venerdì 19 novembre 2021
Un'esposizione all'Istituto polacco di Roma sul documento firmato anche dall'allora arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla. Secondo gli storici aprì la strada per la sua elezione e i grandi "mea culpa"
Un'immagine della Mostra "Riconciliazione per l'Europa"

Un'immagine della Mostra "Riconciliazione per l'Europa"

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Si dice che la storia non fa salti. Ma sorprese sì. E allora può accadere che due figli di due delle nazioni che si erano più accanitamente combattute durante la II Guerra Mondiale diventino Papi l’uno dopo l’altro. E che il secondo sia stato in precedenza il più fidato collaboratore del primo. E che le loro vie si siano intrecciate all’inizio proprio intorno a un evento di riconciliazione. Karol Wojtyla, futuro Giovanni Paolo II, e Joseph Ratzinger, suo successore sulla Cattedra di Pietro con il nome di Benedetto XVI, erano entrambi al Concilio, sia pure con ruoli diversi, in quell’autunno del 1965, quando i vescovi polacchi presero l’iniziativa di scrivere la Lettera ai vescovi tedeschi, che conteneva una frase determinante: “Noi tendiamo le nostre mani a voi seduti qui sui banchi di questo Concilio, mentre esso sta per concludersi, e perdoniamo e chiediamo perdono. E se voi, vescovi e padri conciliari tedeschi, tenderete le vostre mani fraternamente, allora e solo allora potremo celebrare il nostro Millennio nel modo più cristiano e con una coscienza tranquilla”.

Non molti compresero all’epoca la portata storica di quell’iniziativa, promossa dall'arcivescovo di Breslavia Bolesław Kominek, condivisa con il primate di Polonia, Stefan Wyszyński e con l'allora arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyła che fu tra i firmatari. Gli stessi vescovi tedeschi risposero poco calorosamente. Ma tre anni dopo 160 intellettuali cattolici tedeschi (tra cui don Joseph Ratzinger) firmarono il memorandum di Bensberg, in cui la gerarchia tedesca fu chiamata ad approvare il confine lungo l’Oder e la Nysa. E questo memorandum fu considerato la vera risposta al Messaggio dell’episcopato polacco”.

Oggi diversi storici ritengono che senza quell’evento di conciliazione non si sarebbe aperta la possibilità dell’elezione dei due pontifici, il polacco Wojtyla e il tedesco Ratzinger, tra l’altro i primi due Papi non italiani, dopo 455 anni. Tra questi storici il polacco Andrzej Grajewski, che lo ha detto senza mezzi termini all’inaugurazione della Mostra sulla Lettera, in questi giorni ospitata presso l’Istituto polacco di Roma (fino al 29 novembre) e dal titolo esplicito: “Riconciliazione per l’Europa”. “La lettera ha aperto la strada ad un cambiamento epocale e senza questo messaggio probabilmente l’allora arcivescovo Karol Wojtyla non sarebbe diventato Papa”. Sostanzialmente d’accordo il giornalista Gianfranco Svidercoschi, che del Concilio fu testimone diretto per l’Ansa e poi ha seguito tutto il pontificato di Giovanni Paolo II. “La valutazione di Andrzej Grajewski è molto forte, ma non si può non notare la provvidenzialità del passaggio di testimone tra due Papi, prima un Papa polacco e poi quello tedesco, che hanno sperimentato la barbarie della guerra nei loro Paesi”.

La storia non fa salti, ma sorprese sì. E allora quella Lettera, a 56 anni di distanza, non smette di riservarne. Pochi sanno ad esempio che la bozza originale, scritta di proprio pugno a Fiuggi nell’ottobre del 1965 da monsignor Kominek (in tedesco) è sempre stata conservata a Roma, proprio all’Istituto Polacco, diretto da Lukasz Paprotny. Nella mostra è riportata in ampie gigantografie su pannelli, insieme a foto d’epoca e altri documenti. L’8 ottobre il testo fu inviato in bozza al cardinale Wyszyński e anticipato ad alcuni vescovi tedeschi per sondarne la loro reazione. Il tutto nell’ottica dell’invito rivolto ai vescovi della nazione confinante a partecipare alla commemorazione del Millennio cristiano polacco, che sarebbe caduto l’anno successivo, il 1966, anche se il messaggio della Lettera guardava ben più lontano e apriva alla riconciliazione e al superamento dell’astio tra le due nazioni.

“Seguendo da vicino il Concilio - ricorda ancora Svidercoschi - ho capito l’influsso della lettera. Fu un fatto epocale perché per la prima volta la Chiesa cattolica chiedeva pubblicamente perdono. È stata una presa di coscienza, promossa da Mons. Kominek, che ha ispirato profondamente gli anni a venire. Lo stesso papa Wojtyla ha caratterizzato il suo pontificato, nel solco di quel perdono, con una serie di richieste di mea culpa per gli errori commessi nella storia dalla Chiesa. Sono state iniziative straordinarie, senza precedenti. Chiedere perdono per il Papa era un’esigenza irrinunciabile che lo portò ad istituire proprio la “Giornata del perdono” in occasione del Giubileo del 2000”.

Nell’ottobre del 2015, ricordando i 50 anni della stesura, il presidente della Conferenza episcopale polacca Stanisław Gądecki, vescovo di Poznań e padre sinodale, disse: “Fu un atto di coraggio dell’episcopato polacco, il quale – in quelle difficili circostanze politiche – osò prendere l’iniziativa sul forum internazionale, all’insaputa del Partito Comunista e contro il suo volere. E ciò dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni”.

La mostra è stata curata Wojciek Kucharski per conto del Centro “Memoria e Futuro”, diretto da Marek Mutor.

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