giovedì 9 luglio 2020
Dagli Usa sta facendo rumore a livello internazionale la lettera aperta dei 150 intellettuali firmatari di un “manifesto” che chiede la libera circolazione delle idee
La scrittrice J.K. Rowling, firmataria dell'appello degli intellettuali

La scrittrice J.K. Rowling, firmataria dell'appello degli intellettuali - Reuters

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Una lettera aperta per dire no ai bavagli, alle censure preventive e alla gogna collettiva contro chi la pensa diversamente. Che appena pubblicata suscita le stesse reazioni di sdegno e gli inviti alla condanna che i suoi 150 firmatari considerano veleni per una circolazione delle idee libera, sana e degna di una democrazia come quella americana. Presi insieme, il j’accuse, comparso sulla rivista “Harper’s” e su altre pubblicazioni internazionali, e la risposta che ha ricevuto sulle reti sociali danno il polso del clima culturale negli Stati Uniti di Donald Trump e delle manifestazioni contro il razzismo, del politically correct e delle lotte per la giustizia sociale, dei talk show conservatori che si scagliano contro le élite e degli atenei che cancellano le conferenze non allineate con il dogma progressista. Il testo della lettera, cautamente, cerca di mantenere una distanza di sicurezza dai poli opposti dei dibattiti in corso su omosessualità, razza, libertà religiosa, destra e sinistra.

Gli intellettuali, perlopiù nordamericani, che l’hanno sottoscritta, si smarcano anche dal rischio di essere visti come pedine nella crociata a fini puramente politici di Trump contro il politically corrct. Ma poi si concentrano sul tema che li preoccupa più di un presidente che mette regolarmente in dubbio la legittimità della stampa. «Le forze illiberali stanno guadagnando forza in tutto il mondo e hanno un potente alleato in Donald Trump, che rappresenta una vera minaccia alla democrazia – scrivono – . Ma non bisogna permettere alla resistenza di indurirsi in dogmi o coercizioni, che i demagoghi di destra stanno già sfruttando. L’inclusione democratica può essere raggiunta solo se mettiamo all’indice il clima intollerante che si è manifestato da tutte le parti».

La lista di nomi in calce al manifesto, sebbene ricca, rende difficile leggerlo con una lente ideologica. Autori cari alla sinistra come il linguista Noam Chomsky si trovano affiancati a neoconservatori come Francis Fukuyama. Artisti afroamericani come il coreografo Bill T. Jones si trovano in compagnia di pensatori noti per la loro avversione a un uso del linguaggio epurato di riferimenti razziali, come il linguista Steven Pinker. A JK Rowling, che è stata criticata per aver fatto commenti insensibili nei confronti dei transessuali, si affianca il nome della giornalista transgender Jennifer Finney Boylan, che ha però successivamente preso le distanze dai suoi co-firmatari. E proprio questa retromarcia, insieme a quella della storica afroamericana Kerri Greenidge, aiuta a comprendere la forza del nemico contro il quale la lettera si è scagliata. Boylan e Greenidge sono state accusate di essersi schierate con intellettuali che hanno indebolito le cause LGBT o per i diritti dei neri che la loro identità, a quanto pare, dovrebbe rappresentare. E, sotto il peso delle critiche, hanno cambiato idea.


«Le forze illiberali stanno guadagnando forza in tutto il mondo
e hanno un potente alleato in Donald Trump, che rappresenta una vera minaccia alla democrazia»


Una decisione che allarma un altro firmatario, il docente di legge di Stanford Richard Thompson Ford. «Ho assistito a troppi casi di feroci abbattimenti di persone che aveva espresso idee difendibili ma ideologicamente non ortodosse – dice – . Non mi era stato detto chi altro avesse firmato la lettera, ma non importa. Ho firmato il suo contenuto, non un patto per avallare tutto ciò che gli altri firmatari hanno detto, scritto o fatto ». La missiva punta proprio il dito contro questa pressione al conformismo e contro il rischio di un appiattimento generale sulle posizioni più in voga, non per convinzione ma per paura di subire punizioni esemplari. «Negli ultimi mesi, un certo numero di persone sono state diffamate su internet per aver fatto commenti considerati offensivi da alcuni, soprattutto su razza, genere e sessualità – si legge ancora nel testo – . In alcuni casi, queste critiche hanno portato alla perdita di impieghi».

Non a caso fra i sottoscrittori compaiono figure pubbliche che hanno perso posizioni di rilievo a causa di controversie. Come James Bennet, che dimessosi come redattore capo della pagina editoriale del “New York Times” per aver pubblicato un commento del senatore repubblicano, conservatore, Tom Cotton. Come l’avvocato Ronald Sullivan, che ha dovuto abbandonare la sua posizione ad Harvard per aver partecipato alla difesa legale di Harvey Weinstein. O come Ian Buruma, costretto a dimettersi dalla direzione della prestigiosa “New York Review of Books” per aver dato spazio a un saggio di un autore canadese accusato (e assolto) di aggressione sessuale. La loro esperienza li porta dunque ad affermare il bisogno di «una cultura che lasci spazio alla sperimentazione, all’assunzione di rischi e persino agli errori».

A rivendicare la necessità di università, redazioni e case editrici dove non sia possibile che «redattori vengano licenziati per la pubblicazione di testi controversi, libri vengano ritirati dal commercio per aver offeso qualcuno, i giornalisti non possano scrivere su determinati argomenti, professori vengano indagati per aver citato opere letterarie in classe». Il promotore della lettera, l’autore afroamericano Thomas Chatterton Williams, sottolinea che è proprio la «falsa scelta» che si è imposta nel mondo intellettuale americano fra «giustizia e libertà » ad averlo spinto a prendere carta e penna. Lui stesso è stato più volte ferito dalla facilità con cui una valanga di commenti negativi su Twitter può «leggere un capitolo o un articolo che ho impiegato mesi a comporre nel modo meno generoso e più fuorviante possibile», per poi trasformarsi in una condanna personale e inappellabile del suo autore.

Un concetto al quale fa eco un altro firmatario, il poeta Reginald Dwayne Betts, che ha passato più di otto anni in prigione per un furto d’auto commesso da adolescente. «In nome dei diritti delle minoranze e del rispetto delle differenze stiamo uccidendo ogni tolleranza delle differenze – dice – è un atteggiamento spietato e antitetico con la mia idea di come dobbiamo affrontare i problemi nella società. Si può criticare quello che la gente dice e come lo dice, ma non puoi farle tacere perché non sei d’accordo con loro». «Le forze illiberali stanno guadagnando forza in tutto il mondo e hanno un potente alleato in Donald Trump, che rappresenta una vera minaccia alla democrazia»

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