sabato 21 gennaio 2017
Alla guida della Chicago Symphony Orchestra, il direttore è salito sul podio milanese dopo 12 anni di assenza: «La mia dedica alle vittime dell'Abruzzo»
Muti alla Scala con il cuore all'Abruzzo
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Il primo ad alzarsi in piedi è Zubin Mehta seguiti da tutto il pubblico mentre un «Bentornato Maestro» saluta l’ingresso di Riccardo Muti sul palco del Teatro alla Scala. A dodici anni dall’ultima volta, quando il direttore d’orchestra lasciò quella che per diciannove era stata la sua casa. Muti ricambia con un «Grazie». Ma scende subito dal podio. «Avrei sperato di iniziare questa serata con la musica, ma sarebbe stato assurdo in un giorno così tragico per il nostro paese ». Il suo primo pensiero è per il sisma e la neve che sferzano il centro Italia.

«La musica può anche alleviare il dolore di una tragedia come quella che stanno vivendo molti nostri concittadini». Per questo chiede un minuto di silenzio, ma dedica «a chi oggi ha perso la vita» il primo brano scelto per il suo ritorno alla Scala con la Chicago Symphony Orchestra, Contemplazione di Alfredo Catalani. Un sussurro, un soffio lieve. La Scala trattiene il respiro. In sala, accanto alla famiglia Muti al completo, il ministro Franceschini e il sindaco di Milano Sala. Molte facce della Scala dell’epoca Muti, l’ex sovrintendente Fontana e i nomi della finanza di ieri, da Romiti a Confalonieri.

«Essere qui è come tornare a casa. Sono passati dodici anni, ma è come se non avessi mai lasciato la Scala» dice Muti, riportato a Milano dal sovrintendente Pereira che ha fatto pressing sul maestro per ricucire una ferita che forse non brucia più, ma certo ha lasciato una cicatrice. Era il 2 aprile 2005 e dopo mesi di incomprensioni e un duro braccio di ferro il maestro lasciava Milano. «Ma le cose non sono andate come alcuni hanno voluto raccontare.

Un giorno lo farò io in un libro » ha annunciato in questi giorni il maestro che si era già riavvicinato al palco a giugno per un incontro con il pubblico in occasione di una mostra dedicatagli dal teatro. Ieri è tornato a fare musica e lo ha fatto con la sua nuova famiglia musicale, la Chicago Symphony che dirige dal 2010, a Milano per l’unica tappa italiana di un tour europeo. Il 2 maggio 2005, a un mese esatto dalle dimissioni, era tornato con i Wiener Philarmoniker. Ma è dal 15 gennaio 2005, ultima replica dell’Europa riconosciuta di Salieri che aveva riaperto il teatro dopo i restauri, che Muti non fa musica con i musicisti milanesi. All’orizzonte forse un’opera.

«Ma ho bisogno di tempo per prepararla, sono ancora all’antica» dice Muti al quale Pereira, sfidando la nomea di portasfortuna legata al titolo verdiano, ha proposto La forza del destino, da lui diretta qui nel 1999. Il maestro pensa anche a Catalani e alla Wally «per la quale, però, occorre un cast eccellente». Dopo la preghiera in musica di Catalani per le vittime dell’Abruzzo i musicisti della Chicago Symphony hanno sfoderato il loro suono e la tecnica infallibile misurandosi con il Don Juan di Richard Strauss e la Quarta sinfonia di Cajkovskij. Stasera si replica, ma con un altro programma: sul leggio Hindemith, Elgar e Musorgskij.

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