sabato 8 aprile 2023
L'arte dei primi secoli del cristianesimo è principalmente funeraria e la sua simbologia è quasi esclusivamente dedicata alla risurrezione di Cristo. La ragione è nel battesimo
Sarcofago dell’Anàstasis, 340-350, Musei Vaticani. Al centro la croce sormontata dal monogramma di Cristo, simbolo della risurrezione

Sarcofago dell’Anàstasis, 340-350, Musei Vaticani. Al centro la croce sormontata dal monogramma di Cristo, simbolo della risurrezione

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Pubblichiamo parte del primo capitolo dal nuovo libro di Michele Dolz I volti della morte. Dalle catacombe al cinema e oltre (Ares).

Per sua essenza il cristianesimo ha a che fare molto direttamente con la morte. Il suo fondatore si è offerto volontariamente alla croce per liberare l’uomo e dargli in eredità la vita eterna. Il passaggio all’altra vita diventa perciò determinante, ma si tratta di un passaggio, non di una fine, perché il cielo è in continuità con la vita di unione con Cristo quaggiù. Dalle parole stesse di Gesù alle lettere paoline a tutta la lunga stagione patristica, la dottrina è immutata. Questa continuità è un concetto fondamentale per l’idea cristiana della morte. San Paolo si esprime in termini culturalmente nuovi: « Non vogliamo poi lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati».

L’arte funeraria primitiva, sobria e discreta, è ricca di simboli che rimandano a questa visione. Intanto i brevissimi epitaffi: dormit in pace ed espressioni simili sono comuni nelle catacombe romane. Alla continuità con la vita eterna si riferiscono anche simboli come l’ancora, che indica la nave approdata; la nave stessa, che viaggia verso il porto; il faro, che guida la nave e che è anche simbolo di Cristo luce. Venendo ora alle raffigurazioni della morte in epoca paleocristiana, occorre notare che quest’arte è, nella quasi totalità, funeraria. È conservata nelle catacombe, nei mausolei, nei sarcofagi. E pur essendo arte cimiteriale, colpisce subito che non raffiguri mai l’atto di morire, nemmeno la morte di Cristo per i primi cinque secoli; non allude alla miseria della vita terrena, né brandisce minacce di condanna eterna. È tutta incentrata sulla vita in Cristo, in questa terra e nel cielo. Punto capitale per intendere non solo le espressioni artistiche, ma la vita stessa dei primi cristiani e proprio la loro identità cristiana. Ovvero, in che cosa consisteva per loro l’essere cristiani? Che cosa li distingueva dagli altri cittadini dell’impero?

Una prima risposta si desume dalla nuda lettura degli Atti e delle Lettere degli apostoli: il cristianesimo non viene visto come una morale, una precettistica né una filosofia, ma come una “vita” nel senso più pieno, ontologico, del termine. Il cristiano è rinato a vita nuova, non è un semplice uomo come gli altri, ma un uomo che vive la vita soprannaturale di Cristo. Un’espressione di san Paolo, mutuata da ritualità pagane, rimane inesorabile per la retta comprensione: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo».

In questo passo della Lettera ai Romani egli la impiega all’interno di un discorso morale, di cui però essa diventa la vera ragione teologica. Il cristiano, poiché è risorto con Cristo nel battesimo, deve vivere coerentemente la sua nuova vita: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!». La trasformazione è cosa avvenuta: «Siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo, perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo […]. Tutti voi siete uno in Cristo Gesù».

Ma la corrispondenza della volontà libera è in fieri. Corrispondenza, si badi, alla grazia trasformante, non un semplice cambiamento di costumi: «Rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera». La parola più forte e più chiara su che cosa sia questa rinascita, questa nuova vita, l’ha detta san Pietro: i battezzati sono «partecipi della natura divina». Possiamo immaginare l’eco di queste espressioni apostoliche nelle comunità cristiane, prima che nel III secolo iniziasse l’elaborazione teologica. Eco che rinviava agli aneliti unitivi dello stesso Gesù: « Io sono nel Padre e voi in me e io in voi»; « Io sono la vite e voi i tralci»; «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna».

