martedì 30 novembre 2021
La Provvidenza si muove di nascosto nella celebre saga dello scrittore inglese: Da cosa riconoscerla? Ma per il credente conta più il “come” del “cosa”. Cioè il legame col mistero
Lo scrittore J.R.R. Tolkien​

Lo scrittore J.R.R. Tolkien​ - archivio

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Andrea Monda, direttore dell’“Osservatore Romano” e tra i massimi conoscitori di Tolkien in Italia pubblica dalle edizioni Ares il saggio J.R.R. Tolkien. Gli hobbit & l’imprevedibilità del bene (pagine 160, euro 13,50). Questo invito alla lettura di Il Signore degli Anelli, frutto di un ciclo di conferenze, si avvale della prefazione di don Fabio Rosini, che anticipiamo in questa pagina per ampi stralci. Attraverso una ricognizione degli snodi principali dell’opera e dei protagonisti, Monda suggerisce la strada che ci porta a scoprire Tolkien mostrando i temi fondamentali che riflettono l’esperienza di vita di ciascuno. In particolare, vi troviamo la certezza che la Storia – non solo nelle saghe epiche – è mossa dall’intervento imprevisto di un personaggio mai nominato ma sempre presente, la Provvidenza, e dall’eroismo spesso nascosto dei piccoli, degli Hobbit.

