martedì 7 luglio 2020
Il vescovo Libanori reivoca come convinse Ennio Morricone a scrivere una composizione dedicata ai 200 anni dalla ricostituzione della Compagnia di Gesù. «Il suo pregio? La schiettezza »
«La passione di Morricone per Bergoglio e l'attenzione a noi gesuiti»
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Se lo ricordano ancora alcuni anziani padri della Compagnia di Gesù o molti degli assidui e sparuti frequentatori della chiesa del Gesù all'Argentina nella Capitale mentre di prima mattina, ogni giorno della settimana, dopo aver letto i giornali e fatto i suoi tradizionali esercizi ginnici il maestro Ennio Morricone "romano de' Roma" entrava da una delle porte laterali del tempio gesuitico e lì sostava in preghiera. E proprio in questo luogo così barocco - qui riposano le spoglie di sant' Ignazio di Loyola - dove spesso Morricone si recava con la sua proverbiale discrezione - non distante dalla sua abitazione vicina all'Ara Coeli sul Campidoglio - nacque l'idea della Missa Papae Francisci, una composizione realizzata dall'artista tra il 2013 e il 2015.
A rivelare questa idea fu proprio Morricone in un'intervista concessa al nostro quotidiano nel 2015: «Mia moglie Maria, con la quale siamo sposati dal 1956, mi ha sempre chiesto di scrivere una Messa . Poi una mattina, uscendo di casa, ho incontrato padre Daniele Libanori, rettore della chiesa del Gesù che è a due passi da casa mia a Roma e che spesso frequento. Il gesuita mi ha chiesto di scrivere una partitura per celebrare i duecento anni della ricostituzione della Compagnia di Gesù. Era il 2012. Mi sono preso un po' di tempo per pensare. Nel frattempo è stato eletto papa Francesco, il primo Pontefice gesuita. Ho detto di sì e ho pensato di dedicarla a lui».
Il custode ma anche l'indiretto ispiratore di questa composizione il gesuita ferrarese Daniele Libanori oggi vescovo ausiliare del settore centro di Roma rievoca come riuscì a convincere il maestro a comporre un'opera così suggestiva e aderente ai canoni "tridentini" della musica sacra. «Mi sorprese - è la rivelazione - che venne incontro subito alla mia proposta, senza accettare alcun compenso, con un sonoro: "sì accetto". Mi colpì come subito dopo il suo assenso aveva già chiara l'idea di realizzare e "orchestrare" la sua Missa. E comprese da subito l'importanza che per noi gesuiti potesse avere anche simbolicamente comporre questa esecuzione musicale con la sua firma dedicata ai 200 anni dalla rinascita del nostro Ordine (1814-2014) che subì una soppressione nel 1773 come si evince proprio dal film del 1986 di Roland Joffé di cui proprio Morricone realizzò la colonna sonora....».
Ma del suo antico "parrocchiano" padre Libanori ricorda la «timidezza, signorilità, la squisita cordialità» e il fatto che la «fama non aveva mai modificato la sua schiettezza e il suo sentirsi un "semplice" romano».
E annota un dettaglio: «Purtroppo quest' opera è stata eseguita, una sola volta, nel giugno del 2015 anche perché richiede un organico notevole. In alcune parti se si riprende lo spartito di Morricone, basti pensare all'Agnus Dei, emerge da subito la sua fede personalissima e segreta». Libanori intravede in questa Missae Papae Francisci l'appendice perfetta e "conclusiva" di quanto realizzato con Mission trent' anni prima. «Fu lui stesso a farmi partecipe di questa confidenza che rivelò lui stesso a papa Francesco a cui regalò la partitura originale. Mi impressionò come si commosse al momento della consegna di quel dono ». E aggiunge un dettaglio dal sapore inedito: «Considerava la Missa papae Francisci come la conclusione di una missione tutta dedicata ai gesuiti, alle reducciones e anche un omaggio indiretto al primo papa che proveniva dal continente latino-americano».
Di questo grande autore del Novecento italiano il vescovo gesuita aggiunge un altro dettaglio: «Mi diceva spesso che l'intento principale che aveva voluto realizzare in tutto il suo repertorio dedicato a noi gesuiti era quello di coniugare la ricchezza delle note musicali barocche con quelle proprie della cultura indigena, come quella dei popoli guaranì».
Dall'album dei ricordi monsignor Libanori estrae un'altra istantanea: «Mi ricordo che alcuni anni fa mi fece dono di uno spartito autografo, un "canone" per la chiesa del Gesù. Un manoscritto bellissimo scritto con le note musicali a matita e ora custodito nel nostro archivio. Ed è molto bello. Per me è stato un uomo autentico del quale avverto la mancanza. Per quanto sia stata una personalità schiva è diventata cara a tanti. Credo che il modo migliore per celebrarlo oggi nel giorno della sua scomparsa è quello di tenere viva la sua arte, le sue note immortali, che sono patrimonio di tutti».

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