giovedì 5 dicembre 2024
Il 31enne Abdikadar è in Italia dal 2006: qui si è affermato come atleta e si è ricongiunto con la madre fuggita già alcuni anni prima : «Ho sofferto la sua mancanza. Ora penso a correre forte»
L'atleta azzurro, originario della Somalia, Mohad Adikadar

L'atleta azzurro, originario della Somalia, Mohad Adikadar - Giancarlo Colombo/A.G.Giancarlo Colombo

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Mohad che fugge dalla Somalia, arriva in Italia e diventa un grande campione. È questa l’estrema sintesi di una delle tante storie (più belle) dell’atletica italiana. Anzi no, dell’Italia e dell’Europa di oggi, perché di ragazzi come Mohad fuggiti dall’Africa ne è pieno il mondo, è una grande verità della nostra epoca. Mohad però non è uno dei tanti, lui è un campione. Uno che corre forte perché madre natura, laggiù nel corno d’Africa dove ha vissuto per i primi dodici anni, l’ha dotato di gambe che girano veloci, di piedi che spingono forte e di un cuore e di polmoni che pompano sangue e ossigeno e non si stancano mai. Parliamo di Mohad Abdikadar Sheik Ali, nato il 12 giugno 1993 a Beled Hawo, sud ovest della Somalia, quasi sul confine tra Kenya e, qualche centinaio di chilometri più a nord, con l’Etiopia. Terre dei più grandi campioni dell’atletica e delle maratone (Mo Farah… inglese è di origini somale), ma anche terre di povertà e di feroci e atroci guerre civili condotte dai guerriglieri islamisti, proprio come quella da dove Mohad è scappato, guadagnandosi, il titolo di “rifugiato” e dunque con i tempi dimezzati (5 e non 10 anni) per la cittadinanza italiana.

Non è una storia d’adozione come per Yeman Crippa o il neoprimatista italiano di maratona Yohanes Chiappinel-li, Mohad e la sua famiglia sono fuggiti, anzi sua madre è fuggita: «Sono arrivato in Italia nel 2006, mia mamma era già qui da almeno 6-7 anni, è stato un ricongiungimento familiare. Ma non l’ho vista per tutto quel tempo, da piccolino sono stato affidato alla nonna e alle zie, io con mio fratello Mohamed, anche lui un buon atleta, anche se ha smesso di correre nel 2019 e vive con moglie e due figli in Norvegia». Mohad invece da sempre è a Sezze, Latina, lì l’ha portato a vivere con sé la madre e il figlio che si era portata con lei nato nel 1998. Poi, tanto per completare, nel 2009 è nata qui in Italia anche un’altra sorellina: «Mi è mancata tanto mia madre quando ero piccolo, ricordo il viaggio in aereo nel 2006 a 12 anni e mezzo, ero emozionatissimo nel sapere che l’avrei reincontrata, che sarebbe stata lì in aeroporto a Roma ad attendermi. Ricordo che piansi tantissimo quando la vidi. No, mio padre invece non l’ho mai conosciuto, è mancato quando eravamo piccolissimi, credo a causa della guerra civile».

Una prima e una seconda vita, con la prima parte nell’immensità dell’Africa e del caldo: «Con la nonna abbiamo vissuto in un paesino tranquillo, aveva un bar, ricordo che faceva il thè, non ho mai avuto problemi e non ho mai visto cose brutte, andavo a scuola di matematica e alla scuola araba e di Corano, anche se sapevo già un po’ di italiano. Con i compagni giocavamo a calcio, ma laggiù in Somalia non ho mai fatto atletica ». E qui che arriva la seconda parte della vita, la svolta, la serenità con l’atletica leggera: « Nel 2007 tramite un amico sono andato al campo e ho iniziato a fare atletica con il coach Andrea Orlandi che mi ha seguito fino al 2016, ricordo i primissimi allenamenti a giugno 2007 e la prima gara da 1000 metri a settembre, 2’55”, che fatica immensa che feci». Un risultato che svela un talento naturale, qualcosa di eccezionale, da lì nel 2008 la categoria Cadetti e le prime sfide, fino ad arrivare al 2011 quando ottiene la cittadinanza italiana ed entra nella società Atletica Studentesca Rieti, una delle più famose e titolate d’Italia in atletica: « Il Presidente Andrea Milardi mi e ci ha aiutato tantissimo, una grande persona e un grande appassionato d’atletica».

Dal 2010 in poi arrivano medaglie d’oro di campione d’Italia negli 800 o nei 1500 metri delle categorie giovanili Allievi, Juniores, Promesse, dal 2011 può vestire la maglia azzurra e così arriva l’esordio in nazionale ai campionati europei Juniores di Bressanone, poi sempre un crescendo fino alla prima consacrazione nel 2015 dove agli Europei Under 23 di Tallin conquista la medaglia d’argento nei 1500 metri, 3’44”91. Il bambino somalo è cresciuto, diventando uno splendido ed affermato campione. Ora Mohad Abdikadar, oggi 31 anni, è un professionista che gareggia con la maglia del Centro Sportivo Aeronautica, dal 2016 si era trasferito anche a Trento per allenarsi con il coach Massimo Pegoretti, insieme a Yeman Crippa: « Mi sono ritrovato professionista, ero giovane e non sapevo nulla, pensavo solo a correre forte. Orlandi mi ha portato nella vera e grande atletica. Ho avuto il privilegio di allenarmi con Crippa, con Giordano che ha fatto le Olimpiadi nel 2016 e tutto il gruppo di formidabili atleti lì a Trento dove ho imparato tantissimo. Con Yeman siamo amici, sono i miei migliori amici, abbiamo fatto anche le vacanze insieme in Sicilia».

In questi anni traguardi e vittorie, al Golden Gala di Roma nel 2018 corre in 3:36.54 sui 1500 metri, realizzando un tempo che per un italiano mancava da dieci anni, nel luglio 2023, sotto la guida di Liberato Pellecchia, dopo cinque anni, migliora il personale correndo in 3’35”21, un mese dopo nel Meeting di Padova vince in 3’33”79, terzo italiano di sempre e vicinissimo allo storico primato di Genny Di Napoli di 3’32”78. In questo 2024 sui 1500 metri si è andati davvero forte, Pietro Arese ha abbassato il record italiano a 3’30”74 e Ossama Meslek ha corso in 3’32”77, così come Federico Riva in 3’32’84”, oggi dunque Mohad è il quinto italiano di sempre in Italia sui 1500 metri: « Nel 2025 penso che proverò a fare qualcosa di grande nei 3000m, vorrei anche correre forte i 5000m ma è difficile, è tutto di testa. Arrivi ai 3500 e devi continuare a correre fortissimo, ma ci sono gli europei e mondiali indoor, vediamo. Purtroppo l’anno scorso per 29 centesimi ho mancato il minimo per le Olimpiadi di Parigi». Mohad pensa e vive per la maglia azzurra, alla Somalia al momento ci pensa poco: « Non sono mai tornato, parlo con mia nonna e mia zia, la lingua me la ricordo bene. È il contrario di prima, quando ogni tanto da piccolo sentivo al telefono mia mamma. Sono stato in Africa diverse volte, in Kenya, Etiopia o Sud Africa per allenarmi, chissà un giorno tornerò».

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