giovedì 14 settembre 2023
Il vescovo emerito pubblica il suo primo romanzo "Nella luce dell’inizio": le vicende di un padre e di un figlio tra inizi del Novecento e il Sessantotto
Monsignor Massimo Camisasca

Monsignor Massimo Camisasca

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Benché la categoria del romanzo abbia permesso a ciascun scrittore contenuti suoi propri secondo personale linguaggio, a ogni opera prima c’è comunque una certa aspettativa di tema e di stile: a maggior ragione se l’esordiente è il vescovo emerito di una grande città come Reggio Emilia, membro di spicco di Comunione e Liberazione, è stato fondatore e a lungo Superiore Generale della Fraternità di San Carlo Borromeo, ha pubblicato parecchie decine di libri e centinaia di articoli o saggi. Cioè Massimo Camisasca, che con Nella luce dell’inizio (San Paolo, pagine 190, euro 16,00) firma una vicenda intergenerazionale (il padre, Enrico, è del 1915; il ragazzo Marco del 1946), ambientata tra inizi del Novecento e il fatidico Sessantotto, un genitore e un figlio ugualmente affetti da solitudine, senso d’abbandono, distanza familiare e sfiducia nella vita.

Non si può neanche lontanamente immaginare che, a livello della sua sacerdotale missione, a don Massimo manchi la profonda esperienza di quelle umane occorrenze, preferibilmente tra casa e famiglia, tra gioventù a rischio o maturità al collasso, per intraprendere un racconto di memorie utili a illuminare sempre rinnovate peripezie d’incontri-scontri tra pareti di domestica quotidianità, amori nascenti o sulla via del tramonto, semplici amicizie all’alba dell’esistenza, o più vissute condivisioni di sensi.

Nel libro d’oggi siamo di regola tra Roma e Milano (con una pesante parentesi, per il padre, dentro uno stalag polacco subito dopo la Seconda guerra mondiale), ma anche tra la spiaggia di Termoli e dai nonni di Marco, a Tivoli (tra ville, parchi, rocche e templi). Hanno patito, l’uno e l’altro, la mancanza prematura di Giuliana, moglie e madre, e bisognerà giungere a un punto cruciale della narrazione perché un ostinato e quasi irato silenzio si infranga contro quel muro di mutua incomprensione, non sempre inconsciamente costruito fra loro, e si muti in un caldo ricupero di amore sia paterno che filiale. Nel frattempo gli anni si fanno da singoli anelli di tempo e d’occasioni (amicizie nuove; anni di collegio, per Marco, lontano da tutti; prove d’amore per lui che da Luisa passeranno a Lucia verso più seri traguardi), mentre per il padre resta senza realizzazione quella che all’inizio s’era manifestata come il miracolo di una promessa: un cappotto arancione visto di sfuggita su un tram e mai più riapparso ma con dentro una donna e la bella prospettiva di un riaggancio alla vita con la complicità di un cuore mai spento alle fiamme del desiderio e dell’amore.

Ma c’è un’urgenza, in vista della fine, che emerge dal romanzo di Camisasca: la figura di suor Cristiana, per cui restano poche righe, ma tutto il bene possibile di lei e della sua folgorante intermediazione tra cielo e terra e per tutti gli altri evocati dal libro. Una presenza che oso pensare sia l’involontaria ma non illusa realizzazione del mandato stesso sacramentale del vescovo Massimo Camisasca: portare la luce come nuovo inizio, perché vivere è sempre ricominciare.

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