venerdì 1 ottobre 2010
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Viviamo in un tempo – non solo per la crisi economica e non solo naturalmente per i libri – di permanenti transizioni e navigazioni a vista. Per di più, in un sistema come quello italiano (pesante e farraginoso, perciò molto lento all’azione), si è costretti a procedere con il freno a mano tirato, così che anche quelli in grado di correre come lepri sono costretti a muoversi col passo della tartaruga. Questo, naturalmente, diventa un handicap piuttosto grave, nel momento in cui è sempre più necessario, in determinati ambiti operativi, avere la velocità dello sprinter piuttosto  che non la pazienza del maratoneta.La Buchmesse – la Fiera del libro di Francoforte che si aprirà nei prossimi giorni (6-10 ottobre) – è un po’ come un grande specchio che ben riflette la rapidità e la radicalità dei cambiamenti, e insieme la necessità di muoversi con lungimiranza e tempestività per cercare di sfruttarli nel modo migliore. Già dieci anni fa era cominciata quella che avevo chiamato "l’epoca del nomadismo editoriale", nel senso che le case editrici si rendevano conto che il mondo del libro si stava profondamente trasformando e che dovevano quindi attrezzarsi per capire quali potevano essere i problemi da affrontare. Stava nascendo un nuovo modo di pensare, realizzare e vendere libri, prodotti e servizi, cioè di concepire la filosofia, le strategie e l’organizzazione dell’attività editoriale in rapporto a contenuti e formule, bisogni, situazioni nuove del mercato e della concorrenza. Questo, però, non solo perché lo sviluppo tecnologico aveva creato attività commerciali e modalità di consumo che prima non c’erano, ma perché era sostanzialmente cambiato il modo di fare editoria, all’interno di nuovi contesti e nuovi sistemi. Oggi si può dire che quell’epoca di nomadismo è diventata una sorta di permanente trasloco mentale e operativo. A Francoforte, per rendersi conto di questo, basta aggirarsi per poco tempo tra gli stand o nelle sale dei convegni, e subito si potranno cogliere i fermenti del "nuovo" che avanza, in tanti campi, naturalmente con tutte le problematiche al seguito.Di per sé, l’aria che tira non è delle migliori, come testimonia lo stesso calo di espositori con stand individuali. Ma non siamo ancora alla "sindrome di Calimero", che è bene, anzi, tenere lontana. L’ottimismo può anche essere un rischio, ma in definitiva è il respiro vitale di chi fa libri. E gli editori italiani, che alla Buchmesse partecipano sempre in una buona rappresentanza (trecentonove stand individuali, più le sigle e gli enti riuniti nello stand collettivo dell’Associazione italiana editori, quarti per numero di presenze dopo Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti), lo sanno. Si lasciano alle spalle, è vero, un primo semestre complessivamente non esaltante (soprattutto per alcuni gruppi), ma il mercato ha comunque tenuto. Sono aumentate le copie vendute, meno i valori delle vendite (nell’ordine dell’uno-due per cento), essendo diminuito il prezzo medio di copertina; buona la crescita della narrativa e di un certo tipo di saggistica d’attualità e inchiesta; incoraggiante l’incremento dei tascabili (intorno al nove per cento), anche come risultato di numerose promozioni. Se poi si considera che molti titoli (bestseller inclusi) sono stati differiti a questo secondo semestre, ci sono buone ragioni per guardare in modo positivo ai prossimi mesi.Per quanto la ricerca di scrittori e titoli validi resti sempre la priorità degli editori che vanno a Francoforte, non c’è dubbio che negli ultimi anni i temi del digitale, delle banche dati, dei diritti d’autore, degli standard di trasmissione e dei nuovi servizi editoriali abbiano avuto alla Buchmesse uno spazio e un’attenzione sempre maggiore. Naturalmente, mentre ogni editore, in ogni Paese, sta concretamente cercando la propria strada e costruendo il proprio catalogo di libri elettronici, il dibattito sull’e-book sarà acceso come non mai. Anche solo a leggere l’arguto editoriale di Stefano Mauri su "Il libraio" di settembre (A cosa servono gli editori), si capisce subito quanto sia intricata la matassa e come ci voglia del tempo prima di sbrogliarla del tutto.Se i gruppi e le case editrici maggiori presenti a Francoforte hanno  programmi e contatti consolidati, le case editrici cattoliche non sono da meno. A giudicare dall’esperienza degli scorsi anni, San Paolo e Paoline (queste ultime hanno appena festeggiato i trent’anni di attività editoriale a Milano), ElleDiCi, Edb, Morcelliana, Queriniana, Messaggero, Jaca Book (stand sempre affollatissimo), Ancora, Città Nuova, Cittadella sono in genere le case editrici più dinamiche nella compravendita di diritti. Del resto, tutte le novità che escono nel settore religioso testimoniano la vitalità del settore, anche per l’interesse e il crescente apporto degli editori laici (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Il Mulino, Laterza, Vita e Pensiero, Carocci, Lindau, ecc.). Inutile dire, però, che la parte del leone quest’anno la farà la Libreria Editrice Vaticana, che sta preparando il lancio mondiale, a marzo, del secondo volume del Gesù di Nazaret di Benedetto XVI e che si appresta ad uscire, nel novembre prossimo, con l’intervista di Benedetto XVI a Peter Seewald. Si parla, per il libro del papa, di ventidue contratti già firmati o da perfezionare per la cessione dei diritti di traduzione nei vari Paesi e più o meno altrettanti accordi si prevedono per l’intervista.Per un motivo o per l’altro, dunque, si può sperare che la Fiera di Francoforte risponda anche quest’anno alle attese di molti.
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