Bambini di prima alle prese con il calcolo. Sui banchi la Linea del 20
«Tutti i grandi sono stati bambini, ma pochi di essi se lo ricordano». Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry ricorda a tutti da dove veniamo. E come tutti siamo diventati grandi nella grande e difficile scuola della vita. C’è un po’ di questo spirito nel volo di Pitti, un pettirosso coraggioso che «voleva diventare grande in fretta»: «Già una volta si era allontanato dal nido e si era perso. La mamma gli raccomandava di essere buono e prudente. Un giorno di primavera chiese alla mamma di partire da solo per conoscere il mondo». E così fece. Pitti è il compagno dei bambini che in prima elementare cominciano il viaggio nella conoscenza, fra lettere e numeri. I fondamentali del nostro andare. Pitti li guida senza troppe lezioni e regole, senza rigidità e verifiche. Lascia che siano l’intuito, gli errori, il senso di adattamento, la voglia di crescere, l’analogia con il mondo che li circonda a farli muovere. Ed ecco che si impara a leggere leggendo (e cantando come un inno “A come altalena, B come balena, per C c’è il cigno…” fino alla Z dove “c’è la zebra che poi a letto se ne va…”). E si comincia a contare contando, rispolverando il calcolo mentale.
Pitti è il protagonista (nelle prime classi, poi ci saranno altri personaggi) del “Metodo analogico”, uno stile di insegnamento ideato da Camillo Bortolato, prima nella solitudine della sua classe in provincia di Treviso e poi praticato da sempre più insegnanti, diventando oggi un «percorso di umanità» condiviso da migliaia di scuole italiane (gli strumenti didattici sono editi da Erickson). «Insegno da 40 anni nella scuola primaria cercando una strada che porti ad apprendere con meno fatica e più soddisfazione – dice il maestro 65enne, da poco in pensione –. Quello che chiamiamo metodo analogico – anche se poi non è propriamente un metodo – è sostanzialmente la modalità di apprendere che usiamo nella vita di tutti i giorni, in cui prima vediamo e poi riflettiamo. Un modo di insegnare che nasce dalla consapevolezza che tutti nasciamo con un patrimonio di intelligenza che attende di essere tirato fuori. Analogico perché è l’analogia e non la logica lo strumento per conoscere nuove cose».
Bortolato ha elaborato allora degli strumenti che aiutano a mettere in moto quei meccanismi che già abitano le menti dei nostri bimbi: come la Linea del 20 (crescendo diventerà la Linea del 100), una sorta di pallottoliere con cui contare a cinque a cinque, andando immediatamente ben oltre l’obiettivo (contare fino a venti) che ancora resiste nei programmi ministeriali per la matematica in prima. Lo stesso per l’italiano: uno speciale abecedario murale e delle strisce di lettura da tenere sempre sul banco aiutano a «leggere leggendo». «Come non serve un libro per iniziare a camminare, parlare, usare il computer, così non servono istruzioni per imparare a leggere o a contare – continua Bortolato nello spiegare il senso della sua “missione” educativa –. Rispetto all’insegnamento graduale, a goccia, si propone la scoperta dell’insieme, a pioggia. La complessità piace ai bambini che si aprono alla sua interezza con stupore. Imparano cose difficilissime per conto loro a casa, nei giochi che fanno all’aperto o sui tablet. Si chiudono quando a scuola si chiede una gradualità lineare, uguale per tutti». Allora l’obbligo non è «apprendere » ma «usare rispetto», accettare i loro errori, sostenere il loro personale cammino: «Se ai bambini si fanno vedere più strade ciascuno troverà la sua strada del cuore». Un percorso quasi spirituale, di certo interiore, di riscoperta di sé che trova ispirazione anche in quella stupenda scuola di insegnamento libero e democratico di don Milani e che affonda le radici nell’esperienza diretta vissuta da Bortolato con i carmelitani, nelle campagne del trevigiano, a Zero Branco. «In fondo il metodo analogico – confessa il maestro – è quello che ho sperimentato a scuola dai frati. Ho imparato soprattutto il senso della libertà, dove si annida la genialità di ciascuno. Negli ultimi decenni ci sono state invece molte ideologizzazioni nell’insegnamento, in particolare di derivazione francese, che hanno trasformato la matematica in un culto intellettuale per le cifre, a scapito del semplice calcolo mentale, quel gioco intuitivo a cui siamo capaci di giocare tutti. Noi come i primitivi. Il metodo analogico è dunque il ritorno all’essenziale, un valore di cui c’è oggi un bisogno assoluto, non solo a scuola».
