mercoledì 25 novembre 2020
Alla vigilia del 60° de “El Diego” parla V.H. Morales, storico giornalista dell’epica telecronaca del gol di mano agli inglesi e che ha accompagnato il Pibe de Oro al trionfo nel Mundial del 1986
Maradona con la Coppa del Mondo vinta nel 1986 anche grazie a un gol di mano

Maradona con la Coppa del Mondo vinta nel 1986 anche grazie a un gol di mano - Ansa

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Il grande campione Diego Armando Maradona è morto oggi, 25 novembre, nella sua casa in Argentina, dopo una operazione chirurgica. Riproponiamo qui l'intervista pubblicata il 29 ottobre 2020 su Avvenire. alla vigilia del suo 60esimo compleanno, a V.H. Morales, storico giornalista dell’epica telecronaca del gol di mano agli inglesi e che ha accompagnato il Pibe de Oro al trionfo nel Mundial del 1986

Santo laico nel paese della nostalgia - di quello che fu e di ciò che non sarà il "Bambino" Diego Armando nasceva di domenica, nel giorno di Nostro Signore Eupalla che ispira e protegge il gioco del pallone. Il 30 ottobre 1960, mentre Che Guevara incontra Nikita Krusciov a Mosca, all'ospedale Evita Perón di Lanús vengono al mondo 11 bambine.

Il primo fiocco azzurro di quella mattina di primavera è dei Maradona da Villa Fiorito, che di femmine ne hanno già 4. Dopo Diego, arrivano Lalo e Hugo, alias Turquito: è lui, moccioso undicenne, a rimproverare Pelusa per un golazo fallito a Wembley con l'Inghilterra, nel 1980. Simile a quello che segnerà agli inglesi sei anni dopo, ma rovinato da un tocco d'esterno sinistro ad anticipare il portiere Ray Clemence. Nel "Vangelo secondo Diego", il 22 giugno 1986 la voce del fratellino gli annuncerà l'uscita del guardiano Peter Shilton sul prato dell'Azteca: «enganchá para afuera», passa da fuori.

Quel giorno Maradona condensa in 5 fatali minuti il senso della cosidetta viveza (o furbizia) criolla: un gol di mano camuffato da colpo di testa e un assolo reso immortale dalla voce che per raccontarlo perde squisitamente le staffe: la storica immagine Barrilete Cosmico rispediva al mittente (Cesar Luis Menotti) le critiche del Flaco al Diego di Napoli, instabile e volatile come un aquilone (barrilete). È curioso che quella voce fosse di un cronista uruguaiano, sbarcato a Buenos Aires nel 1981: Victor Hugo Morales, la cui prima radiocronaca argentina sarà proprio il debutto di Maradona al Boca Juniors. Avversario, il Talleres di Cordoba affrontato da Pelusa il 20 ottobre 1976, giorno del suo battesimo con l'Argentinos Juniors. «Diego mi faceva dire cose che mi avvicinavano al pubblico. Quel giorno piazza un rigore molto lento, e io dico che il pallone gli è scappato "come una lacrima". Un mese dopo il Boca vince 3-0 un famoso clasico col River: Diego segna un gol incredibile a Ubaldo Fillol, sotto la pioggia, burlando Tarantini nell'area piccola. Io lo accompagno dicendo "che sia gol, che sia gol, che sia gol". Sembravo un fanatico, ma volevo che si realizzasse quest'opera d'arte che stava facendo», racconta Morales

Quella di Maradona, era arte?
Ci sono cose che riguardano l'ambito artistico, sportivo, emotivo, che rimangono per sempre nella vita della gente. Diego è tatuato nell'anima dell'argentinità. Non c'è maniera di parlare dell'Argentina senza che appaia Diego tra i primi nomi. È praticamente impossibile.

