mercoledì 4 giugno 2025
L’autore arabo-statunitense smuove le acque del dibattito politico Usa, incapace (come l’Europa) di reagire davanti alle devastazioni e alle morti di Gaza
Distribuzione di acqua a Nuseirat, nella Striscia di Gaza

Distribuzione di acqua a Nuseirat, nella Striscia di Gaza - Eyad Baba/Afp

COMMENTA E CONDIVIDI

Omar El Akkad ha imparato abbastanza presto ad apprezzare la franchezza. Grosso modo da quando, giovane reporter in Canada, si è trovato a occuparsi di un caso di presunto terrorismo islamico e tra i commenti online ne è spuntato uno di questo tenore: « Non mi fido di nessun articolo sul terrorismo scritto da uno che si chiama Omar». Parole sincere fino alla brutalità, ma tutto sommato preferibili alle complicate perifrasi alle quali un lettore di sentimenti meno conservatori avrebbe probabilmente fatto ricorso per dissimulare un’analoga diffidenza. La storia si ripete, sia pure in modi differenti. Una volta è l’inspiegabile respingimento dell’intera famiglia alla frontiera con gli Stati Uniti, un’altra volta la discriminazione alla rovescia per cui un collega di El Akkad, titolare della rubrica di critica teatrale, si trova costretto a seguire la famosa inchiesta sui “Toronto 18” – tanti erano inizialmente i sospettati di fondamentalismo – solo perché, essendo di origine araba, si presume conosca l’argomento, oltre che la lingua. Di episodi di questo tipo è disseminato Un giorno tutti diranno di essere stati contro (traduzione di Gioia Guerzoni, Gamma Feltrinelli, pagine 192, euro 18,00), il libro che ha proiettato El Akkad sulla scena internazionale. Lo si potrebbe considerare un bestseller riluttante, nel senso che l’autore avrebbe preferito non doverlo scrivere. Non è un memoir, anche se El Akkad attinge abbondantemente alla sua esperienza personale, muovendosi tra i ricordi dell’infanzia al Cairo, dove è nato nel 1982, dell’adolescenza a Doha, in Qatar, e infine della vita adulta in Canada e negli Usa, il Paese di cui è diventato cittadino nel 2021. Questa, in estrema sintesi, la posizione da cui arriva la sua testimonianza, che è nello stesso tempo una denuncia e una rivendicazione di serietà morale. La materia di Un giorno tutti diranno di essere stati contro è però un’altra: lo sterminio della popolazione civile a Gaza, la distruzione del territorio palestinese messa in atto dal governo di Benjamin Netanyahu all’indomani dell’aggressione di Hamas il 7 ottobre 2023 e, più che altro, l’ipocrisia delle potenze occidentali, il cui intervento non va al di là di un vago, rassicurante richiamo ai valori della pace, della democrazia e della convivenza. E con questo siamo di nuovo alla categoria della franchezza. Andato in stampa prima della tornata elettorale dell’autunno 2024, il libro di El Akkad si dimostra particolarmente severo verso l’amministrazione Biden e verso la mentalità liberal d’oltreoceano. L’imbarazzo dimostrato da una figura per molti aspetti emblematica come la rappresentante democratica Alexandria Ocasio-Cortez (« Non ce la faccio più a vedere tutto questo ogni giorno – dice rispondendo a una domanda su Gaza –. Non ho niente a che fare con quello che sta succedendo ») è il sintomo di una dissociazione più profonda, che permette di sentirsi nel giusto e insieme di garantire un sostanziale sostegno a quello che El Akkad qualifica sistematicamente come «genocidio». « La storia stessa della parola “genocidio” – annota – è piena di casi in cui i governi più potenti del mondo fanno di tutto per evitare di usarla, perché comporterebbe un obbligo. Non si è mai pensato che fosse sufficiente definire un genocidio: si è obbligati ad agire». La polemica nei confronti dell’establishment progressista non comporta alcuna condiscendenza nei confronti di un Partito Repubblicano ormai consegnato alle feroci improvvisazioni del rieletto Donald Trump. Ma almeno, osserva con amarezza El Akkad, loro fanno quello che dicono, per spaventoso che sia. I liberal, invece, non riescono a uscire dalla trappola di un generico perbenismo umanitario messo al servizio di un pragmatismo non meno spietato. Non è una questione solamente politica e, di sicuro, non solo di politica statunitense. Il vero obiettivo di Un giorno tutti diranno di essere stati contro è un Occidente incapace di mantenersi fedele alle premesse della propria tradizione. « Per ogni generazione – scrive El Akkad in uno dei passaggi più illuminanti del libro – arriva un momento di totale disgusto, un disgusto che lascia totalmente svuotati, quando si scopre che quell’impegno era solo di facciata, qualcosa di completamente plasmabile, il cui uso primario non è opporsi al male o far rispettare il diritto, no, è mantenere il potere esistente». Si ripetono gli errori di sempre, come se il passato non esistesse, e l’errore principale consiste nel disumanizzare la vittima per mettersi al riparo dal senso di colpa. « In fondo – sottolinea El Akkad – c’è sempre un fattore comune: una voce ambiziosa, retta e pragmatica che dice, “Solo per un istante, per il bene comune, smettete di credere che questo particolare gruppo di persone, da cui per fortuna abbiamo già preso le distanze, sia umano”». Un meccanismo che, grazie alla sua attività di giornalista, El Akkad ha avuto modo di verificare direttamente, visitando a più riprese il campo di detenzione di Guantanamo, nel quale la violazione dei più elementari diritti dei prigionieri ha avuto esiti raccapriccianti. Del resto, sostiene l’autore, a Gaza anche i reporter sono diventati bersagli, così come le scuole e gli ospedali. L’incertezza sul numero (comunque mostruoso) dei morti è dovuta alla cancellazione di questi presidi della vita comune: se nessuno tiene più il conto, la somma diventa per forza trascurabile. «C’è un punto oltre il quale il danno relativo non può più compensare il male assoluto», avverte El Akkad, che nella sua requisitoria insiste spesso sul circolo vizioso della vendetta, la «risorsa universale» che offre l’illusione di ristabilire la giustizia attraverso la violenza. Ancora una volta, la storia dimostra che non è così, che nessuna vendetta mette mai termine al conflitto. Eppure, nonostante tutto, anche El Akkad è convinto che prima o poi lo scandalo di Gaza dovrà finire. Forse nessuno vorrà più ricordare come sia iniziato. Di sicuro, nessuno riuscirà mai a spiegare perché una bambina, appena estratta dalle macerie della sua casa, chieda d’istinto ai soccorritori se per caso non la stiano portando al cimitero.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: