martedì 9 novembre 2021
Dall'infanzia difficile in Eritrea al lavoro di addetto alle pulizie di una piscina in Italia: Eyob, l'atleta azzurro che è arrivato terzo nella maratona più celebre del mondo, è padre di due bimbe
L’eritreo azzurro, Eyob Faniel, 3° alla Maratona di New York

L’eritreo azzurro, Eyob Faniel, 3° alla Maratona di New York - Reuters

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Scriveva Seneca: «Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma è perché non osiamo che sono difficili». È una frase che porta nel cuore l’impavido Eyob Faniel, 28 enne di origine eritrea, italiano dal 2015, che domenica l’ha combinata grossa. A New York, nella 50ª edizione della maratona più prestigiosa del mondo, Eyob ha riportato l’Italia sul podio maschile a 24 anni dalla terza posizione di Stefano Baldini nel 1997. È anche il primo maratoneta europeo a chiudere tra i primi tre nell'ultimo decennio nella Grande Mela. L’ennesima gioia tricolore in questo anno magico, per un successo storico, cercato sin dal via. L’atleta delle Fiamme Oro, al comando per 18 km, al traguardo si è lasciato dietro tanti big, inchinandosi solo al keniano Korir, il vincitore, e al marocchino El Aaraby.

Già primatista italiano, Eyob, corre dunque sempre più veloce, lasciandosi alle spalle, un’infanzia di povertà e combattimenti. Figlio di due partigiani eritrei nella trentennale guerra d’indipendenza del paese africano, Eyob ha seguito il padre poi emigrato in Italia. A Bassano del Grappa, dove vive, è riuscito a conciliare la passione per la corsa lavorando come addetto alle pulizie di una piscina. Prima di spiccare il volo nell’atletica in cui continua a togliersi soddisfazioni con l’avanzare dell’età. A Tokyo aveva chiuso 20° per un infortunio che ne aveva condizionato la prestazione.

A New York invece si è fatto un bel regalo per i suoi 29 anni che festeggerà il 26 novembre insieme al “motore” delle sue imprese: le sue “principesse”, le figlie di 5 e 1 anno, Wintana e Liya, avute dalla compagna Ilaria Bianchin. «Volevo riscattarmi dopo le Olimpiadi» ha detto raggiante, rivelando anche l’incredibile disavventura della vigilia: dal Kenya dove si allenava ci sono volute 56 ore per raggiungere gli States per problemi di autorizzazione. «Mi ero quasi arreso, ma questo risultato mi ripaga di tutto». E allora, come direbbero i latini, ad maiora semper, papà Eyob.

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