martedì 28 febbraio 2023
A un mese dalla morte dell’economista emerge l’attualità della sua critica al sistema liberista dominante e della sua proposta mesoeconomica capace di mettere al centro la dignità della persone
L’economista Luigi Lodovico Pasinetti

L’economista Luigi Lodovico Pasinetti - Imagoeconomica

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Luigi Lodovico Pasinetti è stato uno degli economisti più originali e radicali nel proporre un’alternativa al paradigma economico dominante. In tutta la sua lunga carriera ha cercato di costruire una teoria quanto più possibile rigorosa e al tempo stesso realistica, capace di indicare la via per uno sviluppo equo, fondato sulla priorità del lavoro umano in tutte le sue dimensioni. Professore emerito dell’Università cattolica del Sacro Cuore, accademico dei Lincei e membro della Pontificia accademia delle scienze, Pasinetti è stato al centro di ampi dibattiti, confrontandosi, spesso con successo, con i più importanti economisti del XX secolo, molti dei quali insigniti del premio Nobel. Nato a Zanica, nella Bergamasca, il 12 settembre 1930 in una famiglia di modeste origini, Luigi si è spento a 92 anni il 31 gennaio scorso, a Varese. Laureatosi a pieni voti nel 1955 alla Cattolica sotto la supervisione di Francesco Vito e Siro Lombardini, Pasinetti continuò la sua formazione a Cambridge in Inghilterra (con periodi di studio anche a Harvard e Oxford). A Cambridge, Pasinetti si inserì nel gruppo degli economisti impegnati a sviluppare le idee di John M. Keynes, padre della macroeconomia moderna, estendendone l’analisi ai temi della crescita e della distribuzione del reddito. Qui Pasinetti incontrò anche Piero Sraffa, critico acutissimo della teoria neoclassica e sostenitore di una ripresa in chiave moderna delle idee degli economisti classici (Smith, Marx e, in particolare, Ricardo). Da queste due ispirazioni emerse il programma di ricerca che Pasinetti avrebbe poi perseguito per tutta la vita: la costruzione di una sintesi fra paradigma classico e keynesiano, di una teoria capace di analizzare la struttura e la dinamica dei sistemi economici industriali, offrendo una bussola per la realizzazione di un’equa distribuzione della ricchezza e della piena occupazione. Fra un’indagine solo macroeconomica (centrata sui grandi aggregati) o solo microeconomica (centrata sul comportamento di imprese e consumatori), Pasinetti ha adottato una prospettiva che potremmo chiamare “mesoeconomica”. L’economia è infatti composta da tanti settori economici, connessi fra loro, ma ciascuno caratterizzato da dinamiche specifiche in termini di progresso tecnologico e andamento della domanda. Dall’interazione di queste dinamiche settoriali emergono gli andamenti macroeconomici e gli obiettivi da perseguire, sia a livello settoriale che per l’economia nel suo insieme. Tale analisi multisettoriale, che Pasinetti chiama “dinamica strutturale”, spiega in modo semplice e immediato come i sistemi industriali moderni non siano automaticamente in grado di realizzare tutte le potenzialità di benessere e di crescita che l’evoluzione dell’«apprendimento umano» rende via via disponibili. Il progresso tecnologico, frutto della conoscenza e delle sue applicazioni, aumenta la produttività del lavoro e, con esso, la quantità e la varietà di beni e servizi; tuttavia, i fabbisogni di consumo tendono a saturarsi o, comunque, a crescere in misura inferiore alla produzione, riducendo la domanda di lavoro e creando disoccupazione tecnologica. D’altra parte, i limiti delle risorse naturali e la preservazione dell’ambiente rendono impossibile una crescita economica basata sulla continua espansione della domanda. Per Pasinetti, gli squilibri della dinamica strutturale non possono essere risolti, se non in piccola misura, attraverso i meccanismi di aggiustamento dei prezzi e una riduzione generalizzata dei salari: al contrario, per evitare il formarsi della disoccupazione tecnologica, è necessario che salari e stipendi aumentino al ritmo della produttività, sostenendo il potere d’acquisto delle famiglie. Più in generale Pasinetti indica la necessità di misure volte a facilitare i processi di mobilità intersettoriale del lavoro, formare in maniera continua i lavoratori, ridurre gli orari di lavoro. Occorrono politiche fiscali e monetarie tese a regolare la domanda aggregata e la distribuzione del reddito; politiche di regolamentazione finanziaria per convogliare il giusto flusso di risparmi verso investimenti di carattere reale anziché puramente speculativo; politiche industriali per facilitare lo sviluppo dei settori più strategici dal punto di vista occupazionale, sociale e tecnologico, in un’ottica di lungo periodo. Pasinetti era un credente. La sua fede vissuta in maniera discreta, senza divisioni artificiose fra fede e vita, era per lui “il” punto di vista dal quale affacciarsi sulla realtà. Spesso in antitesi con l’approccio dominante Pasinetti ha cercato di mostrare come la teoria economica debba e possa aprirsi ai princìpi e alle domande poste dall’etica e dalla dottrina sociale della Chiesa, senza chiudersi in un sistema intellettuale autosufficiente, che ritiene di poter stabilire e raggiungere da solo le proprie condizioni di efficienza e di equilibrio, grazie alla mano invisibile del mercato. L’approccio di Pasinetti è, invece, aperto ai contributi di tutte le scienze sociali e disegna un’economia i cui obiettivi e i cui strumenti devono essere definiti, almeno in parte, all’esterno di essa, sulla base di valori e obiettivi condivisi e perseguiti con strumenti anche diversi dal mercato. Per Pasinetti, il centro dell’economia è la persona umana e su di essa, sulla sua dignità, sul suo lavoro devono essere misurati tanto il valore dei beni quanto le finalità e i meccanismi che regolano il mercato. Una lezione, quella di Pasinetti, che genera speranza fra quanti chiedono un profondo rinnovamento della teoria e della prassi economica e credono che l’economia possa e debba essere indirizzata verso la cura del bene comune.

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