
Ungaretti nel 1966 al primo Incontro mitteleuropeo di ICM: allora profetizzò la Gorizia della fratellanza - ICM
Gorizia chiama perché Europa risponda. La città isontina dai due volti – Gorizia e Nova Gorica –, oggi attraversata dal confine invisibile italo-sloveno, in passato dal “muro” insanguinato che divideva il blocco occidentale da quello comunista, propone la sua rivoluzione di pace: «Chiediamo all’Unione Europea di fondare qui, nel luogo storicamente più simbolico del dialogo e della convivenza, la prima Agenzia Europea della Fratellanza, un presidio permanente capace di far prevalere un futuro pacifico rispetto ai crescenti conflitti, nel segno della nostra millenaria civiltà». Se è simbolico il luogo, lo è anche il momento, dato che Nova Gorica e Gorizia insieme sono la Capitale europea della Cultura 2025, non a caso la prima capitale transfrontaliera. Utopia? Il sogno di qualche idealista? «È la storia stessa di Gorizia a dirci che invece è possibile e in passato è già successo – spiega Nicolò Fornasir, vicepresidente di ICM, Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, nato nel 1966 in piena guerra fredda –. Nel Dna delle popolazioni che abitano questo territorio, straordinario crocevia delle tre civiltà fondative d’Europa, latina, tedesca e slava, è scritta indelebilmente la vocazione alla convivenza nel rispetto delle specificità. Siamo il risultato di tre grandi civiltà, parliamo indifferentemente quattro lingue, ma siamo una sola cultura: dove succede se non qui?».
La prova generale avvenne esattamente sessant’anni fa, quando la Cortina di Ferro che tagliava in due il mondo trapassava Gorizia, ferita come Berlino da un reticolato invalicabile (abbattuto solo nel 2004, all’ingresso della Slovenia in Europa!). Nel novembre 1965 furono due giovani sindaci a sfidare l’impossibile e a costruire quell’embrione di Europa unita che oggi diamo (quasi) per scontata: Michele Martina, cattolico e democristiano, era il sindaco della Gorizia rimasta italiana; Jožko Štrukelj, ateo, figlio del commissario comunista che dal maggio del 1945 aveva rastrellato centinaia di goriziani innocenti scomparsi nelle foibe del Carso, era il sindaco della Nova Gorica jugoslava. Eppure riunirono clandestinamente nel municipio di Nova Gorica le giunte delle due città, gettando così un ponte di pace attraverso il confine più difficile d’Europa, a loro rischio e pericolo. Dal verbale di quella riunione trapela tutta la portata del gesto: “Si verifichi qui l’incontro tra le genti, e il confine non sia una linea di divisione, come invece lo sentono Roma e Belgrado! Qui dove c’è fusione tra varie culture europee, questa tradizione culturale va intensificata”. Insomma, dopo vent’anni dal sogno di Schumann, De Gasperi e Adenauer, che dalle ceneri della Seconda guerra mondiale avevano fondato l’Europa, due giovani goriziani dai destini incrociati osavano andare oltre, in tempi in cui anche la quotidianità era impossibile: “In futuro i giovani di Gorizia potrebbero sciare sui monti della Slovenia e i giovani di Nova Gorica andare al mare a Grado...”, vagheggiava il verbale.
È questo il fermento culturale e politico in cui solo un anno dopo è nato l’Istituto per gli Incontri Mitteleuropei, grazie a un gruppo di giovani cattolici della Dc goriziana, che avviarono gli Incontri con l’obiettivo di abbattere il Muro di Berlino e riunificare l’Europa, affidando per prima alla poesia la missione di fratellanza che in quel periodo oscuro non avrebbero potuto affidare alla politica: «La poesia sembrava innocua – conferma il vicepresidente di ICM –, così potemmo invitare anche i poeti dai Paesi comunisti, il nostro intento era mettere in dialogo i popoli della Mitteleuropa. Già il primo anno aderirono settanta poeti da Italia, Jugoslavia, Austria, Cecoslovacchia, Germania dell’Ovest e Ungheria». E ad inaugurare quel profetico Incontro mitteleuropeo fu Giuseppe Ungaretti, che tornava sul Carso cinquant’anni dopo le battaglie combattute in trincea nel 1916, dalle quali erano scaturite le poesie del Porto sepolto. Anziano, sorretto dal bastone, ripercorreva assetato di memorie quei luoghi ormai irriconoscibili: li aveva lasciati scheletrici, desertificati dalla Grande guerra, li ritrovava di nuovo verdi di speranza. Fu proprio Ungaretti quel giorno a immortalare Gorizia come sede ideale di una futura fratellanza dei popoli, vergando di sua mano una struggente dedica alla città (e al sindaco Martina), che ICM da anni diffonde nelle 21 lingue dei popoli che vennero qui a morire per “l’inutile strage”: “Gorizia non era il nome d’una vittoria – scrisse Ungaretti – ma il nome di una comune sofferenza, la nostra e quella di chi ci stava di fronte e che dicevano nemico, ma che noi, pur facendo senza viltà il nostro cieco dovere, chiamavamo nel nostro cuore fratello».
