mercoledì 24 giugno 2009
Parla Joumana Haddad, fondatrice della prima rivista in arabo dedicata al corpo: «I grandi mutamenti sono frutto di tanti piccoli passi individuali. Come la lotta delle donne per la libertà» «Ora occorre lavorare sia sulle norme giuridiche, sia sulla mentalità della gente comune. Dobbiamo capire che il burqa non offende solo le donne o solo gli arabi, ma ogni essere umano»
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È contenta, Joumana Haddad. Perché il suo Libano, dopo le ultime elezioni, si è avviato sulla strada del cambiamento. « Questa volta non ha prevalso quel meccanismo spaventoso che vede gli uomini unirsi nel nome di un’ideologia e trasformarsi in un branco, abdicando a qualunque opinione propria per sposare quella del leader » . L’assenza di un pensiero critico è tra i sintomi sociali più detestati da questa poetessa, giornalista e traduttrice ( parla sette lingue, tra cui l’italiano) nata a Beirut 39 anni fa in una famiglia cristiana. Che, similmente, prova orrore per l’unanimità: «Mi fa paura – spiega – perché è l’anticamera delle dittature» . Ciò a cui invece Joumana crede fermamente è il potere delle parole. L’importanza di « chiamare ogni cosa con il proprio nome. Perché è da qui che può partire un cambiamento » . Non a caso, lei, con le parole ha scelto di lavorare e di portare avanti la sua lotta. « Una lotta individuale, visto che non credo alla grandi cause collettive ma ai piccoli passi personali, che poi, pian piano, portano a mutamenti su larga scala » . La fondatrice di Jasad ("corpo" in arabo), la prima rivista nella sua lingua dedicata appunto « allo strumento, bistrattato, attraverso cui viviamo ogni esperienza», sarà questa sera a Milano ( alle 21 nella sala consiliare di Zona 3 in via Sansovino, 9), ospite dell’associazione Araba fenice, per presentare il suo primo libro tradotto in italiano, Adrenalina ( Edizioni del Leone, pagine 104, euro 11,00), in cui l’autrice torna a scrivere "con le unghie" per scavare dentro se stessa e dentro le contraddizioni del suo mondo. Resta invece ancora inaccessibile a chi non padroneggia l’arabo Jasad, di cui è appena uscito il terzo numero, accompagnato fin dall’inizio da polemiche e minacce, ma anche da quotidiane attestazioni di stima e reazioni entusiastiche. «Evidentemente questa iniziativa intercetta un bisogno pressante all’interno del mondo arabo: quello di spezzare tabù e combattere stereotipi falsi quanto dannosi».A cominciare dal titolo… «Quando si pronuncia la parola ' corpo', si tende a pensare automaticamente a due cliché, quello che associa il corpo al sesso e quello che fa riferimento unicamente alle donne. Ma esistono mille altre declinazioni del corpo: quello maschile, ovviamente, ma anche quello sociale, quello antropologico, quello medico… la lista sarebbe lunghissima. Jasad non è affatto una rivista scritta da donne per le donne, ma accoglie interventi di scrittori, artisti, saggisti che vogliono contribuire al dibattito su temi importanti per la nostra società, reclamando all’arabo il suo ruolo di idioma precursore proprio su questi argomenti. Oggi invece assistiamo a un regresso in cui ha un forte peso sia l’ascesa dei fondamentalismi religiosi, sia la reazione a quella che viene percepita come un’invasione della cultura occidentale». Qui in Occidente, invece, si discute su una presunta "condizione della donna araba". Premessa la pluralità delle situazioni sul fronte dei diritti, esiste una lotta in cui tutte le donne arabe, a suo parere, potrebbero riconoscersi? «Sicuramente quella per la libertà, nel suo significato più autentico. Mi spiego con un esempio personale: le sembra possibile che io, se voglio viaggiare fuori dal Libano con i miei due figli, debba prima ottenere un permesso firmato dal padre, che tra l’altro non si occupa più di loro ormai da un decennio? Oppure, per tornare al corpo, parliamo delle regole sull’abbigliamento: io, quando vedo un burqa, mi sento umiliata non come donna araba, né come donna, ma come essere umano. Si tratta quindi di una battaglia non solo femminile, ma di tutti, per i diritti».Questa battaglia va combattuta a colpi di leggi, per esempio le riforme dei codici sullo statuto personale, oppure a livello culturale? «Sono due vie che devono essere perseguite parallelamente. È essenziale che ci siano cambiamenti sul piano giuridico, ma essi sono destinati a restare senza effetto se non si lavora per fare evolvere la mentalità delle persone: uomini ma anche donne, che troppo spesso educano i propri figli in modo che mantengano vivi gli stessi modelli sociali nefasti che esse hanno dovuto subire». Eppure, il successo di « Jasad » dimostra che sono in molti, nel mondo arabo, ad avere voglia di cambiare. Chi sono queste persone?«Abbiamo un pubblico molto variegato, che include donne e uomini, giovani e anziani, appartenenti a tutte le classi sociali. Recentemente ho ricevuto una lettera da un sacerdote, che poi ha preparato per noi un articolo sulla sacralità del corpo. Il mondo arabo è plurale. E spesso sorprendente».
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