martedì 19 giugno 2018
Docureality in dieci puntate del regista e attore Simone Gandolfo: «Contro ogni demagogia mostro la realtà dei quotidiani aiuti di Ong, volontari, Guardia costiera ai disperati in fuga»
Una immagine del docureality “Angeli del mare” in onda su Tv2000

Una immagine del docureality “Angeli del mare” in onda su Tv2000

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I più lo ricordano come il Fausto Coppi della fiction tv Bartali l’intramontabile e il Girardengo de La leggenda del bandito e del campione, ma in quanto a tempismo, rispetto ai due campionissimi, l’attore e regista Simone Gandolfo non scherza. Il lavoro dell’Aquarius, attraccata domenica a Valencia dopo essere stata respinta dai porti italiani, lui lo aveva già filmato un anno fa per la sua nuova serie di documentari sulla vita di chi salva i migranti in mare che ha appena debuttato su Tv2000. Infatti è partito ieri sera Angeli del mare, il docureality che Tv2000 trasmette in esclusiva dal lunedì al venerdì alle ore 20.45, anticipata la settimana scorsa dalla puntata-evento dedicata alla nave della ong Sos Mediterranée (e che sarà replicata stasera). Si tratta di dieci puntate realizzate con la collaborazione della Guardia Costiera, la Croce Rossa Italiana, la Ong Open Arms, Medici senza frontiere e con il patrocinio della Fondazione Migrantes, il Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale - sezione Migranti e Rifugiati, l’Unhcr e Save the Children. Il 38enne Simone Gandolfo divenne popolare nella fiction italiana ( Distretto di polizia, i Ris, Braccialetti rossi) dove prossimamente lo vedremo in Che Dio ci aiuti, in Mia Martini e in un mistery diretto da Michele Soavi. L’attore di Imperia, diplomato al Teatro Stabile di Genova, da una decina d’anni, dopo aver studiato a New York, è diventato regista e ha aperto la sua casa di produzione, la Macaia film, a Borgomaro, diventando anche presidente dell’associazione dei produttori cinematografici liguri. E il 6 luglio sarà ospite alla festa di Avvenire a Sanremo.

Gandolfo, dopo essere stato poliziotto e carabiniere nelle fiction tv, ora lei si dedica alla realtà di chi, in divisa e non, salva le vite in mare.
«Angeli del mare è un progetto che parte da una mia idea due anni fa, grazie all’incontro con Samarcanda Film. Occorreva cercare una rete che ci credesse. E quella che ha creduto più di tutti in un programma che parlasse di umanità e non di politica, sono stati Tv2000 e il suo direttore Paolo Ruffini, un editore ideale. L’intento era di fare una docufiction iperrealistica dove tutto quello che vedi è successo. Lo avevo già fatto in Pericolo ver- ticale, una serie sul soccorso alpino per Sky. È un bel modo per raccontare l’umanità».

Lei ha scelto di restare a vivere nel Ponente ligure, dove al confine di Ventimiglia l’urgenza della questione dei migranti è particolarmente sentita.
«Ventimiglia meriterebbe una serie a sé. Ma questo è un tema cardine del nostro presente, un fenomeno che non si fermerà: è la storia. Mi sembra che ci sia un rumore di fondo, fatto di slogan da bar che trovano la loro vetrina su social network che li moltiplicano. Mi era sorta una domanda: ma coloro che hanno a che fare quotidianamente col fenomeno, cosa pensano? La scommessa è stata vinta. Ho trovato una umanità che mi ha ridato speranza nel futuro: volontari, ong, Croce Rossa, Caritas, Guardia Costiera, le comunità di don Bosco… È tutta una galassia variegata che va dal mondo cattolico all’associazionismo di sinistra ai militari. Fra loro ci sono anche persone di destra che mi hanno detto: “Se tu non guardi negli occhi una persona che sta annegando, non puoi capire”. Io volevo, con la cinepresa, portare lo spettatore dentro quel momento lì. Se davanti a quegli occhi non sei umano...».

Com’è stata la lavorazione della serie?
«L’abbiamo girata l’estate scorsa facendo base a Catania. Poi abbiamo trascorso due settimane a bordo della Nave Diciotti della Guardia Costiera, due settimane sulla Nave Dattilo e altre due sulla Nave Open Arms dell’omonima ong spagnola, quella poi sequestrata dal procuratore di Catania. A questo è seguito un lavoro a terra dove abbiamo seguito le storie di alcuni migranti sbarcati in Italia accolti dalla Croce Rossa e da tutte le Organizzazioni umanitarie che operano a terra. Abbiamo filmato più o meno tutto quello che succedeva. Sono stati due mesi di lavorazione intensi che alla fine ti fanno riconsiderare tutto quello che hai nella vita».

Intanto la nave Aquarius è diventata un caso politico italiano ed europeo. Lei cosa aveva documentato a suo tempo?
«Si vede nella seconda puntata della serie, ambientata per metà sulla nave Diciotti della Guardia Costiera, e per metà al porto di Palermo dove l’estate scorsa abbiamo documentato lo sbarco dei migranti salvati dalla Aquarius. Salvini si fa la foto dopo il respingimento come se fosse De Niro, Macron da parte sua ha detto cose sbagliate sull’Italia. Sono saltate tutte le regole. Invece dovrebbero guardare ai migranti come persone».

Cosa l’ha colpita di più nelle storie raccolte fra i migranti?
«Mi ha colpito trovare una umanità estremamente sofferente, ma non disperata. Anzi, piena di speranza. Una speranza infinita dovuta al fatto che la loro vita è totalmente governata dal caso. In Occidente lo scorrere della vita è visto come una serie di eventi che noi possiamo determinare. Loro invece sono totalmente in balia di eventi che non sono in loro potere, come cambiamenti politici, guerre, faide fra gruppi etnici. E hanno una fede impressionante. Quelli che arrivano da noi non sono i più poveri, perché i più poveri muoiono direttamente là».

Che soluzioni vede all’orizzonte?
«L’integrazione è un problema, ma è l’unica via. Quando dicono aiutiamoli a casa loro e rimandiamoli indietro: ma dove? Dove li torturano e uccidono? Loro quando vedono un nave della Guardia Costiera hanno paura, perché nei campi di detenzione uomini e donne vengono torturati e venduti dai militari. Ma quando i superstiti capiscono che ci sono acqua e cibo per tutti e che nessuno farà loro del male, ecco, quel momento ti spacca il cuore in maniera irreparabile».

Quali sono i suoi prossimi progetti dietro la cinepresa?
«Sono in fase di lavorazione di un film, Vera de verdad, sulla trasmigrazione delle anime, un film pieno di mistero».

E lei come si pone di fronte al Mistero?
«Io sono un credente molto problematico, ho avuto una educazione cattolica soprattutto da mia mamma che si dedicava al volontariato, all’associazionismo nel modo più bello. A 16 anni mi sono allontanato, poi per 20 anni sono stato buddista. Qualche anno fa, in un momento molto triste per la morte di mia madre, ho sentito il bisogno di approfondire il cattolicesimo e sono tornato alle origini».

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