sabato 2 novembre 2013
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IN DUBBIO LE RICOSTRUZIONI BASATE SOLO SUL RICORDO
La scienza viene in aiuto dei giudici nei casi controversi di abuso infantile denunciati e sottoposti a indagine molti anni dopo. E lo fa mettendo in dubbio le ricostruzioni basate solo sulla memoria del soggetto, perché in tenera età il nostro cervello non ha il potere di conservare tanti elementi specifici. Fino ad oggi però le cose sono andate diversamente, come è avvenuto in vicende clamorose, quali quella di Eileen Lipsker. Eillen era una casalinga californiana senza apparenti problemi quando, un giorno di gennaio del 1989, la figlia di sette anni che disegnava seduta sul pavimento del soggiorno insieme a due coetanee si voltò a guardarla con un movimento particolare della testa. A quel punto scattò il ricordo: Eileen rivide come in una nitida istantanea, benché fossero passati 22 anni, una scena così insopportabile da essere stata rimossa dalla sua coscienza fino a quel momento. L’amica Susan Nason era al suo fianco e ruotava il capo come aveva fatto sua figlia poco prima. Poi un’ombra, suo padre, che teneva in mano una pietra, con la quale uccise la piccola compagna di giochi. Come spiegò lo psicoterapeuta di Eileen, l’analogia di una bambina a terra e del movimento particolare le aveva fatto riapparire improvvisamente una traccia sepolta nella sua mente. A quel punto emerse anche il ricordo di stupri subiti da lei e dall’amica. E alla fine l’uomo finì alla sbarra, sull’onda dell’indignazione popolare, solo per quel racconto. Si tratta di uno dei casi più controversi del fenomeno delle cosiddette repressed and recovered memories che negli anni Ottanta in America divennero un fenomeno culturale e scientifico, legale e sociale, connesso agli abusi infantili subiti in famiglia e ricordati all’improvviso, soprattutto durante sedute di psicoterapia.I RISULTATI DELLE NEUROSCIENZE INDUCONO ALLA CAUTELA Ma può bastare la testimonianza di un adulto che ricorda episodi vissuti nell’infanzia per costruire un processo? È il dilemma che riguarda molti procedimenti per presunti abusi sessuali, basati solo sulla denuncia a distanza di tempo delle sedicenti vittime. Spesso, certo, è tutto terribilmente vero. Ma le neuroscienze, con la più approfondita conoscenza sullo sviluppo e il funzionamento dei meccanismi della memoria autobiografica, inducono alla massima cautela. È stato appena pubblicato sull’importante rivista Nature Reviews Neuroscience, un articolo di rassegna in cui il ricercatore della City University di Londra Mark L. Howe spiega come fino agli otto-nove anni il cervello dei più piccoli non ha la capacità di ritenere con esattezza dettagli di situazioni o eventi di cui siano stati spettatori o anche protagonisti. In altre parole, se un adulto dice di ricordare che a sette anni veniva visitato la sera in collegio da un adulto vestito di grigio, o con gli occhi azzurri e i capelli biondi, quel particolare è con buona probabilità una ricostruzione a posteriori, che va suffragata da altri elementi di prova. Howe tende a smentire anche la credenza che gli eventi traumatici si fissino nella memoria dei bambini con una forza particolare e creino una traccia netta e indelebile. In realtà, anche le vicende negative di cui si è partecipi, fino alla soglia dei nove anni, tendono a sbiadire o a venire ricostruite con la commistione di altri elementi. Esso ebbe come protagonista la memoria personale e la sua affidabilità al di là di ogni oblio, per quanto lungo esso potesse risultare. E ciò avveniva sulla base di una recente modellizzazione dei meccanismii del ricordo che i giudici fecero propria. Ma che, implicitamentee, portava con sé anche una serie di istanze che vanno al di là della scienza.PROBLEMI POSTI ALLA GIUSTIZIA Il problema era che i reati erano ormai prescritti. E il paradosso era che quei delitti sembravano avere in sé la capacità di costruire l’impunità per gli autori, dato che provocavano un tale trauma alle vittime da fare sì chesubissero​ un’amnesia totale dei fatti. Il movimento di opinione che in quegli anni accompagnò le rivelazioni di violenze familiari alla fine portò alla decisione di spostare i termini della prescrizione per casi simili: il calcolo dei tempi sarebbe scattato non dal momento della commissione del crimine, ma da quello in cui chi li aveva subiti riusciva a ricordarli. Di lì partì un processo tra i più controversi, che portò alla condanna di George Franklin, il padre di Eileen, sulla scorta del solo racconto della ragazza, recuperato dai misteriosi anfratti della mente ventidue anni dopo. E sulla scia del moltiplicarsi dei casi, nel 1991 erano ventuno gli Stati americani che ammettevano eccezioni alla prescrizione ​​​​
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