mercoledì 17 giugno 2009
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«La resistenza che è una dote dell’uomo maturo, dell’uomo che rifiuta tutto ciò che è ingiusto, e si ribella, si ribella… La Bibbia è piena di resistenza. La resistenza è una cosa sacra, è un elemento di vita che conserva la vita, e respinge tutto quello che è contrario alla dignità umana e alla vita stessa » : era il 1982 quando Nuto Revelli, intenzionato a realizzare una ricerca sul clero della campagna povera, incontrò don Raimondo Viale, il parroco di Borgo San Dalmazzo. Un prete libero e scomodo. Antifascista e anticomunista. Un rompiscatole, un bastian contrari. Uno spirito ribelle che sin dagli anni del seminario mal sopporta soprusi e ingiustizie, tanto da subire la sospensione a divinis negli anni Settanta. Don Raimondo Viale è una di quelle figure rimaste nascoste nelle pieghe della storia, un po’ come Schindler o Perlasca. Come loro, anche don Viale è stato dichiarato ' Giusto d’Israele' per la sua azione a favore degli ebrei che a centinaia, dopo l’ 8 settembre, arrivavano dalla Francia. Da quell’incontro tra Revelli e don Raimondo nascerà Il prete giusto. Un testo breve scritto in una lingua asciutta ed essenziale, così come essenziale era il mondo di don Viale, ' il mondo dei vinti' della montagna cuneese di Limone, dove nasce nel 1917. Figlio di un padre contadino e spaccapietre. Una vita stentata, di patate e polenta. « Forse è stato un dono di Dio la povertà in cui sono cresciuto. E’ nell’infanzia che ho imparato a resistere » . A distanza di 15 anni Il prete giusto diventa uno spettacolo teatrale grazie al lavoro del Progetto Cantoregi. Domani, 19 e 20 giugno sarà in scena nell’ambito de ' La Fabbrica delle Idee', rassegna davvero particolare per il luogo che la ospita, l’ex- ospedale psichiatrico di Racconigi ( Cuneo), come per la tipologia degli spettacoli, che trattano temi come la memoria, il disagio, la solitudine. Spiega Marco Pautasso, che insieme a Vincenzo Gamna e a Koji Miyazaki, ha lavorato alla trasposizione del libro di Revelli: « Il Prete giusto è la testimonianza di un sacerdote che della giustizia ha fatto la propria ragione di vita. Resistere è stata sempre la sua parola d’ordine. Vogliamo riproporre, anche e soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, la figura esemplare di un uomo che ha difeso senza indugi il valore della democrazia, ma anche stimolare una riflessione approfondita su questioni come il senso della vocazione sacerdotale, i dubbi e le scelte di fronte alla Resistenza, il rapporto tra fede e storia, tra fedeltà ad una missione e debolezza umana, il revisionismo, l’atteggiamento dei cattolici, gli ideali traditi » . Don Raimondo Viale viene ordinato sacerdote nel ’ 30 e assegnato alla parrocchia di Borgo San Dalmazzo, a pochi chilometri da Cuneo. Da subito iniziano i problemi con i fascisti. « Ero già un po’ sulle corna dei fascisti che strappavano i distintivi dell’Azione Cattolica ai miei giovani. Il fascismo, tramite le sue organizzazioni giovanili e i suoi Dopolavori, pretendeva di realizzare un controllo assoluto sui giovani » . L’intolleranza nei confronti dei circoli cattolici cresce d’intensità fino ad arrivare al divieto di pubblicare il bollettino parrocchiale in quanto ' propaganda antinazionale'. I fascisti tentano di far tacere per sempre don Raimondo. Il 31 marzo 1939, mentre torna a Borgo in bicicletta, un’auto lo investe. In due lo picchiano, a bastonate e calci. Non è finita: il 2 giugno del 1940 durante l’omelia si augura che la guerra si faccia solo a parole ' perché se si facesse sul serio, noi dovremmo condannarla senza condizioni'. Viene arrestato e condotto al carcere di Cuneo. « Mi assegnarono alla cella Numero Zero. Ah, com’erano squallide le prigioni di allora. Orrende. Cimici a centinaia, ogni genere di insetti. Una puzza. Rabbrividisco ancora oggi se penso a quell’ambiente degradato, indegno » . Processato, è condannato al confino, ad Agnone nel Molise. Riprende il suo posto di parroco a Borgo dopo l’ 8 settembre e diventa testimone delle atrocità nazi- fasciste. Il 19 settembre ’ 43, la strage di Boves. Venti assassinati e tra loro due preti. Il 2 maggio ’ 44 la fucilazione di 13 partigiani. Li assiste, li confessa. « Dopo due ore, tanto è durato il massacro, non rimangono che pali sforacchiati dalle pallottole, e le tredici bare » . Aiuta i partigiani, aiuta le famiglie ebree a nascondersi, ma non può far nulla per i trecento ebrei caricati sui carri bestiame alla stazione di Borgo con destinazione Auschwitz. Un prete scomodo, ma non un prete rosso. Se il fascismo è « una dittatura tragico- buffonesca » , non nutre indulgenze verso il comunismo: « Non mi andava, ero fortemente polemico. Il comunismo è una dittatura, una dittatura militaresca. Il comunismo ha compiuto una scelta giusta quando ha assunto la difesa del popolo da chi lo sfruttava. Ma poi è diventato una dittatura, e come tale ha fatto tutto quello che può esserci di male»
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