Insieme a Tommaso Maestrelli era l’anima saggia e pacata di una squadra di scavezzacollo, la Lazio che vinse lo Scudetto nel 1974. Non era il capitano, ruolo perfetto per il grintoso Pino Wilson, né il trascinatore e “grido di battaglia” del popolo biancoceleste, Giorgio Chinaglia. Ma senza Felice Pulici quella Lazio, ribelle e indomita, spavalda e vittoriosa, tanto divisa nello spogliatoio quanto unita in campo, forse non sarebbe riuscita a scrivere per intero la sua favola. Pulici dava equilibrio e sicurezza. E senza Pulici sono rimasti ieri i tifosi laziali e anche i tifosi avversari, che ne hanno sempre apprezzato lo stile e la correttezza. A 73 anni se n’è volato via, di domenica, il giorno in cui una volta si giocavano tutte le partite, come un’aquila ad ali spiegate, come quando andava da un palo all'altro per acchiappare palloni che sembravano inesorabilmente destinati alla rete.
In un derby del 1976, vinto dalla Lazio ma durante il quale la Roma attaccò molto, il marcatore della rete della vittoria, Bruno Giordano, ha detto che «Felice parò anche l’aria». Maestrelli, già piegato dal male e ricoverato in ospedale, apprese del successo dalla radio. La sera di quella stessa domenica, il Maestro perse conoscenza. Morì quattro giorni più tardi. Fu l’ultimo regalo che gli fece la sua banda di ragazzacci, che in realtà aveva già smobilitato ed era cambiata un bel po’. Ma Felice era sempre lì, tra i pali. Un po’ permaloso, s’incupiva quando qualcuno ( Chinaglia, soprattutto) diceva che nelle uscite “sfarfallava”.
Una volta appesi i guantoni al chiodo (solo in senso metaforico perché amava giocare a mani nude e se pioveva andava da solo a comprarsi un paio di guanti di lana alla Upim…) ha continuato a parare per la sua Lazio, come avvocato e come dirigente. Con Chinaglia presidente, poi con Sergio Cragnotti e infine con Claudio Lotito, fino al 2006. Sì perché il portierone dai capelli un po’ lunghi e la cadenza brianzola nel frattempo aveva studiato e si era laureato in legge. Ancora nel 2009 era tornato a scuola, una scuola speciale, per imparare la Lis, la lingua dei segni, divenendo presidente della Federazione sport sordi e anche dirigente regionale del Coni.
Cattolico convinto, aveva letto le “Confessioni” di Sant’Agostino e ne citava passi a memoria. Il primo dicembre scorso, con i compagni di squadra Wilson, Oddi e Petrelli, Pulici era stato invitato dal collega di La7 Guy Chiappaventi, autore del libro “Pistole e palloni” sulla Lazio del 1974, a un bell’incontro pubblico organizzato con Marco Geppetti , il figlio del grande fotografo Marcello che con i suoi scatti raccontò l’epopea biancoceleste di allora.
Era un’occasione per parlare di quella Lazio e di quegli anni, vivi e turbolenti. Forse avrebbe raccontato di nuovo che il 12 maggio del ’74, mentre lui diventava campione d’Italia sul campo, suo figlio Gabriele veniva al mondo in una clinica di Sovico, nei pressi di Monza. E avrebbe ricordato quella corsa pazza in una Roma paralizzata dai caroselli dei tifosi biancocelesti in festa, per prendere l’aereo e raggiungere sua moglie e il neonato. Ci teneva tantissimo a esserci, Felice, ma era costretto in ospedale dalla malattia che poi se l’è portato via.
Però ha trovato il modo di telefonare mentre l’incontro era in corso e di scusarsi, con un filo di voce, di non essere presente. Gentiluomo, fino alla fine.