venerdì 5 agosto 2022
Il trombettista nella sua Berchidda e in altre località sarde per il 35° “Time in jazz” da lui ideato: «Si intitola “Rainbow”, un arcobaleno di culture che si incontrano. Nel 2023 musicherò Pinocchio»
Il 61enne trombettista Paolo Fresu Dal 7 al 16 agosto si terrà in Sardegna il 35° festival “Time in jazz” da lui ideato

Il 61enne trombettista Paolo Fresu Dal 7 al 16 agosto si terrà in Sardegna il 35° festival “Time in jazz” da lui ideato

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«Il jazz nasce dalle diversità. Non ci fossero state le migrazioni verso le Americhe dei primi del secolo scorso non si sarebbe creato quel crogiuolo di razze che ha dato vita a uno stile musicale che ha rivoluzionato e arricchito il Novecento. Possiamo, dunque, affermare che il jazz è la musica meticcia per eccellenza e che esprime la necessità di riconoscere sempre più la bellezza che vive nell’unicità e la ricchezza che risiede nelle diversità». Questo è il manifesto programmatico di Paolo Fresu per la 35ª edizione di “Time in jazz”, il festival jazz creato dal grande trombettista nella sua Berchidda (Sassari) e in altri paesi del nord della Sardegna che dal 7 al 16 agosto diventerà la capitale del jazz, partendo dal tema di quest’anno, “Rainbow”, un arcobaleno multietnico come spiega ad Avvenire Fresu «simbolo di pace e fratellanza» nel nome del rispetto delle diversità, così attuale in questi tempi di guerra. Ospiti della manifestazione, che comprende anche cinema, cultura e ambiente, Oumou Sangaré, Archie Shepp, Avishai Cohen, Mathias Eick, Tosca, Gegè Telesforo, Joe Barbieri e Stefano Di Battista.

“Time in jazz” compie 35 anni. Dalla banda di paese alle star internazionali Paolo Fresu è riuscito a fare della sua Berchidda una capitale del jazz. Quale il suo orgoglio e quali i temi di quest’anno?

Parto dal tema di questa edizione che è coraggioso e contemporaneo. “Rainbow” lo raffiguriamo graficamente (nonché con la musica e con gli altri linguaggi del-l’arte) attraverso i suoi meravigliosi colori. Per questo vogliamo dedicare il nostro festival a tutti coloro che, soprattutto in questo difficile momento, lottano per i propri diritti. Lo facciamo in seno a un festival di jazz che si interroga sulla funzione e sulla natura della cultura come strumento fondamentale di scoperta, di conoscenza e di fratellanza. È da qui, per rispondere alla prima parte della domanda, che viene l’orgoglio.

Il jazz nel nostro Paese andrebbe valorizzato di più?

In questo decennio è stato fatto un grande lavoro per posizionare il jazz, musica del presente per antonomasia, in un luogo nuovo rispetto al passato. Lo abbiamo fatto grazie alla grande famiglia del jazz italiano e allo strumento federativo che raccoglie al suo interno tutte le anime di questa musica. Ciò ci ha permesso di avere un rapporto diretto con le istituzioni per spiegare cosa è questa musica e per comprendere come aiutarla e supportarla. I risultati sono evidenti e oggi il jazz è di certo più valorizzato rispetto al passato grazie alle molteplici attività dei festival e delle rassegne oltre ai jazz club, grazie all’incessante lavoro nelle scuole e nel mondo dell’infanzia, grazie a importanti progetti di rete che hanno valorizzato anche i nostri territori e grazie alla grande manifestazione del jazz per le terre del sisma.

Lei con il suo esempio pensa di essere riuscito ad attirare più ascoltatori e anche giovani a questo genere musicale?

