giovedì 21 maggio 2020
Quarant’anni fa moriva il “maestro del brivido”. Con il suo inconfondibile stile divenne caposcuola del genere con capolavori come “Psyco”, “Vertigo” e l’attualissimo “Gli uccelli”
Trailer di "Psyco": Hitchcock indica la casa gotica di Norman Bates (1960)

Trailer di "Psyco": Hitchcock indica la casa gotica di Norman Bates (1960) - Archivio

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“Le galline non mangiano più”. “Anche i miei polli non beccano più il mangime”. “Che che ci sia una epidemia?” “E poi, questi gabbiani che improvvisamente attaccano gli uomini…”. “C’è qualcosa che non va”. Siamo a circa metà della lunga carriera hollywoodiana di Alfred Hitchcock, iniziata in Gran Bretagna negli anni Venti, quando nelle sale arriva lo sconvolgente Gli uccelli (1963). Tre anni prima Hitchcock con Psyco (1960) aveva raggiunto un successo internazionale senza precedenti. Un film perfetto, Psyco, nel racconto, nel montaggio, nella direzione attori, che aveva confermato la grande maestria del “genio del thriller” nel raccontare non solo storie ambientate in scenari mozzafiato (Il ladro, 1954; L’uomo che sapeva troppo, 1956; Intrigo internazionale, 1959) ma anche abile nello scendere nella mente misteriosa di una donna (Vertigo, 1958) o nella psiche malata di un uomo, per esempio quella di Norman Bates (Anthony Perkins). Siamo nel 1962 e Hitchcock è ora per tutti il regista di Psyco. Il pubblico ha ancora negli occhi e nelle orecchie lo straziante e impotente grido di aiuto di Marion Crane (Janet Leigh), uccisa a coltellate sotto la doccia dallo psicotico Norman. Scena subito famosa tanto che, ricorda lo stesso regista, “tutti la conoscevano pur senza aver visto il film, tramite i manifesti o perché raccontata da chi era andato al cinema”.

Come realizzare un nuovo film all’altezza di Psyco per non deludere il pubblico in frenetica attesa? Hitch, ogni sabato, legge la pagina letteraria del «New York Times», in cerca di idee dalla letteratura contemporanea, finché un giorno non scova un nuovo racconto, The Birds, di Daphne de Maurier, la stessa scrittrice che gli aveva fornito il soggetto per Rebecca (1940). Ma, qui, fermiamoci un attimo. Hitchcock, alla fine degli anni Cinquanta, è ormai un affermato regista, consacrato dal successo di critica e pubblico: La finestra sul cortile (1954); L’uomo che sapeva troppo, Vertigo (1958); Intrigo internazionale. Cosa aveva ‘imparato’ il pubblico da Hitchcock? Che la vita quotidiana, dietro il suo tranquillo scorrere, presenta, all’improvviso, molti inattesi cambi di percorso e svelamenti; uomini e donne che celano una doppia personalità; situazioni che da serene virano nel pericoloso. Ci può accadere, per esempio, che guardando semplicemente fuori da una finestra, scopriamo il fare di un insospettato assassino (La finestra sul cortile); oppure, possiamo essere oggetto di uno scambio di persona con gravi conseguenze (Intrigo internazionale); o, per aver scambiato due parole, casualmente, con uno sconosciuto, psicopatico, nello scompartimento d’un treno, ci si trovi ricattati (Delitto per delitto, 1955); o, purtroppo, scoprire che lo zio che abbiamo amato sin da bambini è, in realtà, un assassino seriale (L’ombra del dubbio, 1949); o, infine, che la natura, senza ragione, dichiari guerra agli uomini (Gli uccelli).

