venerdì 27 gennaio 2017
Le tavolette d’argilla mesopotamiche conservano i primi sistemi di segni. Un salto “evolutivo” da un mondo mnemonico a uno di documenti
Scrittura l’alba della civiltà
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C’è da augurarsi che la fiumana quotidiana di persone che scorre sul fianco di palazzo Loredan, da campo Santo Stefano al ponte dell’Accademia, si accorga del grande manifesto laterale, timidamente appeso al primo piano, di nessun intralcio e di difficile attrazione, non essendo frontale. La mostra annunciata è da non perdere e neppure l’aggiornatissimo catalogo Giunti. Il titolo, “Prima dell’alfabeto. Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura” riporta alla prima infanzia, alle difficoltà comunicative grafiche di ciascuno e di tutti. Ma qui si tratta della prima infanzia dell’umanità, di quando, dove, perché e come nacque l’esigenza di eternare dei dati affidandoli a segni convenzionali, confidando in essi più che nell’umana memoria.

L’esperienza coinvolge tutti, i bambini che imparano a scrivere, gli adulti che tuttora affidano alla scrittura ogni nota di vita, i giovani che freneticamente messaggiano in Rete. Scripta manent, da più di 5.000 anni è così. Nella culla delle nostre civiltà, la fertile Mesopotamia, nell’epoca protourbana di Uruk (3700 a.C.) quando i villaggi agricoli si coagulavano a clan attorno a sedi di potere e di culto, unificati dalla necessità di canalizzare fertilizzando le terre aride, si è avvertita prima di tutto la necessità di certificare la proprietà dei beni con segni/disegni (anfore, palme, pesci, donna, uomo) enumerati da tacche su panetti di fango, seccati al sole. Persino segretati in una custodia/ busta di terra sigillata.


Documenti contabili (dopo i calculi, gettoni/etichetta per individuare merce) quindi furono le prime scritture protocuneiformi dei Sumeri. I segni divennero poi nel giro di un millennio (a Mari e Ebla) fonemi sillabici, parole quindi, nella lingua sumera monosillabica. Nel terzo millennio espressero anche la lingua polisillabica degli accadi e quindi il babilonese e l’assiro. La diffusione di questa scrittura va dalla Mesopotamia all’Assiria (Iraq), Fenicia (Siria), Palestina, Elam (Iran occidentale) fino al golfo Persico con contatti lontani fino in Egitto, Persia, India. Col tempo si ridusse dai 6.000 grafemi iniziali ai soli 30 della scrittura di Ugarit.

Scribi firmati incisero di tutto, testi diplomatici, giuridici, linguistici, vivacissime istantanee di quotidianità, farmacopea, note della spesa, consigli per il parto, norme morali di vita. Nell’ottocentesca Biblioteca dell’Istituto veneto delle Scienze diVenezia è quindi ospite d’eccezione “la prima biblioteca al mondo” con 200 reperti, la più ricca raccolta assieme alla Vaticana, dell’antropologo veneziano Giancarlo Ligabue, scomparso nel 2015. La Fondazione Liga- bue, grazie al figlio Inti l’ha resa leggibile per la prima volta, dopo 4.000 anni. Culla della nostra civiltà non è una convenzione fantastica. Stupisce sempre, ma i sumeri anticiparono miti greci (ratto di Ganimede) e persino le più note storie bibliche (demoni alati, Diluvio Universale un migliaio di anni prima della Bibbia...). Dato l’argomento insolito, la mostra è dotata di tutte le moderne tecnologie didattiche. Si resta immersi in voci, musiche, video, ectoplasmi.


Ma gli occhi brillano e faticano davanti a tante minuscole bellezze pur ben ingrandite a touch screen. Gli sfragisti, scultori miniaturisti di gemme dure e sigilli cilindrici, lavoravano micragnosamente in dimensioni minuscole (un’unghia) scolpendo perfettamente vuoto per pieno, volumi tondi e tagli lineari anche ripetuti identici con abilità inarrivabile, prevedendo le forme emergenti dalla rotazione sulla creta, all’infinito. Sono cosmogonie, lotte tra eroi e animali, libagioni (donne sedute bevono birra da lunghe cannucce!), animali, leoni e gibbosi zebù, pesci, ibridi, dei e uomini. I sumeri amavano minuscole anche le sculture, pesi di pietra come oche sedute, leoncini d’avorio, microscopiche figurine intarsiate, piccole persino le dee di legno e i geni alati d’oro, puntinate le placchette di metallo figurato. Belli i bassorilievi marmorei (il combattimento dono di Layard e la stupenda testa di Sargon prestata da Torino) e l’amichevole brindisi di rappacificazione di una coppia seduta su sgabelli a gambe incrociate – piedino affiorante, sequenza finale di sottostanti cavalli genuflessi e demoni combattenti. Nell’ultima sala sono i documenti storici sulla decifrazione dei caratteri cuneiformi.

Dal reportage di viaggio in Mesopotamia del veneziano Pietro della Valle nel 1600, primo a copiare i segni enigmatici delle iscrizioni a Persepoli, agli archeologhi inglesi e tedeschi fino all’incisione di Bisotun decifrata da Rawlinson nel 1847 ancorandosi ai nomi dei re. Intanto l’inglese Layard e il francese Botta continuavano a gara la ricerca di Ninive, individuata infine a Mosul, dove la missione dell’Università di Udine (con il professor Fales) ha lavorato finchè la tragica guerra in corso l’ha consentito per individuare le vitali canalizzazioni.


Venezia, Palazzo Loredan
Prima dell’alfabeto
Viaggio in Mesopotamia alle origini della scrittura
Fino al 25 aprile

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