venerdì 13 agosto 2021
Nell'agosto del 1941 sulla nave “Prince of Wales” stabilirono i principi delle future Nazioni Unite. Lo storico Zani: «Inserirono un forte respiro ideale alla base delle esigenze militari»
Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt a bordo della “Princes of Wales” presso Terranova nell’agosto del 1941

Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt a bordo della “Princes of Wales” presso Terranova nell’agosto del 1941 - archivio

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Quando il capitano di vascello della Marina britannica John Catterall Leach accolse Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt a bordo della nave da battaglia Prince of Wales era un calda estate del 1941. Gli Stati Uniti non erano ancora entrati in guerra mentre la Gran Bretagna aveva già affrontato l’ora più buia della Battaglia d’Inghilterra (10 luglio-31 ottobre 1940) contro la furia nazista scatenata dalla Luftwaffe di Herman Göring. La baia di Argentia dell’isola di Terranova diventò il luogo geografico perfetto per uno degli atti di diplomazia destinati a rimanere nella storia, non solo perché l’incontro tra il premier inglese e il presidente degli Stati Uniti d’America era il primo tra i due, ma perché tra il 12 e il 14 agosto di quell’anno entrambi firmarono il “The Atlantic Charter”, il documento che poneva le basi per la nascita dell’Onu. «La Carta Atlantica ha ragioni ed effetti immediati, ragioni ed effetti di più lungo periodo. Nell’immediato, accelera il coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto – spiega Luciano Zani, professore ordinario alla Sapienza Università di Roma –. L’aperto sostegno economico alla Gran Bretagna, rimasta sola a combattere contro la Germania, passa attraverso l’approvazione della Legge affitti e prestiti del marzo ’41, che consente la fornitura di materiale bellico a condizioni molto favorevoli, si accentua con la rottura delle relazioni diplomatiche con Germania e Italia a maggio e diventa sostegno militare a giugno, con l’impegno a scortare e difendere fino all’Islanda convogli di aiuti a nazioni alleate. Finché la minaccia giapponese agli Usa, concretizzata con l’attacco alla flotta americana a Pearl Harbor il 7 dicembre del 1941, chiuderà il cerchio del coinvolgimento americano nella guerra, a questo punto veramente mondiale». La firma congiunta sulla Carta Atlantica, redatta in otto punti dagli estensori, sembrava riprendere e aggiornare i “Fourteen points” del presidente americano Woodrow Wilson che nel discorso pronunciato l’8 gennaio 1918 davanti al Congresso degli Stati Uniti, riunito in sessione congiunta, conteneva proprio i “quattordici punti” relativi allo scenario mondiale da disegnare dopo la Grande Guerra.

Accanto all’auspicio della distruzione della tirannia nazista, Usa e Gran Bretagna fissarono le linee di un nuovo ordine democratico da costruire a conflitto concluso: rispetto dei principi di sovranità popolare e di autodeterminazione dei popoli, libertà dei commerci, libertà dei mari, cooperazione internazionale, rinuncia all’uso della forza nei rapporti tra gli Stati. «Aver inserito un forte respiro ideologico-politico alla base delle esigenze militari, per di più alla vigilia di un anno, fino alla primavera-estate del ’42, nel quale le potenze del Tripartito raggiungeranno la loro massima espansione territoriale, va ascritto a grande merito dei due statisti – aggiunge Zani –. Roosevelt riesce a concretizzare, dopo due anni di neutralità e di preva- lenza isolazionista dell’opinione pubblica americana, il suo sostegno a Londra, già implicito nelle parole pronunciate alla radio nel settembre ’39». Proprio il presidente americano ai microfoni aveva detto: «Questa nazione rimarrà una nazione neutrale, ma io non posso chiedere a ogni americano di rimanere neutrale nei suoi pensieri. Anche un neutrale ha diritto di guardare a occhi aperti ai fatti. Anche a un neutrale non si può chiedere di chiudere la sua mente e la sua coscienza ». E Churchill, i cui occhi, oltre che aperti, cercavano di guardare lontano, rispondeva in totale sintonia: «Dateci gli strumenti e noi finiremo il lavoro». Il documento, dunque, rappresentò una vera e propria svolta: «Nel più lungo periodo, la Carta Atlantica è un seme destinato a dare frutti duraturi – prosegue Zani –. Come nella Prima guerra mondiale, gli Stati Uniti di fatto operano come l’arsenale delle democrazie. Con la Carta Atlantica questo ruolo ha un suggello ufficiale: il carattere democratico e anti-nazifascista fissa le caratteristiche ideologiche della guerra, esplicitando una serie di principi destinati a sopravvivere alle dimensioni più distruttive e ciniche che le esigenze militari attueranno, fino a smentire, nel corso della guerra, alcuni di quei principi per riaffiorare e rinvigorirsi dopo la fine del conflitto». Certo Stalin non apprezzò la presa di posizione bilaterale delle due democrazie, ma alla fine, come sottolinea lo storico, «firmerà, il 1° gennaio 1942, la “Dichiarazione delle Nazioni Unite”, cioè l’impegno a sostenere la Carta Atlantica, a impiegare tutte le risorse disponibili nella guerra contro le potenze dell’Asse e a non negoziare una pace separata con alcuna di esse, sottoscritto da ventisei governi nazionali, anche la Cina tra questi, alcuni dei quali in esilio, altri firmatari si aggiungeranno successivamente, fino al 1945. Le due nuove parole, Nazioni Unite – conclude Zani – danno un valore aggiunto, etico e politico, al termine Alleati, spostando l’accento da un’alleanza a scopi esclusivamente bellici a un’organizzazione internazionale generale per il mantenimento della pace».

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