Com’è l’attuale situazione politica in Russia e nei paesi limitrofi?

Guardo con ammirazione al popolo bielorusso, che inaspettatamente si è sollevato a difesa della propria dignità. È un’opposizione assolutamente pacifica e generale a un potere che si regge sull’inganno e la violazione dei diritti civili. È incredibile la brutalità con cui Lukašenko e la sua polizia stanno rispondendo a queste manifestazioni pacifiche. Torture, ferocia, omicidi. Dopo tutto questo è difficile aspettarsi una qualche soluzione ragionevole. D’altra parte, i poeti bielorussi ne scrivono con ardore e passione. In Russia possiamo solo tradurli, ma le traduzioni non si pubblicano. Anche da noi la situazione è tesa, ma quell’unità popolare che si vede in Bielorussia non c’è.

(La traduzione delle risposte della prof.ssa Sedakova è di Adalberto Mainardi)

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