Perchè questa fenomenologia de "El Diego"?
Maradona è il protagonista del momento più sublime della storia argentina. Non c'è stato, prima o dopo il gol agli inglesi, un istante più perfetto, più unanime, un'emozione tanto grande a cui abbiano partecipato tutti gli argentini. Nel Mondiale del 1986 c'è l'Inghilterra, la Guerra delle Malvinas. L'Argentina non ha più avuto momenti così perfetti. La partita con gli inglesi è lo más grande. Per chi l'ha vissuta, è la cosa migliore che gli sia successa nella propria vita. Per chi è nato dopo, viene con il meraviglioso aroma della leggenda. Diego è invincible per questo istante, un istante insuperabile. Finché non compare qualcosa di superiore, Diego sarà eterno. E tutto questo conferma il Dieguismo dell'Argentina, che va oltre il danno che in certi casi gli hanno fatto, o voluto fare.

In che senso?
La vita degli idoli è logorante. L'aficionado ha una relazione di amore/odio con questi artisti di cui parliamo, è una specie di animale in agguato, un puma fermo su una roccia, a punto di attaccare. Per fargli pagare tutto quello che lui non sarà mai, tutto l'amore che ha avuto per lui. Vederlo caduto lo avvicina alla dimensione umana nella quale ci muoviamo noi, la maggioranza degli essere umani.

Il problema è la caduta.
Diego non ha avuto il privilegio di morire giovane. Carlos Gardel, Che Guevara, Mozart e molti altri hanno avuto il "privilegio" di morire nel pieno della gloria, è li la chiave. Gardel non è mai invecchiato, non è dovuto passare attraverso nessun programma tv. Ma è perennemente vivo. Che Guevara continua a essere l'eroe bello di tutti i giovani. Diego continua ad essere Diego. Più vecchio, camminando a fatica, dando tutti
i vantaggi che si danno quando passano gli anni e si guadagna la prima pagina anche oggi che è in isolamento precauzionale per il Covid (un suo assistente è positivo).

L'Argentina ha un debito con il suo leggendario n."10"?
Non credo che Diego debba qualcosa a qualcuno, e nemmeno il contrario. La gente gli ha dato molto amore, e l'amore ci rende sempre debitori. Di una donna, un uomo, un paese, un calciatore, un artista. Uno sa che deve sempre qualcosa alle persone che esaltano la condizione stessa della vita.

Lei, Victor Hugo Morales cosa deve a Diego?
I momenti più importanti della mia carriera. Il miglior gol che ho narrato in vita mia è di Diego, e la
cronaca di cui sono più orgoglioso è il gol di Diego alla Grecia, al Mondiale 1994. Ma il gol agli inglesi è uno spartiacque nella mia vita professionale.

Difficilmente io e lei staremmo parlando, adesso, se non fosse stato per Diego.
«Voglio piangere, Dios santo. Viva el fútbol. Barrilete Cosmico, da che pianeta sei venuto? Perchè il paese sia un pugno chiuso, gridando per l'Argentina? Grazie Dio, per il fútbol, per Maradona, per queste lacrime,
per questo Argentina 2-Inghilterra 0».

Cosa resta di quel commento appassionato del Mundial dell'86?
Dopo il gol chiedo scusa 2 volte. Un istante sublime, ma assolutamene "loco", folle. C'è violenza in quella narrazione. Ero arrabbiato. L'Argentina giocava da ospite in un paese latinoamericano, inspiegabile.
Come potevano dei latinoamericani stare con gli inglesi (e poi con i tedeschi)? Ero arrabbiato con alcuni giornalisti messicani e con il giornalismo argentino, che aveva ridicolizzato la Selección prima della partenza. Per molto tempo ebbi la sensazione di aver desnudato tutte le mie emozioni, tutta la mia
rabbia. Ero entrato nella miseria umana, stavo scaricando il mio fastidio, il mio rifiuto a tutti quegli attacchi.

Che emozione prova, riascoltando la sua telecronaca di quel "gol"?
Per molto tempo mi sono sentito come un pazzo che fosse uscito a correre nudo per strada. Sapevo quello che mi era successo e mi vergognavo. Un telecronista dovrebbe aggrapparsi a dati oggetivi, non alla sua rabbia e alle sue miserie.



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