martedì 5 maggio 2009
Dal K2 al Cerro Torre, sono sempre di più le imprese contestate, anche a diversi anni di distanza. E diversi libri accusano. La querelle più recente riguarda Messner e Cesare Maestri a proposito della conquista della cima della Patagonia.
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Un colpevole, un innocente. Sembra trasformarsi sempre più in un tribunale, la montagna, e dall’alto di scranni di carta – libri o giornali – giurie di accreditati rocciatori pronunciano imperturbabili i loro verdetti sui colleghi. La morte di Achille Compagnoni, un paio di settimane or sono, ha riportato a galla la querelle forse più celebre e distruttiva dell’alpinismo italiano, quella del K2. Ma le polemiche d’alta quota stanno diventando ormai più regolari del retrocedere dei ghiacciai e interessano pure il grande pubblico con periodiche burrasche editoriali. Non sembra esistere nemmeno prescrizione, per il reato di falsa o dubbia scalata: in qualsiasi momento il dossier può essere riaperto ed esaminato di nuovo, in base a prove più o meno inedite, per approdare a una sentenza di assoluzione o condanna. Un caso recente: il dramma del lecchese Claudio Corti, accusato di abbandono del compagno durante una scalata all’Eiger nel 1957, rievocato da ben due volumi a discolpa, quello di Daniel Anker Morte sull Eiger (Corbaccio 2006) e il monumentale Il Prigioniero dell’Eiger (Stefanoni 2008) di Giorgio Spreafico. Alessandro Gogna e Italo Zandonel­la Callegher si espongono ora su un caso vecchio di oltre 80 anni: la pri­ma ascensione dei cosiddetti «stra­piombi nord» del Campanile di Val Montanaia nelle Dolomiti friulane, saliti per la prima volta il 3 settem­bre 1925 (ma proprio su questa a­scensione si appuntarono poi i dub­bi di molti colleghi) da un giovane quasi avvocato vicentino. A dir la ve­rità Gogna, già alpinista di primo piano, e Zandonella Callegher, stori­co della montagna, pur avendo per quasi tutto il volume dato l’impres­sione di propendere a favore del­l’imputato, nelle ultimissime pagine si tirano indietro e sembrano deci­dere per l’insufficienza di prove; per questo hanno intitolato La verità o­bliqua di Severino Casara (pp. 336, euro 17,50) il libro che – tra l’altro – segna l’ingresso dell’editore Priuli & Verlucca nella saggistica d’alpinismo con la nuova collana «Campo Quat­tro». Oltre che lontana nel tempo, la vi­cenda sarebbe di scarso interesse anche perché – di fatto – legata a u­na paretina tutt’altro che eccelsa, anzi nel suo passaggio chiave di una trentina di metri soltanto, con una traversata di «appena» 6 metri... Ma in montagna non tutto si misura a centimetri. E in effetti, a parte la suggestione unica del Campanile (u­na guglia dal caratteristico rigonfia- mento centrale), la soluzione di quel problema poteva significare all’epo­ca molto più di una semplice «pri­ma »: ad esempio l’anticipata irruzio­ne del sesto grado nella storia del­l’alpinismo, oppure un’inattesa vit­toria della filosofia dell’arrampicata «libera» su quella disposta ad usare senza troppi riguardi i chiodi. E poi sull’impresa Casara gravano i pesi di anni e anni di accuse e diffa­mazioni, dicerie e delazioni, con tanto di commissioni d’inchiesta e giurì del Cai, testimonianze e prove sul campo (oggi si direbbe «incidenti probatori»), ricostruzioni minuziose, ipotesi, polemiche sui giornali, in­terminabili riunioni e discussioni di «saggi», correnti di filosofie alpinisti­che che dapprima s’intrecciano con la politica del regime fascista e poi si abbassano persino a mormorazioni sugli orientamenti sessuali del pro­tagonista... Insomma, tanto per insi­nuare che non sempre l’aria di mon­tagna è così pura come sembra. Lo conferma anche il libro di Reinhold Messner Grido di pietra (Corbaccio, pp. 296, euro 19,60), do­ve l’illustre ottomilista affronta un caso di gran lunga più noto, oltre che più recente: quello del Cerro Torre, altra guglia storica ma stavolta patagonica e ben più slanciata e gla­ciale del Campanile friulano. Il caso che lo riguarda compie 50 anni pro­prio ora, dato che l’alpinista trentino Cesare Maestri asserì di averlo scala­to il 31 gennaio 1959, insieme al compagno Toni Egger; il quale però durante la discesa venne portato via da una slavina. Non c’era nessun testimone dell’im­presa, dunque, e i tentativi di altri al­pinisti per ripeterla negli anni suc­cessivi rilevarono diverse contraddi­zioni nel racconto di Maestri. Una sua «ripetizione» del 1970, ma con l’uso di chiodi martellati da un com­pressore, non solo non lo ha liberato dalle accuse, ma anzi è sembrata ac­creditare i sospetti dei detrattori. Che ora la «corte di cassazione» pre­sieduta da Messner, dall’alto della sua competenza (ma anche sulla ba­se di varie testimonianze e «prove»), viene a confermare completamente. Ultima guglia, e ultima diatriba alpi­nistico- giudiziaria, è quella che il giornalista «di montagna» Enrico Camanni affronta in uno smilzo pamphlet, Il Cervino è nudo della nuova casa Liaison di Courmayeur (pp. 66, euro 12). Stavolta non è que­stione di ascensioni più o meno ef­fettuate o di polemiche tra rocciato­ri, bensì della speculazione edilizia e dello stravolgimento turistico a base di cemento cui è stata sottoposta la conca del Breuil negli ultimi decen­ni; nemmeno su questo, però, si è trovato un accordo tra gli amanti delle crode: il libretto di Camanni ha infatti suscitato in Val d’Aosta un sacco di polemiche. Niente da fare: la «conquista» delle montagne, con la corda o con le betoniere, fa spesso discutere.
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