martedì 4 aprile 2017
Il regista premio Oscar si misura con la lirica: a Milano “La gazza ladra”. «Avevo voglia di ributtarmi sul palcoscenico. Lì dove ho cominciato, ai tempi dell’Elfo. Mi ha chiamato Chailly»
Gabriele Salvatores (a destra) guida le prove della “Gazza ladra” di Rossini alla Scala

Gabriele Salvatores (a destra) guida le prove della “Gazza ladra” di Rossini alla Scala

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Cinema e teatro si rincorrono in queste settimane nelle giornate di Gabriele Salvatores. «Devo stare attento a non fare Il ra-gazzo ladro invisibile », sorride il regista premio Oscar alle prese con il montaggio e gli effetti speciali del sequel de Il ragazzo invisibile, ma, soprattutto, con la sua prima regia lirica per il Teatro alla Scala: il 12 aprile debutta La gazza ladra di Gioachino Rossini. Sul podio Riccardo Chailly. «Celebriamo i duecento anni dalla prima assoluta avvenuta proprio alla Scala dove da allora, quando in buca c’era lo stesso Rossini, il capolavoro non è più stato rappresentato», racconta Salvatores spiegando, però, che «non ci sarà nulla di cinematografico, ma teatro artigianale, quello fatto di corde e fondali, di assi di legno e proiettori».

Un modo per prendere le distanze dal cinema? O per mettere le mani avanti rispetto alle aspettative che inevitabilmente si hanno quando un premio Oscar si misura con il teatro e l’opera?

«Direi, piuttosto, un ritorno alle origini, ai tempi dell’Elfo. Avevo voglia di ributtarmi nel teatro, quello artigianale delle prove, ritrovare una dimensione più distesa del lavoro rispetto al cinema. Per questo ho accettato. Certo l’Oscar, il premio più conosciuto e popolare, è un riconoscimento che a volte può essere ingombrante. L’ho sempre tenuto in ufficio, solo di recente l’ho portato a casa e l’ho messo nella libreria. Confesso che mi dava un po’ ansia vedere quell’uomo che mi guardava perché la cosa più pericolosa è entrare in competizione con se stessi. Ma ho sempre lavorato guardando avanti e sperimentando. Anche la sfida della lirica, seppure vista come ritorno alle origini, va in questa direzione».

Come è arrivata la chiamata della Scala?

«Mi ha telefonato il maestro Chailly sapendo della mia passione per Rossini. Passione per Rossini, ma anche per Mozart, autori con una spiccata dimensione teatrale: ritmo, capacità di raccontare una storia, emozioni che arrivano attraverso la musica. Wagner non so se riuscirei a farlo, al massimo Verdi… I miei primissimi spettacoli al- l’Elfo, poi, erano una sorta di musical perché ho sempre avuto l’idea di far dialogare musica e teatro. Ciò che capita nell’opera lirica. In più da ragazzo sognavo di fare il musicista più che il regista».

Musicista classico?

«Non proprio… suonavo i Pink Floyd e Jimi Hendrix. Cantavo anche, ma con risultati non eccelsi. Misurarmi con la regia è stata la mia fortuna. Così ho lasciato da parte la chitarra e mi sono messo a fare spettacoli. Poi è arrivato il cinema che ha preso gran parte della mia vita. Ma non ho mai dimenticato le mie origini alle quali ora torno molto volentieri anche perché il teatro è più democratico in quanto permette al pubblico di “costruirsi” il proprio spettacolo, guardando ciò che vuole di quello che accade in palcoscenico. Al cinema, invece, sei costretto a vedere quello che il regista ha deciso di inquadrare ».

Facciamo un po’ di spoiler. Cosa vedremo in scena?

«La vicenda immaginata da Rossini, né più ne meno. Con un personaggio in più, la gazza. Che sarà un’acrobata: appesa alle corde volerà – come volano i supereroi ne Il ragazzo invisibile – nello spazio immen- so del palco della Scala. Mi sono chiesto perché Rossini abbia intitolato l’opera La gazza ladrae non Ninetta, scegliendo il nome della protagonista. Ho dato allora alla gazza, che spesso è resa solo con un pupazzo impagliato, il ruolo centrale che il titolo richiede e ne ho fatto una sorta di deus ex machina di tutta l’azione: sarà lei a muovere i personaggi come fossero burattini nelle sue mani, a spostare le scenografie, ad accendere e spegnere le luci. Sarà una gazza libera e anarchica, che si diverte a giocare con il destino degli altri ed è attratta dagli oggetti che luccicano, qualcosa di velleitario ed effimero».

Ambientazione contemporanea?

«Direi di no. Oggi c’è una voglia di attualizzare a tutti i costi l’opera lirica, anche a livello visivo. Ci sta, ma non sono sempre d’accordo perché tante cose risultano forzature. Rossini è stato un rivoluzionario per il suo tempo e penso che se avesse scritto oggi l’opera avrebbe fatto diventa- re i recitativi hip hop. La sua lezione è tutta nella musica, è lei che detta le regole ed è lei che noi registi dobbiamo seguire assecondandone il ritmo e trasportandolo nell’azione. Tanto più che la musica de La gazza ladra è bellissima e, fatta eccezione per l’ouverture, anche poco conosciuta. Io che non sono un melomane per preparare questo allestimento mi sono documentato a lungo sulle edizioni critiche e sulle fonti per mettermi in pari. In questi ultimi giorni di prove, finalmente sul palco della Scala, mi diverto nel vedere andare a posto i pezzi di un puzzle complicato».

È più facile fare cinema?

«Diverso. Anche se in comune c’è il lavoro sulle emozioni. Parlavamo di Oscar. Riguardarlo è anche un modo per fare un bilancio e capire cosa si è fatto di buono nel tempo: il tempo scorre, ma ora sento quasi una seconda giovinezza, una nuova concezione di cinema, perché mi interessa molto di più lavorare sulle emozioni e sull’emotività piuttosto che sul racconto di una storia. Il ragazzo invisibile, che uscirà nelle sale tra novembre e gennaio, va in questa direzione, racconta le emozioni – nel sequel più adulte e mature – di un ragazzo alle prese con la società che lo circonda. Nel cinema, come nel teatro, la ricerca deve essere sempre continua. Tanto più che oggi il cinema italiano è molto forte creativamente e i giovani sono un punto di forza: occorre dare loro la possibilità di esprimersi».

Come accade nell’Inter dell’era Pioli?

«Ecco la mia passione nerazzurra. Credo che ognuno si scelga la squadra a seconda del proprio carattere; a me è toccato l’Inter. Mazzola mi diceva che nella maglia abbiamo i colori del mare in tempesta, per questo siamo sempre vigili. Credo che con una dimensione di razionalità più pensata oggi l’Inter possa tornare ad essere la grande squadra dei tempi di Mourinho».

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