sabato 22 maggio 2021
Parla la studiosa: «La Ue rimane un progetto unico, che va sostenuto con convinzione anche nei momenti di maggior difficoltà L’arte e la letteratura possono dare un contributo molto importante»
Aleida Assmann

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Sarà anche un espediente retorico, quello della Storia maestra di vita. Ma da che cosa si potrà mai imparare, se non si impara dal passato? La domanda viene da Aleida Assmann, che insieme con il marito Jan ha approfondito gli studi sulla cosiddetta “memoria culturale”, ossia sul legame spesso inavvertito fra tradizione e identità. Egittologo lui e teorica della letteratura lei, gli Assmann hanno ottenuto riconoscimenti prestigiosi, come il Balzan nel 2017 e il premio per la Pace degli editori tedeschi nel 2018. In Italia Keller ha da poco pubblicato Il sogno europeo( traduzione di Enrico Arosio, pagine 238, euro 17,00), il saggio nel quale Aleida Assmann passa in rassegna le quattro principali lezioni che il Vecchio Continente ha appreso dai propri errori: il valore della pace, la necessità di uno Stato di diritto, l’elaborazione di una memoria condivisa, la tutela dei diritti umani. Un patrimonio che oggi sembra essere messo in discussione, come se non esistessero più le condizioni per dare continuità a un disegno tanto impegnativo. «Preferirei ribaltare la prospettiva – replica Aleida Assmann –. Anziché interrogarmi sulle condizioni di applicabi-lità, ritengo opportuno insistere su quanto l’Unione Europea abbia bisogno di questi princìpi per rimanere fedele a sé stessa. Si tratta non solo di un elemento di identità per gli Stati membri, ma anche del collante che unisce. Da questo punto di vista, penso che si possa estendere alla Ue la metafora di “comunità vincolata da un giuramento” con la quale la Svizzera designa la propria condizione».

In che modo è arrivata a individuare questi princìpi fondamentali?

Stavo cercando un modo per contrastare il linguaggio caricaturale che ritrae la Ue come una mostruosità burocratica, nevroticamente ossessionata da sciocchezze tipo la curvatura dei cetrioli. D’accordo, l’Unione non è stata un granché abile nel promuovere la propria immagine: motivo in più perché siano gli europei a farsene carico. Più ci riflettevo, più mi risultava evidente che la Ue è un progetto unico nella storia, caratterizzato dall’intento di armonizzare tra loro un gruppo di Stati nazionali che accettano di cedere una quota della propria sovranità. Sono convinta che questo modello possa essere esteso ad altre parti del mondo.

È un modello capace di resistere anche all’urto della pandemia?

Il mio interesse verso l’Unione si è sviluppato di pari passo con la consapevolezza delle sue crisi: il crollo finanziario, l’arrivo dei migranti, il lungo e penoso processo della Brexit e, da ultimo, il coronavirus. Dal mio punto di vista, ogni nuova minaccia rende ancora più importante l’Europa. Un elemento è ormai chiaro, ed è il fatto che la Ue non è un’istituzione come le altre, ma un esperimento storico il cui successo dipende da ciascuno di noi. La pandemia, nella fattispecie, è stata una cartina di tornasole che ha rivelato tutta la forza e tutta la debolezza dell’Europa. All’inizio le frontiere sono tornate a chiudersi, ma non c’è voluto molto per capire che una situazione del genere non poteva essere tollerata a lungo. Le riaperture sono state accolte con sollievo ovunque e questa è stata la dimostrazione di quanto gli accordi di Schengen siano connaturati nel codice genetico europeo. Non sono mancati alti e bassi, non c’è dubbio. Tuttavia sono state proprio le emergenze, nel loro insieme, a far comprendere come la Ue sia una comunità sempre capace di imparare e di rivedere al rialzo le proprie aspettative. Con i suoi 750 miliardi di euro, il Piano per la ripresa ha decisamente avuto la meglio su qualsiasi politica di austerità e ha creato le condizioni per un’inedita solidarietà reciproca.