Si stava parlando, insomma, di una vita soprannaturale, la vita stessa di Cristo nel fedele. Non poteva essere che questa la consapevolezza dei primi cristiani. Riassumendo, le prime generazioni cristiane vivono una spiritualità fortemente cristocentrica, anzi fondata sull’identificazione sacramentale (rinascita) con Cristo, che si va perfezionando con la grazia e l’ascesi. Senza una visione di questo genere non si può decifrare il ridotto linguaggio figurativo degli inizi. Per concentrarci sul repertorio funerario, già Grabar notava che, aldilà dei soggetti, l’arte funeraria cristiana è un’arte gaia, in vivo contrasto con lo stile “funereo” pagano. Tende molto spesso a un “risparmio formale” che cerca la comunicazione simbolica, senza indugiare nella narrazione. È un’arte, questa, che deve alludere a realtà soprannaturali, invisibili, di cui la stessa storia sacra è simbolo: Giona e Lazzaro, per esempio, sono tipi della risurrezione del fedele. Una risurrezione, si diceva, già avvenuta nel battesimo e che attraverso la morte corporale trova la sua pienezza. I richiami simbolici non sono “auguri” di salvezza, ma l’esibizione delle credenziali con cui il fedele ha raggiunto la vita eterna: il suo rinnovamento in Cristo.

Abbiamo già detto della nave che giunge al porto, dell’ancora; ma anche il Cristo buon pastore che non lascia la sua pecorella, i segni cristici, il simbolo del battesimo e dell’eucaristia, i (pochi) riferimenti a passi dell’Antico Testamento riletti in chiave cristologica. Le immagini non sono celebrative né propagandistiche (anche perché destinate a spazi cimiteriali poco frequentati), ma stanno a evocare la vita nuova del defunto, la continuità tra la sua esistenza terrena e quella celeste, la risurrezione battesimale. Molte di queste immagini sono ben poco visibili, basti pensare a quella che è ritenuta la prima immagine di Maria, nelle catacombe di Priscilla a Roma: per guardarla bisogna chinarsi sotto un arcosolio. Un motivo, forse, apre a considerazioni di respiro più sociale: l’epifania, simbolo di una nuova umanità orientata a Cristo.

Nel IV secolo, dopo la pace costantiniana, l’iconografia accoglie altri soggetti, specialmente – e di pari passo col sorgere delle grandi basiliche – quelli che scaturiscono dalla nuova riflessione: la Chiesa. Appaiono così le immagini di Pietro e Paolo, anche in oggetti di uso privato, come fondamenta ecclesiali e segni di unità; gli apostoli intorno a Cristo; il trasferimento all’immagine di Cristo, e più tardi a quella di Maria, di alcuni elementi dell’iconografia imperiale (e qui va citato lo sforzo di Ambrogio, lealista convinto, per il giusto rapporto dei poteri anche sotto il profilo teologico). Il primo ciclo sulla passione arriverà tra il 420 e il 430 con gli avori del British Museum: un’evoluzione non solo del pensiero teologico e spirituale in senso contemplativo, ma prima ancora dell’uso stesso dell’immagine.

Si può dire che tendenzialmente le raffigurazioni cristiane dei secoli III e IV si concentrano in vari modi sul concetto di salvezza. Naturalmente, l’arte cimiteriale auspica la salvezza eterna ai defunti, ma come si è visto questa salvezza è già avvenuta in forma incoativa al momento del battesimo. Il fedele nel battesimo è morto alla vita vecchia e risorto a vita nuova. Si può spiegare così la gaiezza di cui si parla. Forse la parola che definisce meglio quest’arte è “battesimale”. E ciò si spiega ancor meglio se si considera che il battesimo primitivo, con il rito d’immersione nelle acque, alludeva visivamente alla morte e alla risurrezione che il sacramento produceva nel battezzato. L’analogia con la morte fisica e l’inizio della vita eterna è ovvia, ed è su questo binario che si gioca la semantica della prima arte cristiana, almeno fino alla costruzione delle basiliche.

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