mercoledì 24 dicembre 2014
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Tra varianti e fedeltà alle pagine di J. M. Barrie, Peter Pan è apparso più volte sul grande schermo. Dal lungometraggio animato della Walt Disney del 1953, alla riduzione televisiva del 1976, in cui è Mia Farrow a indossare i panni dell’eterno bambino. In Hook, diretto da Steven Spielberg nel 1991, Robin Williams impersona un Peter Pan cresciuto e sposato, perciò succube del tempo, mentre Dustin Hoffman è il suo alter-ego Capitan Uncino. Più recenti, il film Neverland. Un sogno per la vita del 2004, dove Johnny Deep interpreta Barrie; e Neverland. La vera storia di Peter Pan del regista Nick Willing (2011). E a luglio 2015 arriverà Pan, avventura in 3D con Hugh Jackman e il nuovo Peter Pan piccolo Levi Miller (foto). Anche molti cantanti si sono ispirati alla sua storia: da Lou Reed a Patty Pravo, Enrico Ruggeri e Edoardo Bennato (che ha ispirato anche un musical di successo). Non a caso Michael Jackson aveva battezzato il suo ranch californiano “Neverland”. Infine, la psicoanalisi ha mutuato dal personaggio la tendenza a persistere nell’infanzia e a rifuggire le responsabilità dell’età adulta: la cosiddetta sindrome di Peter Pan. (L. M.)Il 27 dicembre 1904 al Duke of York’s Theatre di Londra andava in scena una strana commedia, intitolata Peter Pan o il ragazzo che non voleva crescere. L’autore, lo scozzese James Matthew Barrie, aveva quarantaquattro anni e al suo attivo un paio di romanzi in larga parte autobiografici e altrettanti lavori teatrali, i quali gli avevano conferito una discreta, seppur circoscritta, notorietà. Dopo una breve e deludente esperienza da giornalista per il Nottingham Journal, Barrie si era trasferito nella capitale deciso più che mai a intraprendere la carriera di scrittore. A due giorni esatti dal debutto, l’autore trascorse la notte di Natale riscrivendo il finale della commedia e arrivando a ben cinque stesure del testo, prima della versione definitiva. Ma ne era valsa la pena: malgrado le critiche avvelenate di impresari e addetti ai lavori, Peter Pan riscosse uno strepitoso successo assicurandosi una valanga di repliche, tanto da risultare una delle commedie di maggior successo del secolo.  Merito sicuramente della trama a dir poco bizzarra, impensabile per i canoni del teatro inglese, all’epoca abbastanza tradizionale, oltre a mezzi tecnici e marchingegni particolari adottati per consentire tra l’altro al protagonista di spiccare il volo sul palco. Solo nel Regno Unito, la commedia ha avuto più di dodicimila rappresentazioni, essendo a tutt’oggi lo spettacolo natalizio maggiormente richiesto e seguito dai bambini inglesi; e quasi due milioni di persone di tutte le età hanno assistito nei teatri di New York alle peripezie di Peter Pan, nel ventennio successivo al debutto avvenuto negli Stati Uniti l’anno dopo, nel 1905. Ma al Duke of York’s, nel West End di Londra, quel 27 dicembre accadde qualcosa di memorabile: in prima fila sedevano venticinque orfani, invitati dallo stesso autore, curioso di sorprendere la loro reazione dinanzi alla prima apparizione in pubblico del “ragazzo che non voleva crescere”. Molti di questi piccoli ospiti entravano per la prima volta in un teatro, meravigliandosi delle luci scintillanti e di quell’ambiente dove storie e sogni prendevano vita: del resto, Peter Pan era nato per loro. A cominciare dalla sua primissima e fugace presentazione in The little white bird, romanzo pubblicato da Barrie nel 1903 da cui, tre anni dopo, l’editore Hodder and Stoughton estrarrà sei capitoli dandoli alle stampe separatamente col titolo di Peter Pan nei giardini di Kensington, con cinquanta illustrazioni di Arthur Rackham. E i Kensington Gardens risultano lo scenario ideale per la comparsa sia di Peter, «bambino mai nato», sia di quel mondo fatato che, in un secondo momento, prenderà nome e sembianze di Neverland, ossia “L’isola che non c’è”. Era in questi giardini, non distanti dal suo appartamento in stile vittoriano al 133 di Gloucester Road, uno dei quartieri più esclusivi di Londra, che lo scrittore passeggiava ogni giorno portando al guinzaglio un enorme cane di San Bernardo: Porthos. Ed era qui, dopo il fallimento del matrimonio con l’attrice Mary Ansell, che Barrie accompagnava i cinque figli di Sylvia e Arthur Llewelyn Davies, dando corpo grazie a loro alle avventure di Peter Pan, così come le conosciamo dal romanzo pubblicato nel 1911 col titolo poi modificato di Peter e Wendy.  I cinque bambini — George che nel 1906 aveva tredici anni, John di dodici, Peter di nove, Michael di sei e Nicholas di tre — alla morte dei genitori saranno adottati dallo stesso Barrie. Dai giardini di Kensington, Peter Pan si alzerà in volo insieme alla minuscola, volteggiante e alata Tinker Bell, Campanellino; al suo acerrimo nemico captain James Hook, capitano Giacomo Uncino, leader indiscusso dei pirati dell’“Isola che non c’è”; e alla banda dei Bimbi Sperduti, con a capo proprio Peter. Presto però la felicità familiare dello scrittore sarà sconvolta dallo scoppio del primo conflitto mondiale, infrangendo quel mondo di sogni. I maggiori dei ragazzi Llewelyn Davies, George e Peter, partiranno volontari per il fronte, dove George rimarrà ucciso nel 1915, a ventidue anni; Peter si suiciderà tempo dopo. Mentre l’altro Peter, quello letterario, sopravvivrà alle guerre e al mondo degli adulti, senza crescere mai e giungendo fino a noi con il suo spirito puro e la risata argentina. Un personaggio autentico odiato da George Bernard Shaw, che lo riteneva un «mostro artificiale », amato invece da Henry James e Robert Louis Stevenson, l’autore de L’Isola del Tesoro, il quale diceva di Barrie: «Io sono un artista, lui un genio».
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