venerdì 6 maggio 2016
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Nel 1959 la Walt Disney Productions presentò un nuovo cartone animato realizzato dal suo fondatore, Sleeping Beauty (La bella addormentata nel bosco). Il film, realizzato con grande dispiego di mezzi, ottenne un vastissimo successo di pubblico, ormai consueto per i lungometraggi Disney, ma non fu particolarmente rilevato dalla critica, e il suo titolo compare fuggevolmente nelle storie del cinema. Uno dei non rari clamorosi abbagli, perché con quel capolavoro un archetipo viene finalmente alla luce. Il sogno dell’uscita dalla morte, per amore e grazie all’amore, il sogno che la morte si riveli, in ultima analisi, un periodo incantato di sonno, alimenta l’estasi di Platone, e anima la fiaba sin dalle sue origini, in Occidente e Oriente, dalle Metamorfosi di Ovidio alle Mille e una notte. Charles Perrault aveva scritto una fiaba esemplare: una principessa dopo tanta attesa nasce, una fata malvagia la condanna a pungersi con un fuso, al compimento del sedicesimo anno, passando dalla vita alla morte. Una fata buona sancisce un possibile rimedio: un principe che si innamora della giovane e la bacia. Disney anima drammaticamente la profezia: non sappiamo se il principe apparirà, se si innamorerà, se, vedendola morta, la bacerà, ridestandola da quella che sarebbe stata morte, ma grazie al bacio, solo sonno. Altra intuizione formidabile: i due si incontrano in sogno. Il cartone animato è il luogo del sogno. È, con il music-hall, un genere discendente dalla commedia rifondata da Shakespeare, non satira come prima di lui, ma fiaba incantata e spesso ridente, della stessa stoffa dei sogni. Impalpabile, come il cartone animato, non corpi viventi o vissuti, nelle immagini della pellicola, ma immagini apparse oniricamente. In un decennio Disney affronta una gran parte del nucleo fiabesco occidentale, a cui in seguito affiancherà le avventure arabiche di Aladino e altre storie. Sleeping Beauty, filmato in tecnirama su grande schermo, inizia con l’apparizione di un castello, come in Amleto, simbolo medievale del mondo che tutto include. Che si stia parlando del mondo, nella metafora di quel reame, che stia iniziando una storia cosmologica, appare chiaro dai nomi delle fate: Flora, Fauna e Serena, il mondo vegetale, animale, il cielo. Protetta dalle tre beniamine in una casetta in campagna, sotto spoglie di contadinella, al compimento del sedicesimo anno finalmente Aurora torna a Corte dove fervono i preparativi per la gran festa. Ma fatalmente tocca un fuso, si punge, entra nell’incantesimo della morte come si entra in un sogno. Con lei cade addormentato tutto il castello, diffondendosi nell’aere l’elisir del sonno, il mondo muore con lei, i soldati, le bandiere, le dame che sbadigliano, tutto incantato da una ferale immobilità. Il principe non demorde, traversa il bosco, combatte i mostri, giunge al reame addormentato. Sale lo scalone, la vede, immobile, nel letto. Morta. Come morta, grida in lui la forza cieca dell’amore che alla morte non si piega. Ci vuole più coraggio a baciare un amato morto che a affrontare un drago eruttante fiamme. Si china, la bacia. Questo bacio scandaloso, incredulo della morte o indifferente, sveglia la principessa, ma anche la fontana, le dame, le guardie, il mondo. Gli squilli di tromba non evocano la sghembatura dell’asse, il marcio di Danimarca, come quelli che ci introducono nella reggia di Amleto. Ma, al contrario, annunciano la rinascita e il matrimonio di Aurora. «Così, in un bacio, muoio». Romeo si toglie la vita, disperato, di fronte al corpo di Giulietta che dormiva per un narcotico. Non riconosce il sonno, lo scambia per morte, si toglie la vita, e poi, morendo, la bacia. Il principe invece non esita, il suo amore è superiore alla visione della morte, la bacia, e basta. Così, in un bacio, lei si ridesta, il mondo rinasce. Pensiamo al celebre verso di Dylan Thomas: «E la morte non avrà dominio ». Sleeping beauty è il mito di questa rinascita, il trionfo dell’Anima. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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