mercoledì 4 giugno 2014
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Si potrebbe dire, rapidamente, che con l’Editto di Milano del 313 d.C. si stabilisce in Occidente la cristianità, messa in discussione, a partire dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese, dal processo di secolarizzazione. Ma messa in discussione anche nel cantiere della teologia cristiana, a partire - se vogliamo fare un nome significativo - da Bonhoeffer, in particolare dalle Lettere dal carcere del 1944 (edite nel 1951, e in edizione italiana nel 1968).Che cos’è avvenuto? È avvenuto un passaggio dal discorso ecclesiologico al dibattito sul futuro del cristianesimo. Agli inizi del XX secolo, dopo la Grande Guerra, viene riscoperto e va imponendosi il tema della chiesa. È stato Romano Guardini, nei primi anni Venti del secolo appena scorso, a uscire in quell’espressione, che può essere assunta come diagnostica di uno dei lineamenti della teologia cristiana della prima metà del XX secolo: «Un processo di incalcolabile portata è iniziato: il risveglio della Chiesa nelle anime». Un risveglio che era connesso, nell’analisi del giovane teologo italo-tedesco, a un vero senso della realtà vissuta e al senso comunitario. Svaniva, sulle macerie della Prima Guerra Mondiale, l’incanto per l’idealismo e per l’io astratto e la coscienza cristiana iniziava a percepire la Chiesa come via verso la personalità e, insieme, verso la comunità.Le Lezioni sulla Chiesa, tenute da Guardini all’università di Bonn nel 1921 e pubblicate nel 1922 con il titolo Il senso della Chiesa, avevano entusiasmato il suo uditorio e i suoi lettori, che le avvertivano «come un colpo d’ala, un soffio di Cristianesimo originario, pentecostale», in quanto additavano «nuove vie verso un rapporto vivo tra Chiesa e personalità, verso una crescita umana autentica fondata sulla libertà interiore, che sfocia in una comunità di grazia». La celebre espressione guardiniana del 1922 sul «risveglio della Chiesa nelle anime» faceva eco alle parole di Hermann Hoffmann a commento di un grande incontro giovanile al castello di Rothenfels nell’agosto del 1920, al quale aveva partecipato anche Guardini: «La chiesa si era risvegliata ed era diventata viva nella gioventù», ma troverà, a sua volta, eco in campo evangelico nell’opera di Otto Dibelius, Il secolo della Chiesa, che influirà sulla teologia della Chiesa confessante.Il XX secolo ha registrato, infatti, alcuni eventi decisivi in campo ecclesiologico, come la nascita del Consiglio Ecumenico delle Chiese (1948), la celebrazione del concilio Vaticano II (1962-1965) e una intensa attività teologica ed ecclesiologica, che ha segnato un percorso che ha portato la Chiesa cristiana «dall’epoca pre-ecumenica all’epoca ecumenica». Nella svolta culturale degli anni Sessanta e nell’ondata della secolarizzazione del 1968 - come la chiama il sociologo bavarese Joas - appare il sintomatico libro dello storico francese Jean Delumeau, Il cristianesimo sta per morire?, che segna il passaggio alla concentrazione della riflessione storico-teologica sul centro del messaggio cristiano. Argomentando da storico, Delumeau descriveva il processo di "decristianizzazione", a partire dalla Rivoluzione francese, che metteva in discussione l’alleanza tra Chiesa e potere mondano. Sarebbe stata questa alleanza a favorire l’«anticlericalismo» prima e la «decristianizzazione» dopo: «La decristianizzazione attuale costituisce in larga misura il conto da pagare a quella formidabile aberrazione durata 1500 anni [dal IV al XIX secolo]. È una punizione di un pesante peccato collettivo che ha, ahimè!, accompagnato l’evangelizzazione nello spazio e nel tempo». Lo storico francese, oltre a proporre alla Chiesa con decenni di anticipo «la proclamazione pubblica e inequivocabile di errori che sono stati troppo pubblici», propone di operare il passaggio da un cristianesimo che è stato "unanimista" e "dolorista" a un "cristianesimo libero", per far fronte al processo di decristianizzazione.Nonostante la severa analisi, Delumeau è convinto della solidità del cristianesimo e della sua capacità di adattamento. Egli scrive: «In realtà, nel mondo intero, si presentano a chi sa vederle le prove della solidità del cristianesimo». L’invito di Delumeau a "voltare pagina" ha offerto lo spunto a un libro in collaborazione, Cristiani: voltate pagina, del 2002, che si segnala per l’autorevolezza degli interventi. In questo libro-intervista Jean Delumeau riconferma l’uso del concetto di «decristianizzazione» nel contesto di una società, non neo-pagana, ma agnostica, ma insieme riconferma la sua fiducia nella capacità di adattamento del cristianesimo: «La carta maggiore del cristianesimo è la sua capacità di adattamento». Tra gli interventi più significativi è da segnalare quello dello storico René Rémond, che non accetta la categoria di «decristianizzazione» e persiste nell’utilizzare la categoria di «secolarizzazione», da coniugare nel nuovo contesto di secolarizzazione e di pluralismo religioso con quella di «ricomposizione del fatto religioso» per una nuova configurazione del cristianesimo e della Chiesa cattolica, avvertendo inoltre che si tratta di un «processo occidentale». In una sorta di Testamento del cristianesimo (2000) all’inizio del terzo millennio, l’illustre storico si rifiuta di parlare di declino, ma insiste sul risituarsi del cristianesimo