giovedì 9 giugno 2016
Pouivet: più morale per l’Europa
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«Nei grandi interrogativi contemporanei, come il senso preso dalla globalizzazione o l’impatto crescente delle tecnologie, vi è sempre un aspetto morale, ma paradossalmente la tradizione filosofica morale che risale ad Aristotele è stata trascurata nel Novecento. Occorre tornare a prendere coscienza che certe risposte filosofiche maturate nei secoli conservano una sorprendente attualità come base d’analisi delle sfide di oggi». A sostenerlo è il filosofo francese Roger Pouivet, docente presso l’Università della Lorena e autore d’importanti saggi dedicati a questioni estetiche e religiose (come il recente Epistémologie des croyances religieuses, Cerf ). Il pensatore ha preso la presidenza della neonata Società europea di filosofia morale (Esmp, sito internet: moralphilosophy.eu), sostenuta da figure di spicco come Robert Spaemann e Rémi Brague. È un’istituzione che parla pure molto italiano, coinvolgendo fra l’altro nel board giovani ricercatori e docenti come Damiano Bondi, Marco Bellia ed Elisa Grimi (Università di Neuchâtel), al timone della rivista “Philosophical news” (pubblicazione ufficiale della società, pure su internet). Anche la politica torna a parlare di “crisi morale”, come ha fatto nei giorni scorsi la sindaca socialista di Parigi, Anne Hidalgo. Emerge una nuova consapevolezza? «La crisi morale può essere vista come una costante dell’agire umano e il problema non è certamente nuovo. Ma, da qualche tempo, la consapevolezza torna a crescere. Gli anni Cinquanta e Sessanta avevano riposto grandi speranze nelle scienze umane e sociali. Pure nel linguaggio filosofico, le “questioni etiche” sembravano pronte a soppiantare quelle “morali”. Psicologia, sociologia e antropologia sono state chiamate a nutrire la riflessione su convivenza e agire umani. Ma oggi, molti filosofi sono sensibili a un recupero e a una nuova formulazione degli interrogativi morali fondamentali. Ciò non significa trascurare certe conclusioni delle scienze umane e sociali, ma comprendere la fecondità di tante lezioni radicate nella storia della filosofia». Papa Francesco, riconosciuto come autorità morale ben al di là del mondo cristiano e credente, ha appena ricevuto il Premio europeo Carlo Magno. Un’occasione per riflettere? «Senz’altro. Quest’assegnazione è un evento molto significativo e importante. Nel nostro continente, matura da tempo un vero appetito di riflessione morale. La nostra società non ha scelto a caso di far riferimento alla dimensione europea. Pur trattandosi di un organismo aperto su scala planetaria, ci è parso importante far lavorare assieme innanzitutto dei filosofi europei. Sul piano della filosofia morale, occorre tornare a riflettere su ciò che l’Europa può offrire al mondo e su cosa può ricevere in cambio». La coppia filosofia e morale riconduce alla figura di Kant. Quell’eredità è al diapason con gli interrogativi contemporanei? «Resta un punto di riferimento inevitabile e centrale. Ma negli ultimi quarant’anni, si osserva pure la rinascita della filosofia e della teoria delle virtù, la quale era quasi scomparsa fra fine Ottocento e prima metà del Novecento. Questa ripresa si deve ad esempio a grandi figure come la filosofa inglese Elizabeth Anscombe, non sempre in stretta relazione con la religione o con la filosofia medievale. Emerge così un dialogo fecondo fra la filosofia deontologica più legata al pensiero di Kant e una filosofia delle virtù che riallaccia i fili con la tradizione aristotelica, con san Tommaso e con figure contemporanee come Anscombe e Philippa Foot. C’è grande fermento, con tante giovani leve che nutrono gli stessi dibattiti ai quali la nostra società intende partecipare». In che modo?  «Il 27 e 28 ottobre organizzeremo a Verona un primo convegno dal titolo volutamente molto generale, “ What is good?”, anche in una chiave programmatica per l’associazione, oltre che per facilitare gli scambi fra coloro che si rivendicano principalmente nel solco di Kant o Hume, e chi torna ad approfondire la filosofia delle virtù. Ovvero, per semplificare in modo grossolano, fra chi giudica importante definire le regole morali e chi giudica essenziale innanzitutto comprendere cos’è una vita buona, nella tradizione aristotelica. Il dibattito contemporaneo tende un po’ a strutturarsi lungo queste linee. In ogni caso, la società non vuol essere un cenacolo per specialisti di filosofia morale, ma un luogo d’incontro anche per filosofi o ricercatori di altri campi interessati alle questioni morali». A proposito di apertura, viene in mente l’attuale dibattito economico attorno alla preservazione dei beni pubblici e al benessere condiviso… «Certamente. Degli economisti come Joseph Stiglitz o Amartya Sen, ad esempio, hanno sottolineato che non può esservi completa separazione fra questioni economiche e morali. Anche perché le risposte alle questioni economiche hanno pure conseguenze morali». Dopo la Cop 21 di Parigi sul clima, si sta affermando pure una nuova morale di tipo ecologico, anche alla luce dell’enciclica Laudato si’? «Da questo punto di vista, l’enciclica sta svolgendo un ruolo molto importante. Buona parte degli interrogativi ecologici toccano la nostra definizione stessa dell’essere umano, così come la comprensione di ciò che dovremmo essere e dei limiti della nostra azione, anche rispetto alla nostra dignità e alla nostra finalità. Lo stesso si può dire per questioni specifiche emerse di recente, come quella della sofferenza animale. Inoltre, come in passato, anche la politica, l’organizzazione del lavoro o l’arte intesa come realizzazione del potenziale umano continuano ad implicare sempre una riflessione morale».
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