Se avete mai raccontato una favola a un bambino sapete che quando vi ascolta ha gli occhi sognanti, presi, sgranati e felici. Ecco, questo è il bello della vita: raccontare una favola a un bambino. Perché questo fa chi sa amare: mettere nel cuore dell’altro una cosa bella. In fondo quando scopriamo qualcosa che ci appassiona, una musica, un libro, un’opera d’arte, un film... lo vogliamo donare a qualcuno a cui vogliamo bene. Ecco, mettere una cosa bella nel cuore di un altro è l’arte di vivere, è l’arte di avere amici, è l’arte di avere figli; è l’arte di avere un coniuge, un fratello. Ma se abbiamo una vita frenetica e impegni seri e problemi molto gravi, a cosa serve leggere una favola quando ci sono questioni di vita o di morte da affrontare? Ma quelle hanno senso soltanto se facciamo queste. Il puro piacere di condividere, questa bellezza vera che Dio ci ha regalato, ha un fine più grande... come aiutare una coppia perché un giorno arrivi a raccontare storie ai bambini. Perché Dio non è un sacrestano; noi lo mettiamo in sacrestia, ma lui è Dio della vita e alla nostra esistenza ha fatto anche il dono della fantasia, dell’amicizia, del disquisire, del capire, del raccontare. Vorrei partire da una domanda: cosa c’è di più carnale di un Hobbit? Cosa c’è di più immateriale di Sauron? Sauron non ha un corpo, è esattamente come il demonio: il demonio non ha un corpo, è un aggettivo, non è un sostantivo. Ma senza carne non c’è salvezza, e il fatto che la carne sia la condizione di possibilità della salvezza è curioso, perché noi crediamo di essere salvati dalle idee. Ma in realtà siamo salvati dagli atti, dalle cose fatte con il corpo. Ed eccoci entrati nel campo dell’alta teologia trattando di aspetti nient’affatto banali, a partire da un romanzo. Un cammino come quello narrato dalla storia meravigliosa del Signore degli Anelli e dello Hobbit sottolinea infatti la grandezza della carne e la miseria della mancanza di incarnazione, del voler essere pura Sapienza, un occhio: Sauron voleva essere solamente conoscenza, vedere tutto, eppure viene sconfitto. Uno degli aspetti che cerco di far capire a tutti coloro che si accostano alle Scritture è che i verbi sono più importanti dei sostantivi, ed è questa la differenza fra l’essere di Dio e la nostra fissazione mediocre sugli oggetti. Il “come” è molto più importante del “cosa” e il Papa aggiungerebbe «il tempo è più importante dello spazio». La lingua ebraica viene tutta da radici verbali: i termini sono radicati in verbi, azioni, mentre la lingua greca è tutta radicata in sostantivi, ci sono poche radici veramente verbali. Ecco, il problema è che bisogna insegnare che non è importante capire cosa stia succedendo, ma dove ci stia portando la dinamica delle cose. Quando sant’Ignazio di Loyola tratta dell’arte del discernimento insegna che di ogni pensiero bisogna chiedersi non se sembri giusto o no, se abbia un colore di sublimità o sembri molto retto, ma dove porterà. Se seguo un certo pensiero, dove mi porta? Quindi, la dinamica delle cose, la storia, è la vera radice. La religione giudeo-cristiana è una religione storica, il Dio dei cristiani è un Dio dei fatti, degli eventi, non dei concetti, non delle astrazioni. Se c’è una cosa che è difficilissimo trovare nella Bibbia è l’astrazione. Molto spesso noi restiamo incastrati dentro l’impressione “di questo” o “di quello”, del peso delle cose; invece, il movimento delle cose è ciò che conta. Il problema non è arrivare al bersaglio, ma mettersi nel movimento che permette la relazione, che è il vero cammino: da me all’altro, all’Altro. Uno può viaggiare per il mondo intero, ma restare solo; uno può stare fermo ed entrare nell’amicizia, entrare nella fraternità, entrare nel perdono, in tutte le relazioni. È questo il vero punto; il resto conta poco. L’altro tema fondamentale del romanzo di Tolkien (e della valida letteratura in generale), ovvero quello del cambiamento e dell’evoluzione dei personaggi, per cui per esempio molti lettori si sono entusiasmati per il personaggio di Aragorn, non è una semplice cifra narrativa, un artificio per comunicare dei contenuti. È di più, è il cuore del romanzo, e non a caso è un aspetto che tocca una delle note più importanti della nostra vita spirituale. È assolutamente impossibile vivere la vita spirituale senza la certezza di andare verso un oltre, senza la certezza che Dio ci sta portando ad amare di più, a conoscerlo di più, a essere più liberi. / Ansa Vedere la vita umana come la ricerca di una stasi ideale è il germe della dittatura, mentre pensare la vita come una costante evoluzione è l’apertura alla novità e quindi al non prendersi mai sul serio fino in fondo. Se non pensassi che ho una speranza di diventare qualitativamente più libero, più cristiano, più aperto, più comunionale, più capace di essere guidato dallo Spirito Santo, sarebbe devastante. Io penso a me stesso, francamente, come uno che è in viaggio, non sono arrivato, ho tutto ancora da scoprire, e questo è molto bello perché mi mette voglia di vivere, di affrontare sfide, mi mette quella curiosità santa di gettarmi nelle cose più grandi di me, perché penso che solo così divento più grande. L’idea del cambiamento è l’idea dell’evoluzione; uno dei temi più importanti da insegnare ai miei confratelli sacerdoti è che la nostra logica deve essere sempre quella di mettere in movimento le persone, come dice papa Francesco: innescare dinamiche e andare sempre più vicino alla bellezza, al Signore Gesù Cristo, allo Spirito Santo, alla vita dei figli del Padre. Senza la speranza di una migliore conoscenza del Signore Gesù, decade il senso della Fede. L’idea della crescita, della scoperta, dell’acquisizione del sempre maggiore è fondamentale, per questo è molto importante un libro di questo genere e la sua natura, perché mette nel cuore dei lettori la logica del “crescerò”. Se io non penso che la mia e quella di ciascuno sia una storia di salvezza, potrei pensare al decremento della Grazia, del suo esaurimento, come se in fondo si andasse verso la distruzione, perché non si crede alla costruzione. Ogni peccato ha in sé una punta di rassegnazione, ogni uomo che sta facendo qualcosa di male sta rinunciando a sperare di fare qualcosa di bene. In fondo al nostro cuore tutti ci sappiamo nobili, e ci desideriamo belli, in crescita, in espansione, come fiori che sbocciano, ma se perdiamo questo anelito, noi perdiamo il senso del Paradiso, il senso della direzione della nostra storia. Tutti noi non abbiamo ancora amato abbastanza. Se ci rassegniamo a non amare di più siamo come morti, inizia il processo di necrotizzazione, se invece restiamo in questa felice fatica di crescere, in fondo accettiamo di essere cresciuti da Dio – uso volutamente il verbo al passivo: è qualcun Altro che “ci cresce”. Allora, quando mi arriva un “no” dalla vita, posso pensare che Dio mi stia facendo crescere, questa difficoltà, questa tristezza che ho è per crescere e per andare oltre, per la novità che mi aspetta e che mi spetta. E questa è una nota fondamentale che Il Signore degli Anelli accende (o riaccende) nel cuore: la voglia di crescere con Aragorn, con Frodo che cresce diminuendo, perché la crescita vera è quella verso la semplicità, verso il Bene, la vita è una spoliazione, è un togliersi maschere.

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