come fermento: «Immettere valori forti, il senso dell’uomo, la storia in cammino, la speranza in un progresso possibile, ma insieme ritrovare una parola più discreta, definirsi come fermento. E soprattutto prendere atto del cambiamento fondamentale che è l’emergenza dell’individuo, con la sua libertà e la sua coscienza. […] Senza pretendere di giocare a fare l’indovino, sono pronto a scommettere che esso sarà di nuovo capace domani di aprire cammini di libertà e di speranza».Il teologo francese Paul Valadier, fine analista della situazione contemporanea, in Un cristianesimo per l’avvenire (1999) propone una nuova alleanza tra ragione e fede. La caduta delle ideologie - l’ideologia marxista-leninista e l’ideologia razionalista del progresso - determina un paesaggio nuovo, che fa spazio alla fede, a una «fede di ragione», che non è contrapposta alla ragione, anche se propone una «razionalità specifica» adeguata al suo oggetto. Ma nel tempo del dubbio e del nichilismo essa non deve scoraggiare la ragione affermando che «noi saremmo in un mondo disperato, in una cultura di morte, nell’assenza del senso o alle porte della barbarie. Essa deve al contrario contribuire a non fare disperare la ragione: ora, lo si è detto, non siamo più nell’epoca dell’ottimismo incondizionato, ma piuttosto in quella delle disillusioni e del nichilismo. La responsabilità del credente in questo contesto sarebbe quella di accrescere disperazione e disincanto, o non piuttosto di partecipare al difficile lavoro di ridare alla ragione fede in se stessa?».Si va delineando un nuovo rapporto tra ragione e fede e può essere emblematica la discussione intervenuta tra il teologo Joseph Ratzinger e il filosofo Jürgen Habermas nel gennaio 2004, che ha avuto vasta eco internazionale, soprattutto dopo l’elezione del cardinale Ratzinger a papa con il nome di Benedetto XVI (2005). Nel suo discorso di Monaco di Baviera e nella sua analisi Habermas - uno dei principali rappresentanti della filosofia politica contemporanea - ripropone la questione già posta dal filosofo Böckenförde che, in un saggio del 1967, constatava che lo Stato liberale e secolarizzato si nutre di premesse normative che esso, da solo, non può garantire. Habermas riprende questo tema che ora, in filosofia della politica, va sotto il nome di «teorema Böckenförde». La proposta di Habermas riconosce alla religione una funzione pubblica: «La frontiera di quello che la religione può portare nella vita sociale del nostro tempo è una frontiera da esplorare nel dialogo a due». Il cardinal Ratzinger, nel suo discorso di Monaco di Baviera (2004), manifesta un «forte accordo con quanto ha esposto Habermas su una società "post-secolare", sulla disponibilità ad apprendere e sull’autolimitazione da entrambi i lati», e avanza la proposta di «una necessaria correlatività tra ragione e  fede, ragione e religione, che sono chiamate alla reciproca purificazione e al mutuo risanamento, e che hanno bisogno l’una dell’altra e devono riconoscersi l’una l’altra».Da ultimo, faccio riferimento a un’altra linea di analisi, che non utilizza il concetto habermasiano di «post-secolarità», ma che si colloca nella linea delle analisi di Taylor, che ha difeso la legittimità della «opzione secolare». Nella vasta e complessa opera, L’età secolare, il sociologo canadese Charles Taylor elabora un nuovo concetto di secolarizzazione come una nuova forma di umanesimo, che esclude il riferimento alla trascendenza: «Un umanesimo autosufficiente è diventato un’opzione ampiamente disponibile», avvertendo che «si tratta di una novità assoluta nella storia».Il sociologo bavarese, con cattedra a Chicago, Hans Joas, prolunga la riflessione di Taylor, attribuendo in La fede come opzione. Possibilità di futuro per il cristianesimo (2012), la pari dignità, culturale e sociale, alla «opzione religiosa», o alla opzione che si appella, come nel cristianesimo, alla trascendenza. Scrive: «Politicamente questo significa che credenti e non credenti dovranno vivere in permanenza l’uno a fianco dell’altro e accettarsi reciprocamente. Anche se la percentuale dei credenti continuerà a diminuire, i credenti rimarranno anche in Europa una parte notevole della popolazione, parte che non può essere sbrigativamente identificata con un partito o un campo politico. Lo stato - così afferma Charles Taylor - "non può essere né cristiano, né musulmano, né giudaico; ma parimenti non può essere neppure marxista, kantiano o utilitarista"».Joas, in riferimento alle analisi dello storico anglo-americano Philip Jenkins sulla globalizzazione del cristianesimo, afferma: «In un’ottica globale non c’è perciò alcun motivo per guardare con scetticismo alle possibilità di sopravvivenza del cristianesimo. La situazione sembra essere piuttosto la seguente: quella che stiamo vivendo oggi è una delle fasi più intense di diffusione del cristianesimo che si siano mai registrate nella storia. Questi sviluppi avranno molteplici conseguenze per i cristiani in Europa. Probabilmente, per quel che riguarda la Chiesa cattolica, siamo alla vigilia di uno spostamento fondamentale delle forze».Sulla base di questi dibattiti, ecco da dove passa il futuro del cristianesimo: da un cristianesimo in movimento per «risituarsi» (espressione dello storico francese Rémond) nei nuovi scenari aperti dalla globalizzazione.
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