Resta che il pubblico del jazz è composto da persone di una certa età e che invece dovrebbe essere ascoltato anche e soprattutto dai giovani. Questo non è purtroppo un fenomeno solamente italiano, ma europeo. Seppure nell’est del continente i giovani amino di più il jazz. Non so se il mio esempio sia utile ad attirare più ascoltatori e i giovani, ma sono convinto che debba essere fatto un lavoro collettivo dove ognuno (direttori artistici, media, mondo discografico, comunicazione) deve porsi la domanda del come rendere questa musica più attuale e capace di parlare alle nuove generazioni. Non si tratta solo di cambiare la musica, ma soprattutto di creare delle occasioni altre per fruirla.

Il suo rapporto con la parola, la poesia e il teatro è sempre stato sempre molto forte. Di recente al “Mittelfest” di Cividale del Friuli lei ha partecipato a un progetto sulle “Poesie a Casarsa” di Pasolini, dopo aver detto di no per due anni ad altri progetti. Cosa l’ha convinta?

Non mi piacciono troppo gli anniversari in cui tutti alla fine fanno pressoché la stessa cosa. È stato così per Dante e potrebbe essere così per Pasolini con il quale, come molti, ho un rapporto intimo che deriva dalle letture e dai suoi film. Per questo ho sempre detto di no, mentre mi ha convinto il progetto Rosada! al “Mittefest”. Non solo per la modalità attraverso la quale è stato affrontato Pasolini, ma anche perché vi partecipavo soltanto in veste di ospite che entrava in punta di piedi nel progetto del collettivo Caraboa Teatro, drammaturgia e regia di Gioia Battista. Il mio rapporto con la parola è sempre stato vivo. Sono un appassionato lettore e mi piace scrivere. Ma soprattutto vengo da un’isola, la Sardegna, dove la parola assume da sempre un significato sonoro e mnemonico.

Suo padre scriveva poesie: è vero che per Natale lei fa rilegare in un volume queste poesie da regalare ai familiari?

Ho trascritto molti anni fa tutto quello che mio padre, pastore e contadino nonché scrittore e poeta naif, scrisse. Oggi lui non c’è più, ma allora rilegai la prima parte dei suoi scritti e gliene regalai una copia unitamente alle altre tre per la famiglia. Mi chiese se tutte quelle parole potessero stare nel mio computer portatile e lo rassicurai dicendogli che c’era ancora spazio per altre parole. Da allora ho continuato questo lavoro e ho archiviato e stampato tutto ciò che lui ha scritto. Compresi i modi di dire, l’elenco dei nomi (di persone ed animali) e soprattutto le parole perdute che oggi sono diventate 25.000 lemmi e che vorrei diventassero un giorno un dizionario emozionale.

Per Paolo Fresu personalmente cos’è il jazz, che esigenza dell’anima rappresenta questa musica? Quali sono i suoi nuovi progetti?

Il jazz è la libertà. È la mia vita, in quanto intorno a questa musica e intorno a tutta la musica c’è la scoperta del mondo. Non si tratta solo di suonare bene uno strumento, ma si tratta piuttosto di raccontare, attraverso un suono, se stessi e il mondo, cercando di renderlo migliore. Per questo i progetti sono stati, e molto, diversificati. Tra i tanti, sto girando con un progetto su Lawrence Ferlinghetti del quale uscirà in autunno il film The Beat Bomb diretto da Ferdinando Vicentini Organi e per il quale ho scritto le musiche che suoniamo dal vivo e che compongono l’omonimo cd che uscirà in ottobre per la mia etichetta Tuk Music, che nel frattempo produrrà diversi lavori di giovani musicisti italiani come la cantante Francesca Gaza, il sassofonista Raffaele Casarano, il contrabbassista Marco Bardoscia e la pianista Sade Mangiaracina.

E cos’altro ha in cantiere?

Stiamo preparando assieme al pianista cubano Omar Sosa un disco sul tema del cibo con diversi ospiti e registrerò un nuovo lavoro in duo con Uri Caine che suggellerà la nostra collaborazione ventennale. Oltre a questo, le musiche commissionate da Giunti per i cento anni del Pinocchio letto da Lella Costa. Questo in attesa di riprendere a gennaio 2023 il lavoro teatrale Tango Macondo. E poi un progetto speciale per i 40 anni del mio quintetto storico e i 20 anni del quartetto Devil.

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