Un panorama di Lerici - .
Dopo l’anteprima dell’8 agosto – quando è stato attribuito a Renzo Piano il riconoscimento speciale per il 2020 – e in attesa della cerimonia di cui il 27 settembre sarà protagonista la vincitrice Olga Sedakova, in questo fine settimana le manifestazioni del premio LericiPea si concentrano tra La Spezia e il Golfo di Poeti, con una serie di incontri che vedono la partecipazione, fra gli altri, di Roberto Pazzi, Giuseppe Conte, Massimo Bacigalupo e Adriana Beverini (per il programma www.lericipea.com). Di particolare significato l’appuntamento previsto questa sera alle 21 presso il Castello di Lerici e incentrato sul libro che Paolo Lagazzi ha dedicato alla figura e all’opera di Paolo Bertolani. Quella ricchezza detta povertà (Carta-Canta, pagine 140, euro 13,00: a parlarne con l’autore ci saranno Manuel Cohen e Davide Rondoni) è qualcosa di diverso da un saggio critico, anche se a firmarlo è uno degli osservatori più attenti della nostra recente letteratura in versi.
Da tempo, infatti, Lagazzi ha sviluppato una sua personalissima cifra di narratore, che si ritrova intatta in questo percorso sui «sentieri di Paolo Bertolani» ai quali rimanda il sottotitolo. Sono i sentieri che da Lerici portano verso l’Appennino, in una continuità non solo ideale con Casarola, la località del Parmense che fu il rifugio di Attilio Bertolucci, il poeta al quale Lagazzi ha dedicato gran parte della sua attenzione di studioso e di testimone. Nato nel 1931 a La Serra, sopra Lerici, e morto nel 2007 a Romito Magra, Bertolani ha lavorato per tutta la vita come vigile urbano: senza mai fare una multa, diceva, e senza neppure prendere la patente. Per raggiungere Casarola si avventurava in Vespa lungo i tornanti del Lagastrello e fu durante una di quelle visite, nel 1976, che avvenne l’incontro con Lagazzi.
Fu l’inizio di un’amicizia, certo, ma anche e principalmente la scoperta di un sentimento comune, nel segno di un’essenzialità che per Bertolani avrebbe presto comportato la svolta verso il dialetto consegnata a Seinà (“Serata”, 1985), che rimane uno dei suoi testi capitali. Il 1976, invece, era l’anno di Incertezza dei bersagli, la raccolta in cui Bertolani – come Lagazzi argomenta con precisione – più si avvicina alla lezione di Vittorio Sereni, altro nume tutelare di questa cangiante contrada poetica.
Già presente in controluce nella magnifica prosa di Racconto della contea di Levante (1979), la lingua alla quale Bertolani fa ritorno a partire da Seinà è per Lagazzi «uno strumento mobilissimo», una parlata nella quale le vocali prendono il sopravvento, così da permettere – come sottolineava un altro grande poeta dia-lettale, Fernando Bandini – che alla rima “miele/fiele”, mée/fée vada a incatenarsi un terzo termine, chèe, che significa “cuore”.
Di questa poesia che «si nutre delle ceneri» ed è «trascrizione magica» compiuta «sul crinale dell’impossibile«, Lagazzi documenta con straordinario trasporto una dimensione che potrebbe apparire esclusivamente privata, quella delle composizioni di cui lui stesso e Attilio Bertolucci sono stati destinatari. A prendere forma è così un piccolo, compatto canzoniere degli affetti, capace di sfidare il tempo e la morte. Ma te trèvo ’nti parole, / ’nte quéle / nó te sé mai partì, scrive Bertolani a Bertolucci: «Ma ti trovo nelle parole, / in quelle / non sei mai partito».