lunedì 2 novembre 2015
​Alla maratona più bella del mondo una storia di grande sport. Quando la fatica significa molto di più che un piazzamento. (Roberto Cutaia)
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La 45ᵃ edizione della New York City Marathon è stata vinta dagli atleti degli altopiani africani (Stanley Biwot 2h10’34” e Mary Keitany 2h24’25”). E non è una novità visto che le ultime cinque edizioni maschile e femminile sono state appannaggio degli atleti degli altopiani (Kenia ed Etiopia). In realtà la grande sorpresa italiana 2015 sul percorso newyorkese è stata l’impresa gigantesca di otto maratoneti emofilici che hanno tagliato il traguardo è dimostrato che emofilia e sport possono convivere. «La partecipazione dei nostri atleti - ha affermato Cristina Cassone presidente di FedEmo – e che nonostante l’emofilia, con la determinazione, la preparazione fisica e le terapie idonee nessun obiettivo sia precluso», a conferma «del progetto che porterà a delle linee atte a disciplinare l’accesso alla pratica sportiva per le persone affette da tale patologia, laddove sussistano le condizioni fisiche». Ora nella storia dello sport mondiale - che piaccia o no - non sono in molti a meritarsi un posto “nell’areopago dei Signori dello sport” per stile di vita, coerenza, onestà e umanità. E tra questi campioni di stile, rientra indubbiamente oggi 57enne, il maratoneta nato nell’alto vicentino Orlando Pizzolato. Sposato con Ilaria da trent’anni, due figlie Anna 21 e Chiara di 13 anni (con la passione per il mezzofondo) di professione “personal trainer”. E proprio trent’anni fa nel 1985, il campione veneto dopo una rimonta al cardiopalma sul gibutano Ahmed Saleh, bissò la seconda vittoria dopo quella dell’anno precedente nella maratona più spettacolare e famosa al mondo. «Quella dell’84 è stata più impegnativa sul piano fisico perché faceva molto caldo e c’era molta umidità - spiega Pizzolato - mentre nell’85 la giornata era quasi ideale però agonisticamente più impegnativa perché correvo contro Ahmed Saleh che aveva un primato inferiore di tre minuti rispetto al mio. Credo che quell’anno Ahmed Saleh avesse la miglior prestazione mondiale sulla maratona 2ʰ07’10” contro il mio 2ʰ10’23”. Tra me e lui c’era un gradino di differenza però la maratona di New York che è considerata una maratona particolare deve essere gestita in maniera diversa rispetto alle maratone da cronometro». Maratona di New York per gli italiani significa Orlando Pizzolato. «È la 34ma volta che vado a New York. L’ultima l’ho fatta nel 2011 quando mi sono ritirato dalle gare ufficiali. Dall’88 accompagno il gruppo come testimonial e consulente tecnico di “Terramia”». L’impresa newyorkese di Pizzolato maturò in Emilia Romagna una delle fucine di maratoneti dell’Italia degli anni ‘80-’90 nel team del Cus Ferrara guidato dal “mitico” Giampaolo Lenzi (scomparso a 79 anni nel gennaio scorso). «Ho fatto il cambio nell’82 fino ad allora mi allenavo qui in Veneto sotto la guida prima di Walter Dalle Molle il mio primo allenatore, e poi di Ambu. Dopodiché sono andato a Ferrara, anche per motivi di studio, nel gruppo allenato da Lenzi (tra i quali atleti c’erano Massimo Magnani, Salvatore Bettiol, Emma Scaunich, Laura Fogli, Fausto Molinari, Giuseppe Pambianchi, ndr)». Molta fatica e centinaia di chilometri “macinati” e non di rado avvolti nella fitta nebbia della Pianura Padana. Ecco l’antidoto allo strapotere degli uomini degli altopiani africani, piuttosto che ripiegare nel doping per guadagnare tanti soldi, «vendendo l’anima al diavolo», «secondo me oggi diventa un alibi quando si parla di concorrenza africana».
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