Ho una piccola foto, tra le pochissime che conservo, ritrae Papa Wojtyla e Mario Luzi che si stringono la mano. Non un abbraccio, l’abbraccio come usa da troppo tempo anche tra semplici conoscenti, ma la loro stretta di mano è un vero, autentico abbracciarsi. Risale alla per me leggendaria, e per tanti altri storica, esecuzione della Passione scritta dal poeta su invito, o con la piena adesione, del Pontefice. Quella fotografia è per me esemplare, perché in essa religione e poesia si stringono la mano, due mani ugualmente forti, pur se molto dissimili: lunga, sottile, da pianista o scrittore di versi, energica ma esile l’una; muscolosa, da operaio, da partigiano, da sciatore e nuotatore l’altra. E così i corpi: asciutto, longilineo, aereo l’uno, aitante spalluto, muscoloso, tornito, l’altro. Poi un elemento in cui i due uomini sono identici: il sorriso. La poesia e la religione si incontrano, e l’evento è naturale e ab origine, ma qui accade attraverso due esseri in carne e ossa, ognuno dei quali comprende una parte dell’altro. Poeta e drammaturgo di razza, da giovane, il Papa, uomo religioso da sempre e in toto il poeta. Uomo religioso in toto significa che la cultura cattolica a cui Luzi appartiene, pur inscindibile dalla sua anima e opera, non è l’elemento primo e discriminante: Luzi è religioso a priori, legato come è da un rapporto viscerale e luminoso alla vita, il cosmo, la terra, l’uomo. L’uomo che accetta dopo «la sorpresa, un contraccolpo di vero e proprio sgomento» l’invito a scrivere una Via Crucis (che avrà luogo nella Pasqua del 1999 al Colosseo, presieduta da Giovanni Paolo II), che prova un «dubbio di insufficienza o inadeguatezza », e il timore che la sua «disposizione interiore non fosse così limpida e sincera quanto il soggetto richiedeva » non è un poeta confessio- nale, ma il maggiore interprete italiano vivente della grande poesia che nel Novecento rimette in scena il dilemma di Shakesperae, to be or not to be , «essere o non essere», vale a dire: il mondo e la realtà esistono o sono illusioni? Questa domanda sin dall’origine drammatica diviene nel Novecento tragica: poeti come Eliot, Pound, Yeats, Ungaretti, Bonnefoy, Luzi, sostengono comunque la realtà del mondo, mentre altri grandi, come Montale, ne dubitano, seppur stoicamente. Sin dall’inizio, dal libro d’esordio La barca, la poesia di Luzi manifesta questa immersione nell’avventura fluttuante e perigliosa dell’esistenza, sin dall’inizio «dalla barca si vede il mondo», a cui seguirà, negli anni di piena maturità «felici voi nel movimento» (guardando dal ponte i vogatori sull’Arno), immagini di incessante vitalità entro il paesaggio del mondo, che nella Passione diviene oggetto di meravigliosa nostalgia da parte di Cristo. Il quale diviene, nell’invenzione del poeta, diviene unico protagonista: La Passione è quindi un monologo, Luzi dà voce solo a Gesù, nel terribile momento in cui la sua vita di uomo si inoltra nel martirio e la sua natura di figlio si approssima al ritorno alla luce del Padre. Drammaturgicamente Luzi crea una lingua metricamente libera e insieme guidante, che costringe l’attore a seguire il sottotesto musicale e ritmico. Esclude figure fondamentali, Maria, Giuda, Pilato, non insuffla le voci degli angeli: tutto è incorporato in quella di Cristo che ci travolge nella sua sofferenza, nel suo dubbio di non avere fatto abbastanza nel mondo, nel suo amore per l’uomo, il fratello che lo sta massacrando e umiliando, nell’ improvvisa, attimica angosciosa paura che non tutto sia stato previsto dal Padre, che qualcosa possa sfuggire al disegno divino, e contemporaneamente, simultaneamente, nella sua continua preghiera a Lui, a cui senza sosta chiede perdono per la propria debolezza di umano a tratti dubitante. Terrificante la potenza d’amore emanante da questo monologo: Cristo ha paura di avere sbagliato, di non avere saputo abbastanza amare i fratelli che lo stanno uccidendo, ma nello stesso tempo si scusa col Padre per questo suo, 'delirio': delirio di un uomo debole che sta subendo la croce e le percosse. Il verso luziano trionfa, fino al culminante Coro che sostituisce la voce di Gesù ormai morto e prossimo a risorgere: «Noi con amore ti chiediamo amore».
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