mercoledì 16 dicembre 2020
Nel 1960 arrivava a conclusione il “Pirellone”, un grattacielo europeo la cui storia condensa i sogni e le illusioni del dopoguerra
Il grattacielo Pirelli

Il grattacielo Pirelli - M. Carrieri/P. Carrieri

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«Sogno una Milano fatta dai miei colleghi architetti. Certamente non voglio una Milano fatta con case basse e un grattacielo qui, uno là, un altro là e un altro ancora là. Sarebbe come una bocca con qualche dente lungo e gli altri corti. I grattacieli sono belli se si trovano uno di fianco all’altro, come delle isole. Si crea un paesaggio (...) Questo che dico non è un sogno, dico ciò che sarà in futuro. È una questione di creazione. Ecco perché gli architetti che adorano Milano, come tutti i milanesi, desiderano soltanto avere la possibilità di creare, di realizzare…». La profezia di Gio Ponti pare essersi almeno in parte realizzata. Ma se questo è accaduto è anche perché egli stesso ne aveva suggerito l’incipit con il Grattacielo Pirelli, costruito tra 1956 e 1960. Per celebrare i 60 anni del “Pirellone” la Regione Lombardia, che lo acquistò nel 1978, e la Fondazione Pirelli hanno allestito una mostra, inaugurata virtualmente oggi in attesa di essere aperta a tutti, un sito (60grattacielopirelli. org) e un libro, Storie del grattacielo (Marsilio, pagine 192, euro 30,00).

«Il Grattacielo Pirelli – dice nel volume Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia – per Milano è stato un grande monumento, collocato in una città che stava attraversando una crisi nel senso positivo del termine, cioè un momento di crescita, di trasformazione. Era un momento di sprovincializzazione e di passaggio, dalla Milano capitale morale di un’Italia – Paese di serie B – a una Milano grande città europea al pari, o comunque in dialogo, con le principali concentrazioni urbane in Europa e nel mondo ». Il grattacielo Pirelli è il simbolo di una Italia che per una volta non si identificava con il suo passato ma con il suo presente. Ma se questo accade è solo in virtù della sua qualità architettonica. Costruito nei pressi della Stazione Centrale come quartier generale della Pirelli nell’area della prima fabbrica della gomma, trasferita alla Bicocca nel 1909, il grattacielo si colloca al termine di quel processo di ricostruzione – reale e ideale – dell’Italia postbellica, processo nel quale l’architettura, in stretta connessione con il comparto industriale, aveva svolto un ruolo portante non solo per un fatto oggettivo ma anche per un pensiero che la collocava in primo piano a livello internazionale. Nel dopoguerra lavora senza soluzione di continuità la generazione di architetti che durante il Ventennio aveva dato vita alla stagione del razionalismo. “Continuità o crisi?” sintetizzava Ernesto Nathan Rogers. A Milano la questione è ben esemplificata da due grattacieli. Il primo è la (genialmente) neomedievale Torre Velasca (1957), dello studio BBPR. L’altro, e suo opposto, è il grattacielo Pirelli.

L’architetto Gio Ponti (1891-1979)

L’architetto Gio Ponti (1891-1979) - -

Con il Pirellone Gio Ponti disegna un grattacielo “europeo”, fuori dagli schemi americani, che siano quelli autoctoni della scuola di Chicago o il fiorire in vetro e acciaio del seme Bauhaus di Mies van de Rohe. Estremamente sottile - il difficile rapporto tra larghezza e altezza, che rendeva l’edificio esposto all’azione dei venti, fu risolto con ingegneria estremamente brillante da Pier Luigi Nervi e Arturo Danusso - è una scheggia di metallo pronta a reagire al cielo di Lombardia, così bello quand’è bello. La forma a esagono allungato (quel “diamante” che è la cifra di Ponti), con la sua continua variazione dei piani, dona un profilo filante all’edificio. Le vaste superfici con fasce di finestre e telai in alluminio interagiscono con le variazioni della luce atmosferica. Le facciate sono solcate da due fasce verticali in calcestruzzo, che dichiarano in parte lo scheletro interno progettato da Nervi. Ma a vincere è l’effetto di leggerezza e assenza di massa, accentuato dallo scavo degli spigoli in cemento dove sono collocate le scale e dal distacco della copertura dalle pareti.

Con i suoi 127 metri e 32 piani (l’ultimo è uno straordinario belvedere) all’epoca il Pirelli era uno dei grattacieli in cemento armato più alti del mondo, ma Ponti non cerca slancio. Il suo grattacielo appare invece come un prisma di piani-schermo accostati tra loro, privi di saldature e liberi di vibrare. Se il Pirellone è dunque il monumento all’Italia industriale, ne contiene anche le contraddizioni. Non è un caso che la torre resta Pirelli per neppure vent’anni: nel 1978 a causa delle spese di gestione ma anche delle difficoltà dell’azienda viene ceduto per 52 miliardi di lire alla Regione Lombardia, che ne fa a sua volta un simbolo. Simbolo che dura, dato che la nuova sede, progettata poco distante da I. M. Pei (questa invece in pieno codice International Style) non l’ha minimamente scalfito.

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