Nel libro lei ricorda come i migranti non sia una novità per l’Europa...

L’Europa ha confini interni ed esterni. I primi sono aperti, in modo da favorire e incoraggiare i movimenti. Questo però può portare a situazioni di squilibrio demografico, anche a causa dello spostamento di lavoratori migranti da un Paese all’altro. I confini esterni, invece, sono chiusi. Dopo essere sopravvissuti a viaggi traumatici, i migranti che riescono ad arrivare devono affrontare mesi, se non anni, di terribili avversità, con pochissima speranza di ottenere un futuro migliore. L’Italia, in particolare, è il Paese che più di ogni altro in Europa si è speso per quanti fuggono dalle atrocità della guerra, in cerca di un’esistenza pacifica. L’Unione avrebbe dovuto attribuire un premio speciale all’Italia e stanziare fondi generosi a sostegno del suo impegno umanitario. Personalmente, sono rimasta molto colpita dalla figura di Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa che si è instancabilmente dedicato ai migranti appena sbarcati, aiutandoli a trovare un posto nella società. Qualche anno fa, a Berlino, Bartolo ha descritto il suo lavoro con una relazione indimenticabile e sono stata molto lieta di apprendere della sua elezione al Parlamento Europeo. Una persona come lui meriterebbe di essere famosa quanto il Papa, e lo stesso vale per tutti coloro che incarnano lo spirito della Ue. La quale, a sua volta, ha bisogno di uomini e di donne che facciano da modello e la cui esperienza possa essere raccontata.

Si riferisce al contributo che potrebbe venire dall’arte e dalla letteratura?

L’Europa è una comunità immaginata, che abbraccia e trascende ogni narrazione tradizionale. Contiene una grande ricchezza di miti, storie, immagini, che però non si possono riunire in un unico racconto. Non a caso, le banconote della Ue rappresentano ponti, porte e finestre, non eroi o eroine. Anche la Casa della Storia europea a Bruxelles si ispira alle nozioni di costellazione e di crocevia, al susseguirsi delle generazioni e alla mobilità, agli eventi di portata transnazionale e agli intrecci del passato. Artisti e scrittori hanno un ruolo decisivo nella creazione di un immaginario comune che valorizzi l’individualità e rispetti la diversità. Laddove l’arte di Stato tende a essere esplicita, selettiva e contraddistinta da uno stile eroico, l’arte democratica richiede la disponibilità a rimettere in gioco le nostre convinzioni mediante il ricorso a prospettive inusuali, così da impedirci di dimenticare quello che ci risulta scomodo. Penso alla performance berlinese di Ai WeiWei nel 2016, quando le colonne della Konzerthaus furono rivestite con centinaia di giubbotti di salvataggio recuperati nel Mediterraneo.

Qual è oggi il peso delle memorie nazionali?

Ogni Paese europeo ha una sua storia peculiare, fatta di eventi cruciali che non sono mai del tutto superati e anzi continuano a risuonare nel presente. L’aspetto problematico sta nel fatto che attualmente in alcuni Paesi il passato è ancora oggetto di disputa e di interpretazioni discordanti. In Germania, per esempio, è attivo un partito di estrema destra che alimenta nostalgie imperiali pretendendo di ignorare la Shoah i. In Italia e in Spagna gli ammiratori di Mussolini e di Franco tornano a promuovere il nazionalismo, in Francia Marine Le Pen mobilita le masse. Queste tendenze mettono a dura prova l’Unione e potrebbero arrivare a comprometterla. Fino a questo momento gli Stati membri sono rimasti coesi nella volontà di scongiurare le conseguenze di un nazionalismo esasperato e fuori controllo. Una memoria culturale autocritica è uno scudo molto efficace contro la tentazione del particolarismo e del sovranismo. Possiamo solo sperare che non venga meno.

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