Franco Carraro - ImagoEconomica
Parigi o cara. Nella sala del Pre Catelan, Casa Italia, al cocktail party olimpico, Franco Carraro spicca tra gli ospiti illustri per versatilità, eloquio e la proverbiale eleganza espressa nel classico abito blu di ordinanza. «L’unica volta che ho tolto la giacca, in occasione della visita in Vaticano delle nazionali di calcio di Italia e Argentina, papa Francesco mi ha scambiato per un autista», ricorda divertito il “Presidentissimo”. Attualmente è presidente della Sardegna Resorts e della sezione paralimpica della Figc, ma ricapitoliamo rapidamente le cariche e gli incarichi ricoperti da oltre mezzo secolo in qua che ne fanno appunto il “Presidentissimo”.
Franco Carraro, milanese doc, anche se nato a Padova, 84 anni fa, «da sfollato per via della guerra», ventenne ottiene la prima presidenza federale, sci nautico, seguita da quella del Milan di Rivera. Quindi tre volte a capo della Federcalcio, n.1 del Coni da under 40 e da under 50 Ministro del Turismo e dello Spettacolo. È stato sindaco di Roma e nello stesso periodo presidente del comitato organizzatore dei Mondiali di calcio di Italia ’90. Infine senatore di Forza Italia dal 2013 al 2018. «Ho accettato solo perché casa mia dista appena 1,3 chilometri dal Senato e mi permetteva di fare una bella camminata tutte le mattine, altrimenti sarebbe stata una follia», spiega con aneddotica sterminata, lucida analisi geopolitica e soprattutto l’autoironia che gli fa dire: «Non ricerco il tempo perduto, ne ho buona memoria». Parlare con Carraro è piacevole e si può fare all’ora di pranzo, mentre di sera il gong scocca inesorabile prima della mezzanotte, come titola anche la sua autobiografia Mai dopo le ventitré (Rizzoli), scritta con l’amazzone dell’olimpismo Emanuela Audisio. A Parigi tutti l’hanno omaggiato come il Presidentissimo, certo, ma soprattutto come il decano del Cio: nella seniority list è secondo solo dopo Dick Pound.
Perciò, da saggio olimpico, che impressione le ha fatto il bilancio con coda polemica del presidente del Coni Giovanni Malagò?
Onestamente parlando condivido il discorso di Malagò che si chiede perché la sua carica di Presidente del Coni non debba essere trattata alla stregua degli altri presidenti di federazioni che hanno bilanci sani quanto i suoi e hanno portato gli stessi risultati importanti a vantaggio dello sport italiano. Binaghi della Federtennis e Barelli della Federnuoto possono rimanere al loro posto nonostante siano stati eletti prima di Malagò che è in carica dal 2013, ma avendo fatto tre mandati per le norme vigenti non ha diritto a un quarto da n.1 del Coni. La logica dice che più che alle forze politiche la decisione di un suo rinnovo spetterebbe alla base olimpica: atleti, allenatori e dirigenti che di gestione di un mondo come quello sportivo ne sanno sicuramente più dei politici.
Quindi quel «Malagò è a fine ciclo», detto dal ministro dello Sport Andrea Abodi è da leggersi come chiaro attacco politico?
Quella tra il ministro dello Sport Abodi e Malagò è una querelle che sicuramente non ha del personale, perché i due sono amici, giocano anche nella stessa squadra di calcetto del Circolo Aniene...Fino al 2018 il vero ministro dello sport era il presidente del Coni e questa sistemazione era stata la naturale conseguenza del dopoguerra in cui un fuoriclasse come Giulio Onesti con il Totocalcio era riuscito nell’impresa dell’autofinanziamento dello sport. Con l’avvento della pay-tv e lo spalmamento delle partite il Totocalcio si è praticamente estinto. Così nel 2003 si è passati al contributo statale che per il Coni psicologicamente non era più una situazione di autonomia gestionale. La riforma varata a dicembre 2018 ha fatto sì che quell’anno il Coni ricevesse ancora 405 milioni dallo Stato che poi nel 2019 si sono ridotti a 45 milioni. Quelli, più altri 15 milioni erogati solo nell’anno olimpico il Coni se li deve far bastare per gestire la Squadra Italia e pagare anche le spese per i medagliati.
E quelle, le medaglie, almeno non si sono ridotte: 40 quelle riportate dagli azzurri da Parigi 2024, come a Tokyo tre anni fa, ma con due ori in più (12). Qual è stata la medaglia che l’ha più emozionata?
Io prediligo tutti gli sport di squadra perché sono emotivamente più coinvolgenti e quindi l’oro della pallavolo femminile è stato un momento davvero esaltante, anche da un punto di vista mediatico. La finale delle azzurre di Velasco con gli Usa è stata giocata alla domenica, alle 13, con un audience fantastico, la diretta in chiaro e nessuno che ha dovuto pagare. Una vera festa nazionale. Lo sport italiano nel terzo millennio ha guadagnato posizioni importanti e lo ha fatto mentre si sono alternati una serie di governi di centrosinistra, centrodestra, grillini che non sono riusciti ad evitare che il tenore economico e la qualità della vita degli italiani diminuisse notevolmente. Magari la politica avesse fatto lo stesso percorso di crescita e di riposizionamento dello sport olimpico italiano...
Ha mai pensato in questi giorni parigini che potevano essere quelli delle Olimpiadi di Roma 2024?
Sì certo, ed è stato un gran peccato non organizzarle noi. Forse non ci avrebbero dato i Giochi nel 2024, ma nel 2028 sì. Io ricordo la brutta figura del Cio quando per il ’96 c’era da scegliere tra Atlanta e Atene e io senza neanche pensarci un istante votai per Atene. Roma rimaneva nel giro, con Los Angeles candidata per il 2032, che così avrebbe replicato un altro centenario come quello di Parigi. Un’Olimpiade ha il potere di cambiare il volto e l’economia di una città, perciò vedendo quelle splendide riprese dall’alto di Parigi ho immaginato che cosa sarebbero state quelle stesse immagini proiettate sulle bellezze rare di Roma: 2777 anni di arte e di storia al servizio dell’umanità. Non essere riusciti a far ripassare questa grande storia a tutto il mondo è stata veramente una occasione persa.
Magari avremmo assistito alle gare di fondo del nuoto sul Tevere invece che sulla Senna, la quale ha generato malumori generali e anche qualche malessere agli atleti.
Roma ha il mare vicino, perciò forse il Tevere lo avremmo solo ripulito per i turisti. Parigi ha dimostrato con la Senna che anche ciò che sembra impossibile se si vuole fortemente si può realizzare. Per giudicare gli effetti vedremo che succederà tra due-tre anni, intanto speriamo che nessun nuotatore si ammali dopo quella traversata olimpica. A me è dispiaciuto solo una cosa: il bronzo perso per un niente da Acerenza. Mentre a Giochi chiusi posso dirlo: mi avvilisce il fatto che si sia dovuto gareggiare con due guerre in corso.
La tregua olimpica dunque è solo uno specchietto per i popoli?
Io la penso come papa Francesco, siamo in piena terza guerra mondiale. Abbiamo continuato ad assegnare medaglie, anche ad atleti di quei Paesi coinvolti nel conflitto russo-ucraino e quello israeliano-palestinese, mentre a due passi dalle Olimpiadi la gente non ha smesso di morire sotto le bombe. L’unica cosa che salva la nostra coscienza è che gli atleti di quei Paesi in guerra almeno hanno potuto metter a frutto i sacrifici fatti per coronare il loro sogno di gareggiare a Parigi. Negli stessi giorni la cantante americana Taylor Swift per minacce terroristiche ha dovuto annullare tre concerti. Ringraziamo la Francia ed i francesi.
A Giochi chiusi che giudizio dà della cerimonia d’apertura trasformata in una sorta di gay pride?
All’apertura di Tokyo ero seduto di fianco all’attuale vicepresidente del Cio Juanito Samaranch e a un certo punto un po’ annoiati ci siamo detti: ma questo rituale ottocentesco, di quasi due ore, non è superato? Ecco, Parigi ha pensato di tirare la linea e di superarlo. Alcune fasi della cerimonia mi sono piaciute, altre mi hanno un po’ scioccato. Certi spettacoli forzati che i francesi hanno voluto inserire a tutti i costi si potevano evitare. Ma da cattolico e da uomo sposato in Chiesa da 48 anni, io non credo che volessero essere blasfemi ma solo creare un grande show per stupire il mondo. Mi pare che ci sono riusciti visto che siamo ancora qui a discuterne.
Stupisce molti anche la grande passione per lo sport mostrata dal nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Mi piace molto la sua partecipazione emotiva e l’empatia che ha stabilito con gli atleti azzurri. Mattarella mi ha riportato ai tempi del Presidente Sandro Pertini. Quando ero Presidente del Coni venne a Genova per i Giochi della Gioventù del 1979 e mi colpì quando vedendo sfilare i ragazzi in campo mi disse: «Vedi Franco, io sto male se penso a quanto soffrono questi giovani nei carrugi». Pertini si preoccupava per tutti, soffriva e gioiva sempre da primo tifoso dell’Italia. Dopo l’82 ovunque andavo nel mondo tutti mi ricordavano sempre con simpatia l’esultanza di Pertini al Bernabeu la notte che la Nazionale di Bearzot vinse i Mondiali in Spagna.
Gioie e dolori, di Parigi 2024: ricorderemo lo psicodramma collettivo vissuto per Gianmarco Tamberi.
Mi è dispiaciuto immensamente, Tamberi è uno che ha avuto tanto dallo sport, ma è anche uno degli atleti più sfortunati. Nel 2016 era già il miglior saltatore del mondo, poi si ruppe la tibia e pensavamo che la sua carriera potesse finire lì. Anche in quella circostanza Malagò ha avuto il grande merito di andare subito nelle Marche e di rassicurare Tamberi facendogli capire che non sarebbe mai stato solo. Quella vicinanza gli ha dato la forza per vincere tutto e arrivare all’oro di Tokyo. Ora spero che per lui ci sia un’altra rinascita. Fra quattro anni Jacobs e Tamberi in gara a Los Angeles? Lo spero, ma gli altri corrono altrettanto veloce e nel salto in alto è sempre dura confrontarsi con certe misure, i soffitti delle mansarde sono più bassi.
Sul caso Khelif cosa vogliamo dire ancora?
Che sono otto anni che combatte. Non c’è dubbio che i tratti somatici della pugile algerina siano marcatamente mascolini, ma ricordate il protagonista di Morte a Venezia di Luchino Visconti? Beh anche quel ragazzino efebico sembrava una donna. Ci sono persone che vivono in dei corpi maschili o femminili pur essendo rispettivamente donna e uomo e nello sport hanno il diritto di confrontarsi con quelli del loro stesso genere. Poi mi dispiace per Angela Carini, quel cazzotto sul naso le deve aver fatto molto male per abbandonare il match vinto dalla Khelif, ma accettare la sconfitta dinanzi al più forte è una delle regole imprescindibili dello sport».
A proposito dei tratti somatici, l’europarlamentare Roberto Vannacci ha detto che quelli della Egonu non sono da italiana vera.
Vannacci ha scritto una sciocchezza, e poi mi sono perso nelle sue ulteriori precisazioni, ma per fortuna capendo di averla detta grossa mi pare che abbia subito ritrattato. Io sono stato sindaco di Roma e la grandezza della civiltà romana è stata così potente proprio perché ha saputo inglobare tutte le varie etnie sparse per l’Impero. Roma ha rappresentato il primo esempio di globalizzazione, quindi credo che questo senso di accoglienza e di inclusione, noi, in quanto discendenti dai romani, l’abbiamo bene impresso nel Dna.
Di tutti i grandi personaggi incontrati nel suo lungo cammino olimpico e non quali sono quelli che le hanno lasciato un segno indelebile?
Tanti, ma nel cuore mi sono rimasti due Santi: papa Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta. Di papa Wojtyla mi colpì il modo di pregare, sembrava che non appartenesse a questo mondo, una presenza trascendentale. Madre Teresa era dolcissima ma di un autoritarismo impressionante, diventava dura quando chiedeva “dovete aiutare di più i poveri”. Te lo diceva come la mamma che ti tira le orecchie invitandoti a fare sempre il tuo dovere di uomo: ama e aiuta il prossimo tuo come te stesso.