Quella che all’inizio poteva apparire una strada “ribelle”, con il semplice passaparola e i risultati sorprendenti dell’esperienza, ha conquistato molti maestri e aiutato oltre un milione di bambini a volare. «C’è un aspetto fondamentale di questo percorso che ho scoperto sette anni fa – spiega Liana Baldan, maestra all’Istituto “Giovanni Pascoli” di Milano –: il rapporto con il bambino non è fondato sul giudizio, ma sulla fiducia. L’insegnante è un alleato che considera tutti eccellenti nella loro unicità. Bortolato usa spesso la metafora della porta, dove la maniglia sta solo all’interno: è il bambino che ha il potere di aprirla e di decidere se farti entrare. E lo fa se non lo giudichi, se si fida di te, se si sente rispettato. Il risultato è nella luce che questi piccoli restituiscono: nessuno viene a scuola con il broncio, nessuno si sente indietro, perché le difficoltà si disperdono nella classe. Ciascuno sa di poter volare e lo farà quando si sentirà sicuro».
Dal centro di Milano Pitti vola fino a Canalicchio, alla barriera di Catania, all’Istituto “Italo Calvino”. Da una parte c’è l’Etna, dall’altra il mare. Ma l’orizzonte di scoperta che la maestra Cinzia Pennisi offre ai suoi alunni è lo stesso della metropoli lombarda. Lei il metodo analogico lo ha scoperto dodici anni fa in un corso di formazione promosso dal suo dirigente «aperto alle innovazioni» (l’istituto è anche uno dei pochi in cui si pratica la “Scuola in natura”, con momenti didattici che si svolgono all’aperto). «Ho trovato nel metodo analogico una straordinaria alternativa di insegnamento – spiega –: si cerca di dare a tutti una prospettiva comune, ma poi ciascun bambino segue la sua strada, con i propri tempi. Perché quello che interessa è quello che c’è nelle teste, non nei quaderni. E questo nel Mezzogiorno vale forse ancora di più». Il metodo analogico è «rispettare il mistero di come avviene la conoscenza nella mente dei bambini», chiude Bortolato. Liberare il volo di menti genuine e vive, non certo “ripetitori” di nozioni. C’è un brano delle Avventure di Pinocchio che Bortolato usa come esempio: «Pinocchio, dopo aver passato una montagna di guai, aveva messo la testa a posto e nelle veglie della sera al lume di candela si esercitava a leggere e a scrivere da solo. Aveva comperato nel vicino paese per pochi centesimi un grosso libro, al quale mancavano la copertina e l’indice, e con quello si allenava nella lettura...». Il giorno dopo Pinocchio si sveglia e non è più un burattino. È un bambino vero. Come i nostri, piccoli principi, che un bel giorno decideranno, sulla scia di Pitti, di abbandonare il nido e di spiccare il volo. Liberi di leggere. E di contare. Non solo numeri.
Milano, docenti e genitori a convegno per scoprire il metodo analogico
La matematica e l’italiano con il metodo analogico. Per chi volesse approfondire la conoscenza di questo percorso, il 12 e il 13 gennaio si terranno due giornate di formazione promosse dalla casa editrice Erickson rivolte a insegnanti, educatori, genitori, a cui parteciperanno l’ideatore del metodo, Camillo Bortolato, con Mariarosa Fornasier, formatrice e insegnante a Treviso e Liana Baldan, anche lei formatrice e insegnante a Milano. L’appuntamento è all’hotel Marriott, dalle 9.30 alle 17. Altri corsi si terranno a Catania il 9 febbraio, a Trieste il 23 febbraio e a Pescara il 2 marzo.