mercoledì 12 aprile 2017
Parla il grande artista: «La musica? Non si spiega, è magia»
Paul McCartney in concerto a Tel Aviv nel 2008 (Ansa)

Paul McCartney in concerto a Tel Aviv nel 2008 (Ansa)

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Non è da tutti, nel 2017, possedere un album al 33° posto delle classifiche mondiali e un altro (per giunta solo annunciato) al quarto fra i più prenotati via web (a due mesi dall’uscita). Però tutto ciò ben si addice alla storia di sir Paul McCartney, che il 18 giugno compirà 75 anni e per allora sarà pure pronto a pubblicare (a settembre?) un ulteriore cd, il primo di inediti dal modernissimo New del 2013: per confermarsi ancora protagonista della scena anche se a giugno, inevitabilmente, verrà festeggiato quale il più importante compositore “popolare” tra Novecento e Duemila. Lui si schermisce: «Spesso riascoltandomi mi viene da dire che certe cose non avrei mai dovuto inciderle »; poi sornione si corregge: «Eh sì, perché scopro che tutti i brani che critico sono diventati canzone del cuore di qualcuno…».

E al di là di questo aneddoto che racconta divertito, a dimostrare la sua caratura, costante dagli esordi in poi, è il fatto che oggi al 33 delle hit ci sia il suo album solista Flowers in the dirt, di per sé ristampa di un lp dell’89; e che stravenduta a due mesi dall’uscita prevista il 26 maggio sia un’altra riproposta, quella di un disco intitolato Sgt. Pepper’s lonely hearts club band, edito il 1° giugno di cinquant’anni fa a rivoluzionare la musica nel segno dei Beatles.

Il tutto con sir Paul che lavora al cd nuovo con Greg Kurstin, produttore di Adele e fra i nomi più importanti della scena odierna. «Ma non avrò mai un’altra collaborazione come quella avuta con John Lennon», sortisce sir Paul cercando di fare il punto della situazione e pensando pure a quel Costello con cui nacque Flowers in the dirt. «Questo è un fatto ineludibile da cui neanche provo a scappare. Noi scrivevamo e vivevamo insieme: partivamo da due chitarre guardandoci, parlandoci, stimolandoci a vicenda e sviluppando insieme uno stile di scrittura che, se vado con la mente a Sgt. Pepper, è stato qualcosa di incredibile. Trovo sia pazzesco che cinquant’anni dopo si vada ancora a quel disco… Sento molto affetto e altrettanto stupore per come siamo riusciti a fare un’arte tanto duratura. Oggi la scena è cambiata, ma attenzione, non lavoro con Kurstin perché è di tendenza. Ci lavoro perché c’è sintonia e ho canzoni che mi piace pubblicare, anche se non penso venderanno molto... non mi disturba che mi vedano lontano dalla musica di oggi, io dal rock ho avuto il meglio…».

Già: e Flowers in the dirt, per certi versi più di Sgt. Pepper, è un ottimo modo per capire prima del nuovo album il perché della faccenda: verificando la magnifica grana compositiva di sempiterna freschezza di un sir Paul che ristampandolo allunga pure una collana di riedizioni (“Archive Collection”) che ha già vinto diversi Grammy per come valorizza la musica pop-rock quale patrimonio culturale. Con Flowers in the dirt e Costello («Cercavamo di raccontare storie, senza piani industriali né obiettivi di vendita») McCartney tornò prepotentemente sui palchi del mondo: ora quel bel disco esce pure accompagnato da vari brani rimasti semplici “demo” (sono cinque nella versione Special, e nella Deluxe c’è il codice per il download di altri tre), che paiono magnifiche canzoni nuove.

«Eppure le registravamo extra lavoro al volo… Però sono calde, incredibili pensando che erano prime versioni. Pensavamo di farle uscire, prima o poi, ed eccole qui. Guardare al mio passato per la “Archive collection” è bello e strano, per me che sono sempre concentrato sul futuro: sto scoprendo pezzi che non sentivo da anni e altri che non ho mai ascoltato da quando li ho provinati…». L’edizione magna di Flowers in the dirt (il cui formato minimo è due cd) contiene pure quaderno di McCartney con appunti di lavorazione, catalogo della mostra di foto dell’epoca della moglie Linda, libri e dvd con clip, dietro le quinte e documentario: eppure tutto rimane magicamente, avverbio non casuale a sentir McCartney, un di più per capire, e mai si fa marketing a sovrastare la bellezza della musica. Com’è possibile? «Non lo so. So che quando mi siedo a scrivere cerco di fare la mia miglior canzone e questo aiuta. Poi non imito nessuno, semmai ascolto e mi ispiro. Lo dico spesso ai giovani: guardavo a Little Richard ma non ho mai cantato come lui; conoscerlo mi spingeva a provare cose nuove. Un giorno John entrò in studio cantando un pezzo di Chuck Berry, che ricorderò sempre perché senza lui e la sua rivoluzione sonora non sarebbero esistiti i Beatles: il pezzo aveva un andazzo strano, ma John disse “se Berry l’ha inciso, noi potremmo fare questa”. E suonò la prima bozza di Come together! Ecco, ascoltare e poi scrivere esprimendo quanto si ha dentro senza alcuna costrizione, comprese quelle della tecnologia: penso che solo così nasca qualcosa che vale».

Come Sgt. Pepper: che nella sua riedizione sarà anticipato il 22 aprile dal 45 giri di Strawberry fields forever e Penny Lane come accadde all’lp originale cinquant’anni fa, e poi uscirà a maggio con audio remixato integrale, versioni alternative inedite ed edizione Super deluxe pure col primo mix di Lucy in the sky with diamonds sinora creduto perso, video del ’67, il mai visto docufilm del ’92 sulla nascita dell’lp, poster e quant’altro. In attesa del nuovo McCartney 75enne del 2017, che a chiedergli cosa pensa del posto che il 18 giugno gli sarà accreditato nella storia della musica risponde «Non lo so! Spero di essere visto come uno che fa sempre del suo meglio e che ha un po’ di sostanza; io penso solo a scrivere e pubblicare quanto più mi piace di quello che scrivo… La musica, in fondo, non si fa con formule segrete, è qualcosa che hai dentro. Qualcosa di speciale, anzi: direi che la musica è qualcosa di magico».

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