giovedì 3 marzo 2022
Dal 5 al 12 marzo sarà il protagonista dell’edizione 2022 del festival Dedica di Pordenone, mentre torna in libreria il romanzo “Zona”. «L’amore è una costante di tutta la letteratura»
Lo scrittore francese Mathias Énard

Lo scrittore francese Mathias Énard - Giorgio Boato

COMMENTA E CONDIVIDI

Il banchetto annuale della confraternita dei becchini, Zona, Bussola, Parlami di battaglie, di re e di elefanti, Ultimo discorso alla Società proustiana di Barcellona, La perfezione del tiro, L’alcol e la nostalgia, tutti libri disponibili presso l’editore e/o, tratteggiano i contorni della cartografia narrativa di Mathias Énard, su cui è incentrata l’edizione 2022 del festival Dedica di Pordenone, che si terrà dal 5 al 12 marzo. Énard è una figura di spicco della letteratura europea contemporanea, e non solo. Classe 1972, lo scrittore d’Oltralpe ma cosmopolita per vocazione e esperienze, nel 2015 è stato insignito del Premio Goncourt per il suo romanzo Bussola. Ma si tratta solo di uno dei suoi straordinari lavori, animati da un forte slancio narrativo oggi non così di moda. Grande appassionato d’Oriente, Énard, libro dopo libro, costruisce un’opera frutto di erudizione e contaminazione di stili, dove cronaca e storia, avventura e amore si intrecciano in tessuto narrativo elaborato, che spinge a sfumare i confini tra fiction e non fiction. Dopo il liceo, Énard prosegue gli studi presso l’Inalco, l’Istituto nazionale di Lingue e civiltà orientali, dove studia arabo e persiano. Al termine del percorso, a partire dal 1993, percorre il Mediterraneo e il Vicino Oriente. Mathias Énard si muove tra Teheran, Il Cairo, Damasco, Beirut dove soggiorna più a lungo, Tunisi, ma anche Roma e Venezia, per poi trasferirsi, nel 2000, a Barcellona dove ancora il suo peregrinare. Eredità dei lunghi e numerosi viaggi è la raccolta di innumerevoli testimonianze e pezzi di storia inattesi che costituiranno materiale per il suo lavoro narrativo. L’esordio letterario avviene nel 2003 con La perfezione del tiro, dove riporta esperienze e vicissitudini di un cecchino in azione in un paese straordinariamente somigliante al Libano. Ad affermarlo come uno dei grandi scrittori europei di questo secolo è il suo quarto romanzo, Zona ora ripubblicato e disponibile dal domani, dall’editore e/o (pagine 446, euro 22,00). Si tratta di un lungo monologo senza punteggiatura che si legge d’un fiato come fosse un racconto di cappa e spada, che si dipana nel corso di un viaggio in treno che porta il protagonista da Milano a Roma e nel corso del quale si inanellano, quasi à la Joyce, storie, vicende e uomini delle guerre del ventesimo secolo.

Quando preparavo questa intervista, nei giorni scorsi, sono stato colpito come tutti dalla guerra tra Russia e Ucraina ma all’improvviso l’ho vista come un tassello di Zona, un romanzo che racconta il nostro Mediterraneo come una storia costellata di guerra e violenza…

In Zona ho provato a parlare del Mediterraneo dando parola al lato nascosto della medaglia. Quello che sfugge al turismo che lo attraversa e lo visita. Ho provato a restituire alla sua storia un afflato epico facendo convivere i due poemi di Omero. All’Odissea, a cui si richiama per il suo muoversi tra i diversi luoghi del mare, si affianca l’Iliade per il richiamo alla violenza e alla guerra che da sempre lo caratterizzano e che sfuggono all’immagine edulcorata che spesso viene restituita. D’altronde la storia del Mediterraneo è rappresentabile da un circolo in cui incontri, saperi e distruzioni si inseguono una dopo l’altro.

Leggendolo ho avuto l’impressione che tentasse di dare forma e bellezza alla violenza…

Più che restituire bellezza alla violenza, che è un topos letterario frequente, la narrazione tenta di dare forma al caos, di restituire comprensibilità a quanto è incomprensibile.

Lo stesso si ritrova in La perfezione del tiro?

Non proprio. Lì, dando corso alla narrazione, ho provato a raccontare cosa succede quando le regole sociali scompaiono. È quanto esprimono le vicende del cecchino che racconto in quelle pagine e che consentono di vedere cosa accade quando una guerra sospende le regole sociali e lascia spazio solo alla violenza.

In Bussola, invece, l’amore è un refrain che ritorna di continuo. Sembra quasi cambiare registro oppure è l’espediente per raccontare la nascita delle categorie di Oriente e Occidente?

L’amore come l’avventura sono una costante di tutta la letteratura. La poesia amorosa medievale è lì a testimoniarlo. Lo si ritrova tra i trovatori ed è l’origine per la quête, la ricerca della propria amata. Esso è ben presente anche nella letteratura mistica, ed è frequente nella letteratura persiana. È un tema frequente, al tempo stesso, universale e immediato da comprendere. Quello di Bussola è un amore che fa da filo tra i due protagonisti del romanzo, e a me serve nell’economia del racconto.

I suoi romanzi, penso a Zona ma penso anche a Parlami di battaglie, di re e di elefanti, sono profondamente intrecciati con la storia, come se fossero romanzi senza fiction…

La storia stessa è una fiction, e nei romanzi si prova quasi a rifabbricarla. Proprio in Parlami di battaglie, di re e di elefanti costruisco una narrazione basata su un viaggio, in realtà mai avvenuto, di Michelangelo a Costantinopoli su invito del Sultano per progettare la costruzione di un ponte che unisca le rive del Bosforo. La storia è un insieme di possibili e in un romanzo se ne può sviluppare uno.

In questo come in Bussola, ma anche negli altri suoi lavori, compaiono sempre sullo sfondo Oriente e Occidente come fossero delle costanti della storia…

L’invenzione dell’Oriente è una costruzione che partecipa alla definizione di sé. Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo la nascita dell’orientalismo lo testimonia. E’ un tentativo di escludere l’Oriente da noi. Ma le frontiere sono sempre mobili. La Sicilia, per esempio, ha dato i natali a Hamdis, uno dei più importanti poeti arabi. A seconda delle circostanze l’Oriente diventa ciò che è desiderabile per la conquista, per i negozi, per l’avventura. Le frontiere e le civiltà sono costruzioni politiche. Le culture e le civiltà sono sempre realtà mobili che non si cristallizzano una volta per tutte in una forma definitiva. E poi come definire, solo per fare un esempio, la civiltà europea che si esprime in una cinquantina di lingue?

Quanto l’hanno influenzata la letteratura araba e la letteratura persiana?

Ho ricavato da esse la libertà della forma. Esse si esprimono mescolando gli stili e i contenuti, si passa dalla prosa alla poesia, dal saggio al resoconto di viaggio senza rigidità. Non che questi elementi non siano presenti anche in autori contemporanei, penso per esempio a Thomas Pynchon ma anche a Curzio Malaparte.

Questa libertà formale la si vede, per esempio, nell’Ultimo discorso alla Società proustiana di Barcellona…

È un lavoro particolare, composto in versi, i cui riporto tutti i miei viaggi ma scritti in altra forma, ed è in qualche maniera la riscrittura, direi in versione microscopica, di tutti i miei romanzi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: