martedì 10 febbraio 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Il cardinale Attilio Nicora dal 2002 è il presidente dell’Amministra­zione del patrimonio della Sede Apostolica (Apsa). Laureato in giu­risprudenza alla Cattolica prima di diventare sacerdote, il porporato lombardo – originario di Varese – è tra le menti giuridiche più esperte della Curia Romana. In Vaticano fa parte, tra l’altro, anche del Consi­glio della II Sezione della Segreteria di Stato; del Supremo Tribunale del­la Segnatura Apostolica; del Ponti­ficio Consiglio per i Testi Legislati­vi; della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Ni­cora ha seguito da vicino i lavori che hanno portato all’Accordo del 1984 con cui si revisionava il Concorda­to del ’29 e ne ha seguito successi­vamente l’applicazione. Per questi motivi è tra le persone più indicate per commentare l’80° anniversario dei Patti Lateranensi, che cade pro­prio domani 11 febbraio. Eminenza, i Patti Lateranensi com­piono ottant’anni. Sono ormai in­vecchiati o conservano la loro at­tualità? «Il primo dei due Patti, il Trattato, chiuse definitivamente la cosiddet­ta 'questione romana' componen­do in modo nuovo il riconoscimen­to dello Stato italiano unitario con Roma capitale e la garanzia piena dell’indipendenza della Santa Sede: è stato vagliato e confermato dai drammatici eventi del secolo scor­so e gode ormai di una stabilità in­discussa nell’ambito internaziona­le. Il secondo, il Concordato, ha trovato attraver­so l’Accordo di modificazione del 1984 un più corretto equili­brio tra le dispo­sizioni della Co­stituzione re­pubblicana e i principi del Va­ticano II, assu­mendo chiaramente il volto di un patto di libertà e collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese. Le materie che esso di­sciplina sono più esposte al variare delle situazioni e degli eventi, ma nella sostanza l’Accordo mantiene il suo valore». Ha senso ancora oggi l’esistenza di uno Stato della Città del Vaticano? «Lo Stato della Città del Vaticano, segno visibile e garanzia sicura del­l’indipendenza della Santa Sede per il libero esercizio della sua missio­ne spirituale nel mondo, ha senso più che mai in uno scenario mon­diale come il nostro: emergenza di popoli nuovi, pluralità di Stati e di Organizzazioni internazionali, esi­genze di dialogo e di cooperazione per un miglior governo della realtà mondiale, drammatici problemi di libertà (anche religiosa), di giusti­zia, di rispetto della dignità di per­sone e nazioni. La possibilità per la Santa Sede di entrare con il proprio volto e la propria peculiarità nella rete relazionale che ne deriva per favorire un autentico progresso del­l’umanità e per assicurare in ogni caso la libertà della Chiesa dipende per non poca parte dalla sovranità sul piccolo Stato in cui ha sede: es­sa ne segnala e ne garantisce l’indi­pendenza nel concreto della vicen- da storica, senza più rischi di inge­renza o all’opposto di 'protettora­to' da parte di chicchessia». In passato i Concordati sono stati stipulati prevalentemente con re­gimi non democratici. Qual è il sen­so di usare oggi, con governi de­mocratici, strumenti pattizi? «Non si tratta più di 'regolamento di confini' in un’ottica di sospetto e di controllo reciproco tra Chiesa e Stati, ma di ricerca, nei singoli con­testi culturali, sociali e politici spes­so molto diversi tra loro, di forme efficaci e liberamente assentite di garanzia della piena libertà della Chiesa nel suo ministero e nelle sue strutture pastorali e di collabora­zione costruttiva con lo Stato a ser­vizio del bene delle persone e della società; ovviamente si presuppone sempre il pieno rispetto della libertà religiosa per ogni persona e per o­gni altra confessione». Hanno senso Concordati e Accor­di dopo il Concilio Vaticano II? «L’ondata anti-concordataria degli anni postconciliari si è a poco a po­co esaurita, anche perché era frut­to di una lettura parziale e distorta dei testi del Vaticano II, il quale ri­fiuta indubbiamente i privilegi ma non i concordati in se stessi (costi­tuzione Gaudium et Spes, 76). Se un concordato si struttura come patto di libertà e di collaborazione ha pie­na legittimità ancor oggi». Il Concordato del 1929 è stato ag­giornato con l’Accordo del 1984. Come mai la Chiesa tende a non u­sare più il termine Concordato? È una questione nominalistica o di contenuto? «Di fatto si preferisce il termine 'ac­cordo' quando si apportano modi­ficazioni a Concordati già stipulati, oppure quando le materie che ven­gono disciplinate ex novo non pre­sentano tratti di completa organi­cità. Alla fine, è comunque una que­stione piuttosto nominale». La Chiesa preferisce i regimi con­cordatari o il modello americano a volte pure lodato, che però con­templa una netta separazione tra Stato e Chiesa? «Nell’ambito delle relazioni istitu­zionali tra gli Stati e la Chiesa catto­lica conta molto la diversità dei con­testi culturali, sociali, politici e la storia caratteristica di ciascuna na­zione. La tradizione di separatismo 'aperto', tipica degli Stati Uniti, as­sicura alla Chiesa reali possibilità di esercizio della sua libertà anche in ambito sociale e pubblico grazie a una legislazione di stampo autenti­camente liberale che rispetta e age­vola le forze vive della società. Di­versa è stata spesso la storia dei Pae­si dell’Europa, molto più segnati da un separatismo polemico e anticle­ricale (o addirittura anticristiano) e da forti e dolorosi ritardi del mon­do ecclesiale nel guadagnare gli o­rizzonti di libertà civile, che pur de­rivano dall’evangelico 'Date a Ce­sare... date a Dio'. A ciascuna si­tuazione si cerca di rispondere con gli strumenti appropriati». Lei, insieme al professor Margiot­ta Broglio, è co- presidente della Commissione paritetica Italia-San­ta Sede per l’applicazione della re­visione del Concordato. Può indi­carci, brevemente, di che cosa si oc­cupa e in quale clima svolge il suo lavoro? «Il clima è da sempre di molto ri­spetto e cordialità; si può discutere anche puntigliosamente, mante­nendo stile, rigore, volontà di ricer­ca di convergenze feconde, e ma­gari trovando anche modo di stare sim­paticamente assie­me; il che, con i tempi che corrono, non è poco. La Commissione si oc­cupa dei profili at­tuativi dell’Accordo del 1984 ancora e­ventualmente non compiuti e delle questioni interpre­tative che derivas­sero nel tempo, anche a seguito del naturale evolversi degli ordina­menti giuridici delle due Parti. È pe­raltro da ricordare che in alcune materie si è preferito, come del re­sto lo stesso Accordo autorizza a fa­re, il livello di rapporti tra Confe­renza episcopale e Governo italia­no (si pensi ai beni culturali o al­l’assistenza spirituale negli ospeda­li e nelle carceri)».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: