Filippo Dini e Valerio Binasco durante le prove di “The Spank” - Luigi De Palma
Questa storia di un’amicizia è nata da qualcosa di assolutamente naturale, un’abitudine che ho da anni: vedere un amico una o due volte alla settimana in un caffè di quartiere. Stranamente, ci mettiamo seduti uno di fianco all’altro, in parte perché io mi devo sistemare vicino all’orecchio che gli funziona. Ma ho anche notato che nei pub e nei caffè gli amici tendono a sedersi uno di fianco all’altro, guardando tutti e due nella stessa direzione. Due amanti o due persone che si conoscono poco non lo farebbero mai. Io e il mio amico beviamo un po’, talvolta mangiamo, ci lamentiamo molto, parliamo del più e del meno, e vediamo come va. Analizziamo la commedia dell’esistenza, le nostre famiglie, gli altri amici, parliamo di sport, di politica e del nostro lavoro. Ci sono battute, molti resoconti troppo inutilmente particolareggiati di visite dal dottore, dal dentista e in ospedale, e ogni tanto qualche tragedia o qualche carnevalata.
Amicizie del genere non appartengono all’ambito delle alleanze, e neanche a quello del networking. Non sono relazioni mercantili, e in esse non dovrebbe esserci né profitto né vantaggio. L’amicizia è una forma di ozio volontario. Il rapporto si basa sulla parità, non sul potere. E poiché non c’è un secondo fine, e non c’è una ragione per vedere l’altro se non la distrazione e il piacere, potete dire qualunque cosa, parlando pressoché per libere associazioni. Potete dimenticarvi di voi stessi e fare digressioni; potete fare digressioni dalle digressioni fino al punto che le parole, se ancora di parole si tratta, somiglieranno forse a un rombo distante, una specie di parlottare automatico. Perché un amico dovrebbe obiettare allo straripare della vostra mente e della vostra bocca? L’amico sarà abituato al vostro modo di parlare, che perde di logica a vantaggio dell’ispirazione. E molto probabilmente, mentre siete seduti lì tutti e due, l’amico starà rimuginando su qualcosa di più importante. Perciò, con un amico, c’è una specie di solitudine possibile anche in sua compagnia. Si può restare in silenzio senza alcuna fretta di riempirlo. E perché no? Ci si può lasciare in pace a vicenda.
Comunque, l’amico a cui mi riferisco ama dire all’improvviso: «C’è qualche altra novità?». È una cosa che a volte mi fa sussultare, come una sveglia che comincia a squillare, e ancora non ci ho fatto l’abitudine. E così, nel caso di un tratto di conversazione stentata, è una buona idea aver pronto un bel pettegolezzo succulento, spesso relativo alla disavventura di un caro amico, che farà ridacchiare l’interlocutore di piacere. Una delle cose che uno fa in un’amicizia del genere, evocando un mondo in comune, è comportarsi come artisti del parlato. Le persone di cui si discute – persone che magari si conoscono a malapena, e altre che uno non ha mai neanche conosciuto – sono presenti solo nelle parole di entrambi. Sono personaggi più che persone. Li si vede soltanto da un unico punto di vista. Non hanno alcuna dimensione. Si può solo immaginare come siano veramente. Ma si sentirà molto parlare di loro, e li si vedrà nella testa. E se li si incontra, potrebbe essere uno shock. Un impianto del genere mi sembrava un bel soggetto per una pièce teatrale. Conterrà un po’ di drammaticità – ma non troppa – perché la conversazione non è semplicemente una trasmissione di informazioni: una persona sta sempre facendo qualcosa all’altra.
A differenza di tante forme di scrittura, che possono essere evocative ma che comunque sono sempre fissate, il discorso è labile. Esercita un’alterazione, opera un cambiamento nell’altra persona. In fin dei conti, la domanda giusta al momento giusto può far aprire una persona, sorprenderla, farla ridere o mettere in discussione il significato della sua esistenza. Potrà ritrovarsi a ridere a crepapelle, o a chiedersi chi è. Simili conversazioni sono creazioni dell’immaginazione. Una persona sta trasformando l’esperienza in storie a beneficio dell’altra: storie divertenti, storie accattivanti, si spera. Bisogna infiorettarle, corredarle di dialoghi, tramutare la tristezza in ilarità, e cospargerle di momenti commoventi. E i testi teatrali, ovviamente, sono fatti anche loro di persone che parlano: chiacchiere, pettegolezzi, richieste, seduzione, alto rischio, e così via. Io preferisco parlare con un amico in un caffè tranquillo che con cinquanta conoscenti a una festa. Non solo è un piacere in un certo senso più intimo, ma funziona anche perché con l’amico c’è un confine: hai la consapevolezza di dove sei.
Ho avuto una serie di amici uomini, la maggior parte più grandi di me, e tutti mi hanno aperto un mondo, ognuno a modo suo. Da ragazzino ero sempre insistente e curioso: volevo sapere tutto ed essere incoraggiato dagli altri. Un amico intelligente può ridefinire le cose per noi: vedere le cose come le vede l’amico rende improvvisamente piacevoli nuovi oggetti. Come dice Emerson: «Quando ci abbandoniamo agli affetti, la terra è trasfigurata». Montaigne, nel suo bel saggio sull’amicizia, afferma che non si può essere veramente amici di un genitore perché ci sono cose intime che non si vorranno mai condividere con una madre o un padre. In questo c’è una qualche verità, ma non sarebbe saggio essere sempre parchi con le proprie questioni intime? E tuttavia, io ho scoperto che l’amicizia con un figlio adulto è il piacere più profondo che si possa immaginare. Quando non devi più prenderti cura di tuo figlio, te lo puoi godere in modo diverso, meravigliandoti di ciò che hai contribuito a creare, da una certa distanza. E anche i figli si prendono cura di te: ora tocca a loro. Il loro amore è una ricompensa commovente.
È normale, ovviamente, che ci siano certe confidenze che non si devono, o non si possono, condividere con un amico. Ci saranno sempre degli utili limiti. Uno di questi è la consapevolezza che la conversazione non andrà avanti troppo a lungo. Sapete quando vi saluterete. Ci saranno altre cose che avrete più voglia di fare, come guardare la televisione, fare una passeggiata o andare a letto. Non c’è costrizione. Ve ne potete andare quando vi pare. Si va a casa dalla propria compagna, è alla propria compagna che in definitiva si è fedeli. Vi piace parlare con il vostro amico, ma non ci andreste mai a letto. Non c’è romanticismo, ma per contro la risata è il sesso dell’amicizia. La fiamma dell’amore sessuale, come dice sempre Montaigne, «è più intensa, incandescente e violenta ». Non c’è il desiderio di possedere l’amico, trattenerlo, o fargli insolite richieste carnali. Laddove vi tenete l’amante gelosamente vicina, lasciate andare l’amico. Il che però non significa che non ci saranno dilemmi etici che potranno turbare, o addirittura distruggere, un’amicizia. Alcune discussioni saranno appassionate, e vi avvicineranno. Altre vi divideranno. A volte sarà messa a repentaglio l’amicizia stessa. Le amicizie più belle possono finire, a volte devono finire. Ed è lì che cominciano i guai.
(Traduzione di Monica Capuani)
Lo scrittore Hanif Kureishi - -
Seduti al bar del tradimento
di Alessandro Zaccuri
Al momento il debutto è previsto per l’11 maggio al Teatro Carignano di Torino. Andamento della pandemia permettendo, si capisce. Nel frattempo la nuova pièce dello scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi arriva oggi in anteprima mondiale nelle librerie italiane. Si intitola The Spank ed è pubblicata da Scalpendi come titolo inaugurale della collana “Teatro” diretta da Federica Mazzocchi (pagine 80, euro 10,00). La traduzione di Monica Capuani sarà utilizzata anche per la messa in scena diretta da Filippo Dini, protagonista dello spettacolo insieme con Valerio Binasco. Come lo stesso Kureishi spiega nel testo che pubblichiamo in questa pagina per gentile concessione dell’editore, l’amicizia è il tema portante della commedia, scandita attraverso una serie di quadri che descrivono le fasi della complicità e dell’allontanamento fra Vargas (impersonato da Dini) e Sonny (interpretato da Binasco). Il primo è il titolare di una farmacia, il secondo un dentista affermato. Vicini di casa, discendono entrambi da famiglie asiatiche immigrate in Gran Bretagna. Sono sposati, hanno figli, godono di una buona posizione sociale. Da anni hanno l’abitudine di ritrovarsi a The Spank, un locale di poche pretese che fa da sfondo alle loro conversazioni e alle reciproche confidenze. Fino a quando un avvenimento imprevisto (ma forse non del tutto imprevedibile) incrina la loro intesa. Ciascuno dei due nutre il sospetto, forse non ingiustificato, che l’altro abbia tradito la sua fiducia, ma i ruoli sembrano invertirsi di continuo, tra ripicche e richieste di aiuto. Il finale, in un certo senso, è scritto già dall’inizio e ha a che fare con quella peculiare forma di fedeltà che l’amicizia custodisce in modo esclusivo. Nato a Londra nel 1954, Kureishi è una delle voci più importanti della sua generazioni. Ha intrapreso l’attività di drammaturgo poco più che ventenne alla metà degli anni Settanta, per poi debuttare come romanziere nel 1990 con Il Budda delle periferie, al quale hanno fatto seguito numerosi altri titoli. The Spank è stato portato a termine nel settembre del 2020.