Uno dei motori narrativi della macchina hitchcockiana è il caso, che egli rappresentava come dei binari che possono intrecciarsi in un incrocio (Delitto per delitto) o come strade che improvvisamente si aprono a dei bivi (Psyco). Ma come raccontare il caso, l’imprevisto, il trovarsi innocentemente in una situazione da colpevole (Io confesso, 1954, Frenzy, 1972)? Come tramettere lo shock allo spettatore? Con l’irrompere improvviso dell’illogico, del terribile, dell’orrendo come nell’horror o con un’altra tecnica, che egli chiama suspense? Hitchcock lo spiega nella famosa intervista (1962) concessa a François Truffaut: “Lo spettatore sa sempre più del protagonista. (…) Mentre due conversano intorno a un tavolo, sotto il quale è stata posta una bomba che esploderà, quella conversazione, che poteva non essere interessante per lo spettatore, ora lo diventa. Egli aspetta che avvenga qualcosa affinché i due si allontanino dal tavolo”.

Un’altra innovazione del racconto hitchcockiano è il ‘falso’ incipit: alcuni film partono alludendo a un genere per poi cambiarlo nel prosieguo. La finestra sul cortile inizia come una storia romantica, con un fotoreporter bloccato su una sedia, per via d’una gamba ingessata, assistito dalla sua bellissima ed elegante fidanzata (Grace Kelly), che, per sfuggire all’immobilità e al caldo afoso dell’estate, osserva curioso, con il suo teleobiettivo, cosa fa il vicinato attraverso le finestre aperte o non oscurate. Psyco apre con una focosa scena d’amore in una camera d’albergo, per poi assumere le caratteristiche del thriller omicida. Gli uccelli esibisce un brillante incipit da sophisticated comedy anni Trenta, all’interno del negozio di uccelli, tra l’avvocato Mitch Brenner (Rod Taylor) e l’elegante borghese Melania Daniels (Tippi Hedren), per trasformarsi nel film esistenzialmente più catastrofico degli anni Sessanta. Ed eccoci tornati all’opera turning point : Gli uccelli. In una cittadina sulla costa del nord della California, improvvisamente, gli uccelli sembrano impazziti: attaccano senza ragione gli uomini. Epidemia? Follia dei volatili? La prima a esser colpita è la bionda Melania, andata lì per rintracciare quell’uomo che l’aveva affascinata nell’uccelleria di San Francisco. Quando gli uccelli attaccheranno anche i bambini e uccideranno due abitanti, la situazione diverrà insostenibile. La scena in cui Mitch e Melania, con la madre di lui e la sua sorellina Cathy, si debbono barricare in casa, con l’uomo costretto a inchiodare assi per rinforzare, vanamente, porte e finestre, perforati dai becchi degli uccelli, è ancora oggi thrilling. I quattro riusciranno a lasciare la casa cautamente, terrorizzati, in un momento di stasi dagli attacchi dei volatili, mentre questi, torvi e minacciosi, appollaiati intorno all’abitazione, li osservano. In quasi tutti i film di Hitchcock il finale rende giustizia allo sfortunato, al sofferente, all’innocente (Giovane e innocente, Il club dei trentanove, Io confesso, L’uomo che sapeva troppo, Intrigo internazionale, Marnie, Gli uccelli, Frenzy) e punisce il colpevole (Io confesso, L’uomo che sapeva troppo, Intrigo internazionale, Frenzy). Non è sbagliato vedere nel percorso difficile, contrappuntato da suspense e umorismo, del personaggio in difficoltà, una laica via crucis, tema proveniente dalla sua formazione cattolica: alla fine del film egli raggiunge la salvezza. E ci fa piacere sapere che Hitchcock, educato in scuole salesiane e gesuite a Londra, poi per molti anni non praticante, ma, generoso come pochi, da finanziare la costruzione di chiese e cappelle cattoliche in tutta la California, prima di morire, come ricorda il gesuita padre Henninger, tornò ai sacramenti. “Celebravamo la messa nella sua casa e lui rispondeva in perfetto latino, come aveva imparato da ragazzo. Dopo l’eucarestia, mi colpiva vedere le lacrime, silenziose, scendere sulle sue enormi guance”.

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