martedì 25 maggio 2021
Ammirato da Manzoni e da Stendhal, fu imitato anche da D'Annunzio. A 200 anni dalla morte risalta l’efficacia letteraria della sua lingua e la capacità di farci ridere e pensare
Il poeta Carlo Porta (1775-1821)

Il poeta Carlo Porta (1775-1821) - archivio

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Il più celebre poeta in dialetto milanese, Carlo Porta (1775-1821) visse solo quarantasei anni. Quando morì per un attracco di gotta - aveva fama di bon vivant - Alesando Manzoni ne informò subito l’amico parigino Claude Fauriel: il suo talento ammirevole, scrisse, «se perfectionnait de jour en jour» e lo porrebbe ai vertici della poesia se avesse scelto di esprimersi in una lingua «cultivée » anziché in dialetto. Il fatto è che Manzoni voleva dare la lingua a una futura Italia estesa dalle Alpi alla Sicilia, come scrisse in Marzo 1821, l’ode composta nell’anno in cui moriva l’amico Carlo e lui cominciava il romanzo. Al poeta cresciuto alla «scoeura de lengua del Verzee », invece, i confini tra le classi premevano più di quelli tra le nazioni. Bancario di mestiere ma poeta (e intellettuale) di vocazione, Porta passò tutta la vita nei pressi del Duomo e del Verziere. La città del suo tempo è una Milanin e una Milanon al tempo stesso, per usare l’immagine di Emilio De Marchi. I suoi 120.000 abitanti oggi sono quelli di una città di provincia; ma con Napoleone era capitale di uno stato che copriva buona parte dell’Italia del nord e si chiamava Regno d’Italia. Nella stagione illuministica del 'Caffè' e quella romantica del 'Conciliatore', era tra i centri culturali più vivaci d’Europa. Soggetta ai francesi e agli austriaci, preparava la prima stagione risorgimentale, tra i moti del 1821 e l’insurrezione del 1848. Porta salutò fiducioso l’arrivo dei riformatori francesi, condannò le loro prepotenze, si illuse che con l’Austria tornasse il riformismo e la tolleranza dei tempi di Maria Teresa, ma dovette presto ricredersi e criticare la politica della Restaurazione. Non fu un voltagabbana: restò fedele ai suoi ideali: una maggior autonomia dallo straniero, la fine dell’Antico regime.

Poeta eccentrico, Porta fu capito dagli scrittori prima che dai critici: Stendhal lo chiamò « charmant », Foscolo lo definì l’«Omero dell’Achille Bongé»; Manzoni suggerì di far uscire, contemporaneamente ai Promessi sposi, anche le Poesie di Porta in dispense illustrate simili a quelle in cui pubblicava il suo romanzo. Lo apprezzarono gli autori lombardi, inclini al realismo e all’espressionismo: Carlo Dossi, Delio Tessa, Carlo Emilio Gadda. Ma anche, chi lo direbbe?, un autore che abitava agli antipodi della sua lingua e del suo stile: Gabriele d’Annunzio. Anni fa scovai, negli archivi del Vittoriale, una poesia in cui l’Imaginifico, afflitto dai fastidi di un precoce invecchiamento, dalla messa all’indice di certi suoi testi, criticato dagli scrittori più giovani per il suo classicismo, seppe trasformare in umorismo la sua malinconia. Combinò e rimaneggiò, adattandoli a sé, alcuni versi delle Desgrazzi de Giovannin Bongee, del Testament d’Apoll e di Carlo Porta poetta ambrosian, e ne cavò questa gustosa auto-caricatura: «Ah, Gabriell de la mala fortuna / dov’eel ch’el t’ha redutt el tò destin! / Gabriell e Canaja l’è tuttuna. / Apoll desbirolaa dalla veggiaia / Apoll scommunicaa dal Vatican / Apoll intapponii su’n pocch de paja / e riscommunicaa da Ca’ Marin / el dichiara e el protesta a tutt Milan / el protesta e el dichiara, Ernest, a tì: / 'Ohi, ohi, mi creppi! Ma no stèl a dì'». Nella poesiola, datata 9 marzo 1928, D’Annunzio si firma «Gabriel el poetta ambrosian», e si rappresenta come un Apollo sgangherato e perseguitato dalle autorità religiose e civili: dimessi i panni del Vate narcisista, ci fa sorridere e ci fa pure simpatia

