giovedì 28 aprile 2016
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La perla è perfetta. Fin troppo, per qualcuno. Nella riscrittura che Roberto Mussapi incastona al centro della sua nuova raccolta ( La piuma del Simorgh, Mondadori, pagine 106, euro 18) il poeta medievale inglese Gawain sembra addirittura rinnegare se stesso preferendo la rosa alla perla: in quest’ultima, sostiene, è impossibile all’uomo riconoscere le proprie lacrime. Diversamente da Gawain – che pure è celebre per una poesia allitterativa intitolata appunto La perla – sembra pensarla lo pseudo-Giuda Taddeo che al tesoro più di ogni altro splendido dedica un seducente inno gnostico. Anche in questo caso Mussapi ammicca e trascrive, obliquamente cita e magnificamente inventa. E dove il precedente letterario non è disponibile, lo confeziona ad arte. È il caso della ballata piratesca del leggendario corsaro Henry Morgan e, più ancora, della rêverie di cui è protagonista Marco Polo, patrono di ogni viaggio. Ciascuno va in cerca della sua perla, che per il mercante veneziano è l’origine, «la quintessenza». Il poema della perla è, come dicevamo, la sezione mediana del nuovo libro di Mussapi, la più incalzante e compatta insieme con i bellissimi Frammenti dell’esistenza di Maria, già conosciuti per la preziosa edizione realizzata da Raffaelli nel 2012. Qui, sulla falsariga riconoscibile eppure mai servilmente ricalcata della Vita di Maria di Rainer Maria Rilke, la vicenda terrena della Vergine è evocata per lampi e apparizioni, in perfetta coerenza con la scelta di raccontare questi scorci di Vangelo nella prospettiva di un angelo che è e forse non è (ma potrebbe comunque essere) lo stesso dell’Annunciazione. A due anni di distanza dall’organica sistemazione delle Poesie in un corposo volume di Ponte alle Grazie e a pochi mesi dalla pubblicazione congiunta di una plaquette autobiografico-narrativa ( Lezioni elementari, Stampa 2009) e di una ragionata selezione di traduzioni in versi ( The Conversation ofVoices, Algra), Mussapi torna con una raccolta nella quale convergono i temi maggiori della sua ricerca, in un continuo rincorrersi di figure del mito nelle quali lo sguardo del poeta riconoscere i segni, o l’annuncio, della rivelazione cristiana. Esemplare, in questo senso, il colpo di diapason in apertura del Tallone di Achille: «Quando caddi morendo allora mi accorsi / che il corpo è solido, affidabile». E ancora, in Dal diario del mercante bengalese, affiora «non una rivelazione, ma il sospetto / che esista solo una resurrezione incessante». Intonata all’insegna araldica del Simorgh (l’uccello leggendario della tradizione persiana), mai come questa volta la voce di Mussapi presta a una serrata meditazione sul costituirsi della memoria, con soluzioni a tratti virtuosistiche (il controcanto sul verbo “rammemorare” in Il cigno di Lesa, nel quale sopravvive un’eco di Yeats) e con un ribaltamento davvero strepitoso, quello per cui in L’infanzia di Yves uno degli autori prediletti da Mussapi, il francese Bonnefoy, diventa personaggio di una poesia nella quale si annida il fulcro stesso del libro: «Così, sanguinando / nacque la memoria», scrive Mussapi, lasciando intendere come solo da quella ferita possa germinare, di nuovo, la vera perla, il tesoro perfetto. © RIPRODUZIO NE RISERVATA Nella nuova raccolta, “La piuma del Simorgh”, tornano i temi di una ricerca che ora si focalizza sull’origine dolorosa della memoria LA CORTE Una miniatura medievale con un re in ascolto di un trovatore e un gruppo di musicisti
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