Il terreno diventa fertile proprio dove più è scorso il sangue, è logico. Ma in più Gorizia ha alle spalle una sua peculiarità che va ben oltre i due conflitti mondiali: nel Rinascimento le grandi corti europee si avvalevano tutte di diplomatici provenienti da Gorizia, per due motivi pratici, perché qui si parlavano normalmente più lingue e ogni famiglia era l’intreccio di più etnie, dunque la propensione a mediare era innata. Non si diventa razzisti, quando in famiglia il nonno è ungherese, la nonna ebrea, il padre friulano, la madre slovena... Già tre anni orsono, in vista della Capitale transfrontaliera 2025, lo storico Fulvio Salimbeni lanciò il primo appello all’Europa proprio dalle pagine di Avvenire, che anche oggi è media partner per questa impresa di respiro internazionale: «Chiediamo che in occasione di GO25 l’Europa riscopra lo spirito di Gorizia e istituisca qui una Agenzia Europea della Fratellanza, perché qui come in nessun luogo si testimonia il rispetto delle reciproche memorie, il dialogo interreligioso e la convivenza tra popoli che avrebbero tutti i motivi per portarsi solo rancore», affermava, con riferimento a un confine che nel maggio del 1945, in tempo ovunque di pace, vide i militari di Tito proseguire la guerra con 42 giorni di terrore; e che dal 1947 divise in due le case, le famiglie, persino le tombe nel cimitero. Eppure – sottolinea lo storico – proprio qui la gente ha saputo riaffermare di nuovo il valore della “frontiera aperta” al posto del “confine”, «la prima compenetra e unisce, il secondo divide». Una lezione che oggi, con la guerra di nuovo in Europa, diventa l’unica risposta possibile, l’esempio cui Russia e Ucraina (ma anche Israele e Palestina) devono guardare, perché la riconciliazione è possibile.

Gorizia - Credit: Giuseppe Anello / Alamy Stock Photo
L’appello partito da ICM è stato da tempo raccolto dall’arcidiocesi di Gorizia e in modo trasversale da numerose istituzioni politiche e culturali del territorio, con l’obiettivo della più ampia sinergia tra pubblico e privato. Dall’invasione russa in Ucraina dibattiamo invano su come si ferma una guerra, “riarmo o dialogo?”, e allora «l’Unione Europea non sprechi l’occasione irripetibile di GO25 per gettare le basi del suo laboratorio di pacificazione, nel momento più drammatico del terzo millennio per l’Europa e il mondo intero», conclude Fornasir. Come Cernobbio, sul Lago di Como, dal 1975 è sede ormai indiscussa dei forum per la finanza mondiale, «allo stesso modo a Gorizia i grandi della Terra discutano di convivenza».
Ne è fortemente convinto anche il sindaco Rodolfo Ziberna (FI), che lo scorso ottobre davanti al liceo classico cittadino ha commemorato insieme l’istriana Norma Cossetto, torturata e uccisa dai partigiani di Tito, e Milojka Štrukelj, uccisa dai nazisti (sorella di quel sindaco che con Martina aveva riunito le due giunte nel 1965, e figlia del titino che venti anni prima aveva trucidato centinaia di italiani). Alle critiche che il suo gesto gli ha attirato, Ziberna risponde deciso: «Norma è stata uccisa innocente solo per il fatto di essere figlia di un fascista, Milojka perché da partigiana difendeva la sua terra occupata dai nazisti. Entrambe sono state uccise dalle contrapposte ideologie. Vogliamo andare avanti odiando o costruire nello spirito di Gorizia?». Sa bene, Ziberna, che l’anno di GO25 passerà, «ma la missione di fratellanza della frontiera non verrà meno: l’Europa attuale, ferita dalla guerra, non può che guardare alla storia della nostra città». Alza il tiro il consigliere regionale Diego Bernardis (Lega), presidente della V Commissione Cultura e Affari Istituzionali: «La duplice Capitale europea della cultura dovrà essere il fulcro per i più importanti vertici diplomatici e istituzionali, mi aspetto qui il prossimo G7 come già Taormina del 2017 accolse i capi di governo delle sette principali potenze mondiali», ci dice, sottolineando il «ruolo pionieristico di ICM fin dagli anni Sessanta: politicamente dobbiamo continuare a dare forza a questa visione della società». E non occorre nemmeno costruire nuove strutture, «Gorizia (purtroppo) ha prestigiose sedi vuote da decenni – conclude Fornasir –, dai complessi religiosi alle grandi ville con parchi, dalle caserme dismesse ai moderni auditorium e alle sedi universitarie sottoutilizzate. Tutta la fascia frontaliera attende un recupero urbanistico che auspichiamo condiviso tra le due città».
Il fan più costante di una “Gorizia cuore d’Europa” è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che negli anni ha più volte citato l’esempio della città. «Sconfitti gli orrori dell’estremismo nazionalista che tanto male ha prodotto in Europa, riemergono i valori della convivenza e dell’accoglienza – ha detto l’8 febbraio scorso inaugurando GO25 con la presidente slovena –. Sono i valori che possono opporsi all’oscurantismo della guerra che si è riproposto con l’aggressione russa all’Ucraina. Essere Capitale europea della cultura transfrontaliera, la prima, significa avere il coraggio di essere portatori di luce e di fiducia nel futuro del mondo, dove si diffondono ombre e paure. Nova Gorica e Gorizia indicano una strada di autentico progresso».
A cominciare da questa sera, con l’intensa rievocazione teatrale all’Entourage di Gorizia dell’impresa compiuta 60 anni fa dai due giovani sindaci, titolo bilingue “Michele, Jožko e gli altri–Michele, Jožko in drugi”, di Romeo Pignat. Gorizia chiama, ora all’Europa battere un colpo.