sabato 5 ottobre 2019
Isla Negra è la più ricca e leggendaria, creazione personale di un uomo che sognava di «contenere il mondo nel fondo di una bottiglia»
Un’installazione a Isla Negra nella casa sul mare del poeta (Maurizio Fantoni Minnella)

Un’installazione a Isla Negra nella casa sul mare del poeta (Maurizio Fantoni Minnella)

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Alle masse popolari risulta sempre difficile se non impossibile accettare che un qualsiasi artista o poeta o scrittore noto per le sue idee comuniste, possa vivere o possedere diversamente da qualsiasi lavoratore. Una visione miope, a dire il vero, proprio nella sua pretesa di generalizzazione e di purezza. Pablo Neruda poeta cileno e universale, celebrato nel mondo ed anche in Italia (la sua opera ha conosciuto diverse fasi fortunate), è stato certamente un comunista fino alla fine dei suoi giorni, ma anche un uomo amante della vita, del buon vino, degli amici delle donne.

Tre, infatti, furono le sue muse. L’ultima, Matilde Urrita, a cui, affettuosamente, aveva dato il nomignolo di Chascona (per via dei suoi capelli scarmigliati), si prese amorevolmente cura di difendere non solo la memoria del poeta ma anche di salvare le tre residenze, quelle 'urbane' di Santiago (la Chascona), di Valparaíso (la Sebastiana) e di Isla Negra, vandalizzate dalle squadracce del dittatore Augusto Pinochet all’indomani del golpe dell’11 settembre 1973. Nel 1969, il poeta aveva rinunciato alla propria candidatura alle elezioni presidenziali per sostenere incondizionatamente quella di Salvador Allende. Questo trittico magico divenuto oggi, fatalmente, una sorta di attrazione di massa, al pari di tutto ciò che abbia le stigmate della bellezza, si configura, in realtà, come un itinerario esistenziale ed estetico, ma si potrebbe anche dire, uno speculum vitae, in cui si riflettono i gusti, le passioni, le ossessioni per gli oggetti più singolari del Capitano, come egli amava definirsi.

Isla Negra, in particolare, la più ricca e leggendaria, è la creazione personale di un uomo che sognava di «contenere il mondo nel fondo di una bottiglia», coniugando con maestria e sapienza l’idea del gabinetto delle meraviglie di ottocentesca memoria con quella del buen ritiro, dove si apprestava in solitudine, alla stesura del suo capolavoro Canto General.

Isla Negra è un lembo di terra nascosta in riva all’Oceano Pacifico, situata a metà strada tra Santiago del Cile e Valparaíso, il porto più importante del Paese, dove dietro le facciate delle case dipinte con colori pastello, si cela uno sconfortante degrado e un caos edilizio altrove impensabile. Nel 1937, al suo ritorno dall’Europa dove già era assai conosciuto come poeta e dove aveva svolto funzioni consolari, Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, il cui cognome era ispirato allo scrittore ceco romantico praghese Jan Neruda (1834-1891), l’anno seguente acquistò il lembo di terra su cui in seguito eresse con personale ispirazione la propria residenza (che ispirò anche il titolo di un’altra importante opera, Memoriale de Isla Negra, 1964 ) da un marinaio spagnolo, Eladio Sobrino, che vi aveva, a sua volta, costruito una capanna di pietra.

Tra il 1943 e il 1965 si avvicendarono alla realizzazione dell’impresa l’architetto catalano German Rodrigo Erias e successivamente l’architetto Sergio Soza, al fine di realizzare ciò che ora vediamo davanti a noi: una dimora rivolta longitudinalmente verso l’Oceano, concepita come una nave, non tanto nella forma, quanto nello spirito di un navigante nel mare infinito della bellezza nelle sue metamorfosi da un oggetto all’altro.

Di una bellezza struggente ed evocativa sono le numerose polene dai bei volti di donna, recuperate da vascelli in o nelle aste in giro per il mondo e a cui il poeta dedicò perfino dei versi. Non vi era forse oggetto più amato da Neruda che le sue polene mentre i bicchieri antichi di vetro colorati, disposti in ordinate vetrine, possedevano, a suo dire, la magia di rendere l’acqua più soave. E ancora, le grandi statue primitive provenienti da Rapa Nui a far da cornice a grandi mappamondi inglesi del XIX secolo e antiche carte geografiche, traccia evidente di un amore per la geografia del mondo intero e per il continente sudamericano. Se il percorso dentro l’immaginario del grande poeta ha inizio con il mare, è con il mare che esso degnamente si conclude, mostrando una vocazione naturalistica, pre- sente fin da bambino, nel collezionare numerosi esemplari di conchiglie del Pacifico.

Nel corso della sua vita, quella del poeta fu la vocazione a circondarsi di una miriade di oggetti, come a voler mettere ordine nel meraviglioso caos dell’universo. Ma quando l’udisuso niverso orrendo della dittatura fascista lo colse di sorpresa, ma non impreparato all’idea della morte, quest’ultima sopravvenne per una strana fatalità dodici giorni dopo quell’11 settembre di sangue che fu per molti, in Cile e nel resto del mondo, un nuovo trionfo del fascismo e dei suoi protettori nordamericani. Impossibile, allora, non leggere come profezia e desiderio i versi del poeta dal XXV canto: «COMPAGNI, seppellitemi a Isla Negra, di fronte al mare che conosco, a ogni rugosa area di pietre e onde che i miei occhi perduti mai più non rivedranno. Ogni giorno d’oceano mi portò nebbia o pure frane di turchese, o semplice ampiezza, acqua diretta, invariabile, o ciò che chiesi, lo spazio che mi ingoiò la fronte […]. Aprite accanto a me la fossa per colei che amo, e fate che ancora m’accompagni nella terra».

La sua preghiera fu esaudita; Pablo e Matilde riposano uno accanto all’altra come in un giardino fiorito di fronte allo struggente moto del mare. In un continuo gioco di rimandi, a Isla Negra si alternano le altre due residenze, quella rivolta all’azzurro del mare e quella affacciata come un immenso balcone fiorito al grigio piombo di Santiago. Entrambe contrassegnate da un’architettura a suo modo moderna, ma al tempo stesso organica per l’uso dei materiali (pietra, legno), ma anche per lo scomporsi dei corpi edilizi in elementi del paesaggio armonicamente giustapposti. Entrambe ricche, se non straripanti della vita dello scrittore che sembra voglia esprimersi anche attraverso la poesia degli oggetti che svela la meraviglia del mondo. Quello di Neruda non fu affatto collezionismo borghese, spesso basato sull’alto valore economico e su poche specifiche tipologie di lusso, ma su un’inesauribile curiosità umana e intellettuale per l’immensa varietà delle forme, dei colori e dei significati di cui sono fatti gli oggetti, nel vertice immaginario in cui l’uomo, il poeta ridivenendo bambino, ritrova il filo perduto di una poesia infinita.

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