martedì 27 marzo 2018
L'analisi di due ex piloti, Morbidelli e Agostini, dopo le vittorie di Vettel e Dovizioso al debutto
AUSTRALIA. Ai box della Ferrari si festeggia la vittoria di Sebastian Vettel

AUSTRALIA. Ai box della Ferrari si festeggia la vittoria di Sebastian Vettel

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Allarme rosso. Per gli altri, s’intende e, se è vero che un solo gran premio non è sufficiente a prefigurare magnifiche sorti e progressive, allo stesso modo le vittorie di Ferrari e Ducati nelle gare inaugurali delle rispettive stagioni non possono essere derubricate a fuochi di paglia. Tutto in otto giorni: Andrea Dovizioso che vince in Qatar il 18 marzo, Sebastian Vettel che lo imita - uguale e opposto - all’alba di questa domenica, salendo sul primo gradino del podio a Melbourne quando per tanti dalle nostre parti è l’ora del caffè. Buongiorno, Italia. Gli altri dietro. Marc Márquez e Lewis Hamilton, campioni del mondo in carica e rivali anche nel seguito dei Mondiali di MotoGp e Formula 1, fuoriclasse pluridecorati, a rincorrere. «Dovizioso? Oggi ha il 50% di possibilità di vincere il titolo. Perché è cresciuto in una maniera incredibile, perché vince gare con la qualità e anche con la testa, ragionando »: Giacomo Agostini la disegna così la stagione appena iniziata, con una percentuale che si traduce in fiducia piena da parte del nume tutelare delle due ruote tricolori. «Ma non solo: se Dovizioso riesce a stare davanti a tutti già nel gran premio d’esordio, significa anche un’altra cosa: che la moto, la Ducati, c’è già, eccome».

Da una Rossa all’altra, da Borgo Panigale a Maranello dopo che, dall’altra parte del mondo, sono arrivati non solo i 25 punti di Vettel, ma pure i 15 di Raikkonen, terzo: «Quello di Melbourne probabilmente non è il circuito migliore per capire i reali valori in campo - argomenta Gianni Morbidelli, guida di una Ferrari minore (ma a punti) nel 1991 proprio nel Gp d’Australia, ad Adelaide, dove ottenne anche l’unico podio nella storia della Footwork nel 1995 - ma su una cosa si può essere d’accordo: la Ferrari è competitiva e può giocarsela». Da un lato il mezzo, dall’altra i piloti. Per vincere, occorre che si crei una sorta di chimica. Tanto per raffreddare un po’ gli entusiasmi: è quello che è accaduto a Hamilton con la Mercedes e a Márquez con la Honda: campioni senza discussione, ma anche dotati della monoposto e della moto migliore. Per quanto riguarda la Formula 1, Morbidelli - prossimo ad iniziare la stagione nel Wtcr su Alfa Romeo - è convinto che i rapporti di forza siano ancora gli stessi: «Il binomio Hamilton-Mercedes resta il punto di riferimento per tutti, è l’accoppiata da battere, in Ferrari lo sanno, così come sanno di avere vinto la gara grazie ad un episodio. Però bisogna essere capaci di cogliere l’attimo, Vettel e il team l’hanno fatto: quello era l’unico modo per tentare di arrivare davanti sotto la bandiera a scacchi ed è andata proprio così. Oltre all’aspetto episodico, c’è del merito: vuol dire avere lavorato nel migliore dei modi anche sotto l’aspetto della strategia. Poi è la Mercedes la scuderia da rincorrere, ma il valore della Ferrari mi sembra vicino». Le seconde guide in fondo certificano anche questo e, in ottica costruttori, il podio di Melbourne potrebbe anche significare qualcosa in più: «Bottas non è all’altezza del compagno e in assoluto non vale Raikkonen e, fra le altre, solo la Red Bull ha qualche possibilità di inserirsi. Loro lamentano le mancanze della power unit Renault, sono un gradino sotto Mercedes e Ferrari eppure qualche soddisfazione po- trebbero togliersela». Togliendo, frattanto, anche qualche punto ad una delle contendenti, e allora sarà importante capire con le prossime gare se il potenziale della Rossa davvero potrà preoccupare Toto Wolff e compagnia.

Che la Ducati già preoccupi la Honda è invece un dato di fatto. Nel corso del Mondiale 2017 Dovizioso ha vinto quanto Márquez (sei gare a testa) e il trionfo di Losail ha confermato che per il forlivese la Desmosedici non ha segreti: «La Ducati - spiega Agostini - è, per le sue particolarità, una moto difficile da guidare, ma che può contare su un motore che in certi frangenti non ha rivali e questo è un punto a favore, il frutto di un lungo lavoro. E per Andrea, che porta a termine gare da vero campione, potrebbe davvero essere l’anno buono». Lo scetticismo sui risultati del suo compagno di squadra, Jorge Lorenzo, non cambia di una virgola il discorso sulla moto e sulla scuderia, anzi lo rafforza: «Se c’è qualcuno che porta la Ducati al primo posto in un gran premio e lo fa con una certa continuità significa che la moto non è affatto un problema, che la si può guidare e anche portarla al successo. Se i suoi risultati non sono stati ancora all’altezza non si può puntare il dito contro Ducati». Allora sì, allarme Rosso, e vincere all’inizio è anche una sorta di... drs psicologico. Un anno fa Vettel vinse al debutto a Melbourne proprio come domenica e dette il via ad una prima parte della stagione in cui i tifosi ferraristi ebbero modo di sognare, per quanto da agosto in poi il risveglio sia stato piuttosto traumatico. Dovizioso, invece, un anno fa iniziò con un secondo posto in Qatar e vinse la sua prima gara solo a giugno, al Mugello, nel sesto Gp stagionale. In carriera, solo una volta in precedenza aveva chiuso davanti a tutti la prima corsa dell’anno: era accaduto nel 2004 in Sudafrica, classe 125. E vinse il Mondiale.

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