giovedì 24 novembre 2022
Il bilancio di 10 anni: «Avventura bella, collettiva, complicata, ma sempre illuminata dal bagliore degli artisti: lascio questo gioiello alle cure di Giuli al quale faccio i migliori auguri»
Giovanna Melandri

Giovanna Melandri - Ansa/Fabio Frustaci

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«Che le rose fioriscano sul sentiero del Maxxi». Giovanna Melandri conclude con queste parole i suoi anni (è stata nominata dal ministro Ornaghi, governo Monti) di presidenza della Fondazione Maxxi: prendendo a prestito l’espressione con la quale Cesare Pavese concludeva tutte le sue lettere. Il nome di Alessandro Giuli, il suo successore alla guida della Fondazione, è stato annunciato ufficialmente mercoledì sera; lei ieri ha salutato facendo un bilancio di dieci anni di Maxxi (è stato inaugurato nel 2012), quindi si è rivolta a chi prenderà il suo posto alla guida di questa «avventura bella, collettiva, complicata, ma sempre illuminata dal bagliore degli artisti: lascio questo gioiello alle cure di Giuli al quale faccio i migliori auguri di buon lavoro».

Per questo addio, al teatro del Museo delle arti del XXI secolo, c’era la folla delle grandi occasioni. E Giovanna Melandri prima di fare un rapido bilancio di dieci anni di lavoro ha voluto ringraziare tutti i collaboratori, praticamente uno a uno. Primo fra tutti, naturalmente, il direttore artistico del Museo, il giapponese Hou Hanru, in particolare per «le sue scelte libere e fuori dal mercato». Poi tutti i membri del consiglio di amministrazione, il direttore di Maxxi arte Bartolomeo Pietromarchi e Margherita Guccione direttrice (appena uscita) di Maxxi architettura, primo museo nazionale del settore presente in Italia.

Melandri non ha nascosto il suo dispiacere per dover lasciare una simile squadra di collaboratori, ma, «un avvicendamento è sempre tra le opzioni possibili. Anche se non era obbligato, è nell’ordine delle cose». Quindi non ha sottolineato che «è stata fatta una scelta politica, che rispetto. Ora intendo preparare tutto per facilitare il lavoro del mio successore». Ha ricordato al team la necessità e il dovere di collaborare al meglio con la nuova gestione quindi ha aggiunto: «Vado via gioiosa e tranquilla sapendo che questa squadra darà continuità alla collezione». E quando poi ha più volte ripetuto, «vogliamo raccontarvi la storia del Maxxi», snocciolando la lunga serie di dati e motivi positivi di questi anni, è parso chiaro che più che ai presenti si riferisse alla gestione entrante alla quale, ha insistito, affida sì un gioiello, ma «questo gioiello, seppure ampiamente migliorabile, ha bisogno di molte cure».

Un intervento fiume, quello di Melandri, come era naturale che fosse nell’addio all’istituzione che ha visto crescere anche nelle strutture. Lei stessa ha ricordato con commozione il giorno in cui ha potuto vedere per la prima volta il progetto della struttura, che sarebbe diventata la sede del Museo, «appena uscito dalla matita della grande architetto Zaha Hadid». Un progetto che fin dal primo momento Hadid «aveva pensato come una vera agorà, un luogo di confronto e di scambio di idee». A questo riguardo, nel tracciare il bilancio artistico degli anni di attività, Melandri ha tenuto a sottolineare, e anche qui si è ripetuta, che l’impegno principale è stato proprio quello di fare «testardamente di questo spazio» una fucina di idee in tutti i campi dell’arte e del pensiero scientifico e culturale contemporaneo, «aperta al sociale e a tutti i tipi di pubblico>. Fucina che si è sostenuta su un fitto lavoro di relazioni e di collaborazioni istituzionali, a cominciare dai grandi musei italiani e internazionali: «Credo profondamente nel valore sacro delle istituzioni». Quindi ha ricordato alcune delle regole auree che hanno guidato questi primi anni di Maxxi: autonomia delle scelte curatoriali, rispetto del lavoro degli artisti, rispetto dei visitatori, anche di quelli on line.

Melandri ha parlato molto di libertà: delle scelte, dei progetti, delle idee, dei curatori, di prospettive. L’idea di fondo è quella di un «museo laboratorio, spazio di produzione di ricerca di pensiero critico spazio di formazione di elaborazione intellettuale aperto e libero». Una visione di futuro che ha portato negli anni ad aprire altre due sedi all’Aquila e Casa Balla a Roma, col progetto in divenire di aprirne una terza a Venezia.

Naturalmente non sono mancati i numeri per quantificare il lavoro del Maxxi e per indicarlo come un’istituzione votata alla crescita. Così se in dieci anni si sono contati 3,5 milioni di visitatori (quasi 17 milioni le visualizzazioni online) per un totale di 16 milioni di euro incassati dalla sola vendita dei biglietti, «quest’anno stiamo assistendo a un incremento di vendite del 30%», certamente un successo anche in considerazione del fatto che la collezione stabile del Museo (non le mostre e i progetti temporanei) è visitabile gratuitamente quattro giorni a settimana. Collezione permanente che in dieci anni è passata da 200 a quasi 700 opere «e oggi ci viene richiesta dai musei di tutto il mondo». Analogamente i “fondi di architettura” sono passati da 13 a 102 con i nomi di quasi tutti i più grandi architetti italiani dal ‘900 a oggi. Così per la fotografia con le acquisizioni in collezione di raccolte di opere di «grandissimi nomi come Battaglia, Ghirri, Berengo Gardin e tanti altri».

Sono stati poi realizzati oltre 250 progetti-mostre, di cui 50 hanno viaggiato nel mondo. Mostre in settori che indicano laa grande varietà di interessi del Maxxi. Non solo arte, quindi, ha detto Melandri, ma anche moda, scienze, intelligenza artificiale, poesia, spiritualità, spesso «insieme a comunità creative di numerosi Paesi emergenti, ma anche con i più importanti musei internazionali di arte contemporanea».

E per il futuro? «Nei mesi della pandemia abbiamo progettato il futuro che si chiama Grande Maxxi. Trae ispirazione dai grandi valori europei e ha chiamato a raccolta i creativi di tutta l’unione. Abbiamo immaginato un nuovo modo di essere museo, un centro per il restauro del contemporaneo, un centro di sviluppo di progetti di rigenerazione urbana al servizio del Paese. E se il tema della sostenibilità è sulla bocca di tutti ed è spesso diventato retorica, noi abbiamo pensato a un progetto concreto: un’isola microclimatica da realizzare intorno all’architettura di Zaha Hadid. Inoltre vogliamo dimostrare che è possibile installare impianti fotovoltaici su strutture culturali ed è stato già avviato un progetto di collaborazione con la limitrofa area del Ministero della difesa. E poi sono in arrivo mostre bellissime già programmate, perché istituzioni di questo livello devono programmare a distanza di anni, e fra queste una su Enzo Cucchi e una su l’arte di Bob Dylan».

Insomma, Alessandro Giuli, tanto per essere chiari, ha già bello e pronto «un sentiero fiorito di rose»: Cesare Pavese, anzi, Giovanna Melandri dixit. Riguardo alle spine… se la vedrà lui.

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