sabato 15 giugno 2019
Zeffirelli eccelleva in generi popolari come melodramma e tv. La critica non gli ha mai perdonato l'immediatezza, che però celava una grande cultura. Il “Gesù di Nazareth” una risposta a Pasolini
Il regista Franco Zeffirelli (Ansa)

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Franco Zeffirelli, scomparso oggi a 96 anni, era un uomo molto colto ed era, proprio per questo, un artista straordinariamente popolare, capace di raggiungere platee vastissime. Si muoveva con disinvoltura fra il teatro e il cinema, ma dava il meglio di sé nei linguaggi che, di nuovo, avevano nel radicamento popolare il loro tratto distintivo. L’opera lirica, anzitutto, che è stato il genere più diffuso e amato lungo tutto l’Ottocento. E la televisione, che del melodramma ha ereditato molte strategie, riadattandole al contesto, anche tecnologico, del XX secolo.

Forse era proprio questa propensione all’immediatezza (una raffinata, ricercatissima immediatezza) che una parte della critica non è mai riuscita a perdonargli. Certo, pesava anche la questione ideologica, pesava il pregiudizio verso un anticomunismo precocemente e insistentemente esibito. Ma l’ostilità, in prima istanza, derivava dalla convinzione che un regista così popolare non potesse essere veramente grande. Non è un caso, del resto, che Zeffirelli sia stato apprezzato, più ancora che in Italia, negli Stati Uniti, dove la trasparenza dell’opera non è considerata come prova di ispirazione carente.

Anche il suo Gesù di Nazareth, trasmesso con strepitoso successo dalla Rai nel 1977, è un lungo film televisivo niente affatto prevedibile, nonostante il dispiego sontuoso di mezzi e il ricorso a interpreti notissimi, da Claudia Cardinale a Ernest Borgnine, da Anthony Quinn a Olivia Hussey, che una decina di anni prima lo stesso Zeffirelli aveva lanciato in Romeo e Giulietta e che ora era chiamata a interpretare una Maria ancora giovanissima.

Chi seguiva lo “sceneggiato” da casa poteva non rendersene conto, ma sotto diversi aspetti Gesù di Nazareth era una risposta, non necessariamente polemica, al già celebrato Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. Se nel 1964 il regista-poeta aveva compiuto la scelta di un’essenzialità rigorosa, nella sua messa in scena Zeffirelli sceglieva di sovrabbondare in citazioni, preferibilmente non dichiarate, consegnando allo spettatore la quintessenza di un repertorio iconografico all’interno del quale intervenivano, in modo imprevedibile ed efficacissimo, dettagli inattesi e rivelatori: il volto di Maria che si contrae durante il parto, per esempio, oppure i capelli sporchi del Gesù impersonato da Robert Powell, com’è normale che sia per un uomo che cammina su strade di polvere. Indizi minimi dell’Incarnazione, tocchi quasi nascosti di un artista geniale che, per parlare a tutti, non temeva di essere frainteso da qualcuno.

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