venerdì 15 ottobre 2021
Una mostra al Palazzo Ducale di Sassuolo con gli scatti realizzati per le ceramiche Marazzi e una raccolta di scritti rivelano quanto la sua sia l'opera di un artista concettuale
Le fotografie di Luigi Ghirri esposte nella mostra "Marazzi Years 1975 - 1985" a Palazzo Ducale di Sassuolo

Le fotografie di Luigi Ghirri esposte nella mostra "Marazzi Years 1975 - 1985" a Palazzo Ducale di Sassuolo - Héctor Chico / Andrea Rossetti

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Luigi Ghirri è un fotografo? Certo, Ghirri è stato uno dei più grandi fotografi del Novecento: in assoluto. Eppure applicando il termine in modo tradizionale, di Ghirri sfugge molto, forse tutto. «Sarà che mi interessavano talmente gli atlanti che la vocazione del fotoreporter giramondo non mi ha mai sfiorato» dice in una intervista, contenuta in Niente antico sotto il sole, con cui Quodlibet riporta finalmente in libreria la raccolta completa degli scritti (pagine 358, euro 22,00). E che la domanda sia del tutto lecita lo dimostra la mostra ottimamente curata da Ilaria Campioli a Sassuolo, con le fotografie – in gran parte inedite – realizzate da Ghirri per le ceramiche Marazzi tra 1975 e 1985.

Non si tratta di fotografia industriale o destinata alla pubblicità ma il frutto di un rapporto di amicizia e di mecenatismo. Ghirri produce immagini di superfici coperte di ceramiche bianche, teatrini prospettici, quadri e specchi, oggetti veri e rappresentati. Con ironia Ghirri riconosce nella piastrella il canone, la misura proporzionale del mondo, la griglia che irreggimenta spazio e visione. La ceramica per Ghirri è la materializzazione di uno spazio assoluto: «“oggetto” su cui si vengono a posare altri oggetti: i mobili i gesti, le immagini, le ombre delle persone che abitano quegli spazi». La ceramica diventa analogia della fotografia, così come la quadrettatura dello spazio regolato dalle piastrelle è equivalente della quadrettatura del mirino fotografico a sua volta, come spiegava in una lezione ai suoi studenti di Reggio Emilia, identico «per certi versi alla quadrettatura di una lavagna per imparare a scrivere o a disegnare».

Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975 – 1985

Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975 – 1985 - © Eredi Luigi Ghirri / Courtesy Marazzi Ceramiche

Appare chiaro come Ghirri risulti più affine agli artisti concettuali di quegli anni che ai colleghi fotografi. Nel 1974 scriveva di non avere «mai amato le fotografie della “natura”», definendo il «disperato tentativo di bloccare il “momento naturale” una contraddizione insanabile con il linguaggio fotografico. È già infatti la scoperta della visione rinascimentale, tramite la camera obscura, avvenuta non a caso in una sfera intellettuale urbana, che esclude in larga misura una visione “naturale”». Ma se in quegli anni per gli artisti la fotografia aveva lo scopo di documentare performance o ne era un dispositivo strutturale (Franco Vaccari), Ghirri si concentra sull’oggetto fotografico in quanto tale.

In L’enigma fotografia, testo fondamentale del 1987, Ghirri scrive: «Daguerre, avvicinandosi per primo alla frontiera del già visto e contemporaneamente del mai visto, intuisce che da quel momento la vita degli uomini sarà accompagnata da questo doppio sguardo, da uno scarto, una specie di alone che abiterà persone e luoghi; un doppio sguardo sul mondo visibile presente o evocato e sul mondo visibile fotografato. (…) Il sottile fascino malefico della doppia visione che si ha quando si osserva una fotografia, seduzione della differenza che esiste tra la cosa e la cosa fotografata, lo scarto percettivo del doppio sguardo che continua a catturarci».

Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975 – 1985

Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975 – 1985 - © Eredi Luigi Ghirri / Courtesy Marazzi Ceramiche

Per Ghirri, che immerge questo “mistero” in una continua mise en abyme, il senso della fotografia è in uno iato, una scollatura dove invece il senso comune vede identità. Con spirito magrittiano, Ghirri fotografa la distanza tra la realtà e il codice, la tensione nello spazio intermedio tra foto e grafia, il vedere e la sua riscrittura. Ghirri non è fotografo, dunque, perché la sua fotografia viene prima della fotografia stessa.

L’accumulo del frammento fotografico non è in grado di ricostruire il reale, in quanto sempre eccedente: è ciò che sta oltre il margine fotografico. Il reale lo si conosce solo attraverso la sintesi archetipizzante della mappa (Atlante, In scala) e della griglia percettiva, ossia degli strumenti che mediano la conoscenza del reale filtrando il rumore bianco della totalità dei fenomeni. Topografia e iconografia sono, per noi, il mondo. Il senso della fotografia sta allora nella sua impossibilità di coincidere con il reale, nel suo essere medium: ciò che sta in mezzo. Parlando di Infinito, progetto del 1974 che prevedeva un’immagine del cielo al giorno per un anno intero, Ghirri scriveva che è «in questa non possibile delimitazione del mondo fisico, delle natura, dell’uomo che la fotografia trova validità e senso. In questo suo non essere linguaggio assoluto, nel farci riconoscere la non delimitabilità del reale trova la sua naturalità e la sua autonomia».

Sassuolo (Modena), Palazzo Ducale
Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975-1985
Fino al 31 ottobre

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