sabato 4 gennaio 2014
​​Al teatro Donizetti di Bergamo i componenti di ogni epoca della band hanno suonato insieme per ricordare il paroliere scomparso.
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​​Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Red Canzian. Ovvero i Pooh. E poi Stefano D’Orazio e Riccardo Fogli: ovvero gli ex-Pooh. E a guardarli cantare Piccola Katy Mauro Bertoli, che nel ’64 gettò le basi della band aderendo alla proposta di Valerio Negrini, futuro paroliere del gruppo, di far musica insieme. Ieri al Donizetti di Bergamo è andato in scena ciò che tante tv avrebbero voluto mostrare, ovvero i Pooh di ogni epoca riuniti su un palco. Ma, dicono loro, resterà «evento irripetibile dentro un incontro». Per ricordare proprio Negrini, scomparso il 3 gennaio dell’anno scorso, dando anche spazio alle sue poesie (comprese la denuncia della vita nell’Est sovietico e l’omaggio alla missione giornalistica di Ilaria Alpi) come alla sua scelta di sfruttare la fama per aiutare gli altri, segnatamente Haiti. Cui va l’incasso dell’evento organizzato da Roby Facchinetti, l’altra metà di un binomio artistico unico: e, ormai, orfano. Ha deciso di ricordare Negrini con questo «Ciao Valerio» che ha riunito Pooh di ieri e oggi. Non si è rischiato così di mettere il ricordo sullo sfondo? «Il rischio c’era: difatti non ho divulgato i nomi degli ospiti. Sui manifesti c’era scritto solo di noi tre Pooh attuali. E per questo una sera in teatro, non palasport, tv, tour. Ma non era uno spettacolo, era un incontro fra amici. Per celebrare la memoria di uno di noi e non spettacolarizzarne la morte. Inoltre l’incasso è per Anpil Onlus (nata dall’Istituto Gonzaga della congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane ndr.) che sta lavorando ad Haiti: un progetto che Valerio seguiva e aiutava da tempo». Anche parte dei guadagni del recente "Pooh Box" vanno a questo scopo: però non l’avete dichiarato, perché? «Perché conta fare: e pure la beneficenza troppo spesso viene spettacolarizzata. Coi Pooh ho visto in Nicaragua quanto sia importante aiutare l’infanzia in certi Paesi; qui ai bambini si vuole fornire istruzione, in alcuni casi anche alloggio, e scuole di musica per aiutarli a sviluppare i talenti. Continueremo su questa strada di aiutare Anpil Onlus pure in altri modi: per Valerio, e per convinzione». Del resto Negrini vi scriveva spesso testi sociali… «È vero. Tien An Men, il Kosovo… Fu il primo a parlare della solitudine dei carcerati in Pensiero, a denunciare l’apartheid in un brano pop, Senza frontiere. Sapeva mettere molto, in tre-quattro minuti di canzone. Veri mini-film anche di storia, dagli Inca ad Attila. Solo ora ci accorgiamo di quanto pesassero le sue parole: vorrei creare un premio per giovani autori capaci di seguire le sue orme. Ha tracciato una strada, lo merita». Lei pubblicherà in primavera il suo terzo Cd solista: conterrà gli ultimi testi scritti da Negrini? Sì, era più di un anno che ci lavoravamo. Lo sentii per discuterne pure un’ora prima dell’infarto, ci teneva tantissimo. Fortunatamente molti pezzi erano finiti e l’ho potuto chiudere. Con uno strumentale inedito scritto per lui e intitolato Poeta. Anche per la band Negrini ha lasciato inediti? «Purtroppo no. Anzi, la sua scomparsa ha interrotto il progetto di ampliare a un disco intero la storia di Parsifal, da noi raccontata nel ’73. Serviva tempo, Valerio voleva narrare tutte le vicende del mito. Per noi sarebbe stato l’evento dei 50 anni, a chiudere la lunga storia dei Pooh. Ora? Si vedrà». Eppure per noi giornalisti Negrini non era uno facile. A volte era scostante, persino irritante, molto lontano dalla poesia dei suoi scritti. «Lo so, che faceva così. Aveva paura di certe situazioni, si mostrava a pochi. Ed è un peccato perché con aggressività mascherava cultura e sensibilità. Ma era così anche con noi Pooh, sa? Si metteva sulla difensiva. Vorrei col tempo far capire anche quanto invece somigliasse a quel che scriveva».

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