L’interesse per Carlo Porta e la poesia dialettale in genere fu particolarmente fervido nel dopoguerra, in un clima che riscopriva gli umori vitali del mondo popolare e del suo linguaggio. Anche la canzone di qualità se ne giovò: chi ha qualche annetto ricorderà Ma mì di Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi (1959), la storia di un balordo che si riscatta nella Resistenza, o El purtava i scarp de tennis di Jannacci (1964), tenero ritratto di un barbone innamorato. Primo e riconosciuto artefice del rilancio di Porta fu Dante Isella, stimolato dal suo maestro Gianfranco Contini, che in Carlo Porta vedeva uno snodo di quella linea espressionista e realista lombarda che partiva da Folengo per arrivare a Gadda. Di Porta Isella pubblicò l’edizione critica e commentata delle poesie e delle lettere, e tanti studi poi raccolti nel 2002 nel volume intitolato significativamente Carlo Porta: cinquant’anni di lavori in corso. Suo intento fu quello di li- berare Porta dal color locale, dal clima di bonomia ambrosiana, dall’etichetta di verseggiatore licenzioso e macchiettista, e di valorizzare invece lo spessore del suo impegno, riassunto nella formula «normalità del comico». L’acme degli studi portiani fu il 1975, col convegno per il bicentenario della nascita intitolato Carlo Porta e la tradizione milanese: le due officine principali erano le università di Pavia e di Milano.

Da allora in poi, salvo errore, si è guardato più alla tradizione prima e dopo Porta che non allo charmant Carline: Tanzi, Balestrieri, Grossi, Tessa, Loi... Pensiamo ai cataloghi delle due grosse mostre di Brera a cura di Isella (1999) e di a cura di Luca Danzi e Felice Milani (2010) e ai voluminosi atti dei convegni sulla Milano di Francesco Cherubini a cura di Silvia Morgana e Mario Piotti (2019). Quanto a monografie, il nuovo secolo registra solo quella di Mauro Novelli (2013), con un originale taglio antropologico e identitario. Coraggiosa poi la traduzione in versi di vari testi portiani operata da Patrizia Valduga (2019). In breve, negli ultimi decenni la partita di Porta, a differenza di quella dell’altro grande dialettale di primo Ottocento, il romano Belli, si è giocata in difesa: le ragioni stanno, credo, anche nell’estinzione del dialetto, che a Milano è più rapida che altrove: preziosa, perciò, la resistenza di dizioni orali, come quelle di Anna Nogara, Gianfranco Scotti, Marco Balbi. Perché la poesia in dialetto va detta, più che letta. Chiediamoci; regge, oggi, la qualifica di grande, per il nostro autore? Nella storia della cultura letteraria il suo posto è certo inamovibile: romantico già prima dei romantici, difese la dignità del dialetto e demolì con il riso i reazionari, dame pretenziose e preti senza vocazione; iniettò il sangue della vita e il colore dell’espressività in una letteratura esangue e cartacea; soprattutto fece raccontare se stessi, nel loro dialetto, i mille Renzo e Lucia ignorati, umiliati e offesi della storia.

Nel cielo senza tempo della poesia, restano incisi alcuni ritratti indelebili, a partire dalla Ninetta del Verzee. Con acume prefemministico, sottrae al secolare sberleffo misogino la figura della prostituta, dandoci con Ninetta un personaggio umanissimo e dignitoso. Il meglio di sé Porta lo dà nei poemetti, racconti in versi e teatro dialogato in forma verseggiata. Restano memorabili i testi in cui Porta dileggia l’inverosimile agiografia fratesca ( Fraa Diodatt, On miracol), canzona i letterati passatisti ( El romanticismo, l’epitalamio verri-Borromeo), sfoga lo sdegno per la religione bistrattata da preti e dame che si credono pii ( El miserere, La preghiera), cava scintille dallo scontro tra l’ipocrisia dei ceti privilegiati e la schiettezza del popolo ( La nomina del cappellam Meneghin biroeù). Qui Porta sa farci ridere e pensare: un dono che è solo dei grandi autori.

Un convegno e una mostra a Milano

“On talent inscì foeura de misura. Carlo Porta nel bicentenario della morte” (1821 2021) è il titolo dialettale del convegno di studi che la città di Milano in collaborazione col Comitato nazionale per il bicentenario portiano, istituito dal Mibact, dedica al suo maggiore poeta in vernacolo inaugurando le celebrazioni dell’anno bicentenario. Due giorni di lavori, il 27 e il 28 maggio, che vedranno gli interventi di alcuni dei maggiori esperti del settore, con la direzione scientifica di Silvia Morgana e Mauro Novelli e l’organizzazione di Luca Cadioli. Nell’occasione verrà presentata la mostra “El sur Carlo milanes”, a cura di Mauro Novelli, che si terrà nella Sala del Tesoro del Castello Sforzesco dall’11 giugno al 25 luglio 2021. I lavori saranno aperti proprio da una relazione di Pietro Gibellini, dell’Università Ca’ Foscari, sul tema “La poesia di Carlo Porta: personaggi in cerca d’autore”. Seguono, fra gli altri, interventi di Marco Ballarini, Gianluca Albergoni, Mauro Novelli, Giuseppe Polimeni, Claudia Berra, Giovanni Biancardi, Franco Brevini, Federica Alziati.

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